Un universo di segni

Per la cultura medievale, tutta orientata alle realtà divine e soprannaturali, il mondo materiale è degno di interesse solo in quanto manifestazione del suo divino creatore; la natura è piena di segni che rimandano a Dio, e che l'uomo deve saper leggere per risalire alla contemplazione di Lui. Ogni singola creatura è poi portatrice di un messaggio, è un segno di verità morali o soprannaturali, e lo studio degli esseri naturali si risolve nella ricerca delle verità allegoriche che essi racchiudono. Così tutto il mondo è letto in chiave simbolica, le cose non valgono per ciò che sono ma per i significati a cui rimandano. Nel Duecento, anche in conseguenza della scoperta della filosofia aristotelica, questa concezione comincia ad essere contestata, si comincia ad affermare il valore autonomo della conoscenza; l'innovatore più audace è Ruggero Bacone che, ponendo l'esperienza come criterio della conoscenza, apre la strada a una critica radicale del sapere medievale.

Ugo di San Vittore

De tribus diebus, cap. IV

Un libro scritto da Dio

De tribus diebus è un'opera teologica scritta da Ugo di San Vittore attorno al 1123. In essa viene sviluppato il tema della Trinità attraverso la considerazione delle tre perfezioni che si riferiscono alle tre persone divine: potenza, sapienza e benevolenza. L'idea centrale del trattato è che ogni cosa costituisce una teofania, ossia una manifestazione di Dio: la potenza divina si manifesta nella grandezza delle cose, la sapienza nella loro bellezza, la benevolenza nella loro utilità. Lo stesso accade considerando lo spirito umano: la grandezza si evidenzia nella mente, la sapienza nell'intelletto, la benevolenza nell'amore.

Questo mondo sensibile, infatti, è quasi un libro scritto dal dito di Dio, cioè creato dalla virtù divina, e le singole creature sono come figure, non inventate dall'arbitrio dell'uomo, ma istituite dalla volontà divina per manifestare la sapienza invisibile di Dio. Ma come un analfabeta, quando vede un libro aperto, scorge i segni, ma non capisce il senso, così lo stolto e l'uomo animale, che non capisce le cose divine (1 Cor.,II) in queste creature visibili vede l'aspetto esteriore, ma non ne capisce l'interiore significato. Colui che è spirituale, invece, ed è capace di valutare tutte le cose, mentre considera di fuori la bellezza dell'opera, vi legge dentro quanto mirabile sia la sapienza del Creatore. Pure, non vi è nessuno a cui le opere di Dio non appaiano mirabili, anche se l’insipiente mira in esse soltanto l'aspetto esteriore, mentre il sapiente da ciò che vede fuori scorge il pensiero della divina sapienza, così come se di una ed identica scrittura uno lodasse il valore o la forma dei segni, l'altro il senso e il significato.

 

 

Alano di Lilla

Rhythmus alter

Quasi libro e pittura

Presentiamo alcuni versi tratti da un Rhithmus (componimento poetico che non segue la metrica latina, ma quella sillabica delle lingue volgari), che nel manoscritto dove è stato trovato è intitolato “in cui si dipinge la natura umana corrotta e caduta”

 

 

 

 

 

 

 

 

Al mondo ogni creatura

è come un libro e una pittura

per noi, e uno specchio.

Della nostra vita, della nostra morte

del nostro stato, della nostra sorte

fedele simbolo.

Il nostro stato descrive la rosa,

del nostro stato adatta glossa,

commento alla nostra vita. 

Lei che fiorisce di primo mattino,

e disfiorato fiore sfiorisce

con la vecchiaia della sera.

Dunque respirando il fiore spira,

già impallidisce mentre delira,

sul nascere muore.

Insieme vecchia e novella,

insieme decrepita e fanciulla,

la rosa marcisce nel nascere.

Così la primavera della vita umana

nel primo mattino di gioventù

rifiorisce un poco.

Ma conclude questo mattino

il tramonto della vita,

mentre chiude il crepuscolo vitale.