DANTE E LA BIBBIA

Introduzione

È stato, soprattutto, Michel Foucault, negli anni Sessanta ad affermare che una cultura si definisce attraverso il modo con cui suggerisce di leggere i testi più ancora che attraverso i titoli dei libri più diffusi. Ed è stato Gianfranco Contini, uno dei più grandi critici italiani, a invitare tutti coloro che intendono affrontare un autore a rovistare, prima di tutto, nella sua biblioteca. Per capire Dante bisognerebbe, dunque, andare a curiosare tra i libri che aveva letto, cercando di capire in che modo li leggeva.

Nell'intento di semplificare quest'operazione, potremmo dividere la biblioteca di Dante in tre grandi sezioni:

1. la Bibbia e i Padri della Chiesa, comprendente anche le opere dei teologi più vicini a lui;

2. i classici latini e greci (questi ultimi in traduzione), a loro volta divisi in letterati e filosofi;

3. le opere di carattere scientifico.

A un lettore dei nostri giorni, i testi della prima sezione (la Bibbia e i Padri della Chiesa), risultano accessibili con qualche difficoltà.

Se anche oggi è piuttosto semplice disporre di un esemplare della Bibbia, non è detto che la si legga nel modo in cui la leggeva Dante. Così, pur avendo in mano lo stesso libro, è possibile che il lettore moderno legga, per così dire, un altro testo. Nei paragrafi che seguono cercheremo di spiegare in cosa consista la differenza.

Le opere dei Padri della Chiesa risultano, invece, quasi impraticabili per il lettore contemporaneo, e non solo per motivi di ordine linguistico. Per usare un esempio molto noto, del filosofo Ludwig Wittgenstein, diremo che i testi dei Padri si trovano nella condizione di chi volesse far capire che cosa sia l'aroma del caffè a persone che nella loro vita non hanno mai sentito parlare di quella bevanda. Nonostante la semplicità del contenuto, l'operazione complessiva non risulta affatto agevole.

I volumi della terza sezione (le opere di carattere scientifico) presentano difficoltà ancora maggiori.

A rendere praticamente estraneo al lettore moderno il contenuto dei testi scientifici dell'epoca di Dante sta, infatti, una enorme diga culturale costruita nei secoli immediatamente successivi alla scomparsa del poeta.

Ai tempi di Dante scienza, letteratura e filosofia erano fra loro "unite" e un intellettuale poteva esserne ugualmente esperto. Invece, dalla fine del Trecento in poi, il bacino dei letterati e quello degli scienziati sono diventati fra loro quasi incomunicabili, ed è quindi difficile, oggi, trovare un lettore della Commedia che sia nello stesso tempo appassionato ai procedimenti della fisica nucleare, ai problemi connessi col calcolo logico o ai risultati dell'astrofisica. È un dato di fatto che la gran parte dei letterati oppone un netto rifiuto anche alla più semplice delle espressioni matematiche.

Dante, al contrario, si muoveva continuamente, e con notevole agilità, da un campo all’altro, scoprendovi continuamente sorprendenti analogie. Non è questa, tra l'altro, l’ultima delle ragioni per cui alcune parti del poema - e soprattutto la terza Cantica - sono state considerate difficili o addirittura fastidiose dai letterati puri.

In questa sede ci limiteremo, dunque, ad affrontare la prima e la seconda sezione della biblioteca dantesca.

Dante e la Bibbia

La Bibbia è stata chiamata dallo studioso americano Northrop Frye con felice metafora Il Grande Codice, e un altro grande studioso, il tedesco Ernst R. Curtius (in Letteratura latina e Medioevo europeo), la indica come uno dei filtri più importanti attraverso i quali la cultura medievale ha letto l'antichità. Non si comprenderebbe l'intera opera di Dante e, in particolare, la scelta dantesca per il volgare, senza fare riferimento al linguaggio biblico.

La Bibbia, ai tempi di Dante, era un testo letto e conosciuto da tutti, ma il dato importante, soprattutto ai fini del nostro discorso, è il modo in cui la si leggeva allora, ricordando che, anche oggi, cattolici, ebrei e protestanti leggono tutti la Bibbia, ma ciascuno è molto geloso del suo modo di leggerla.

La diversità riguarda l'interpretazione di singoli passi, specialmente quelli dai quali dipende anche il significato di altri e la preferenza accordata a una sezione piuttosto che a un'altra, ma implica soprattutto le modalità con cui questa lettura avviene, laddove per modalità si intende:

1. il verso con cui si legge il testo;

2. il luogo della lettura.

Quanto al verso c'è chi la legge da cima a fondo e chi dal fondo all'inizio. Gli ebrei la leggono nel primo modo: per loro è un libro il cui capitolo decisivo -quello relativo alla venuta del Messia - non è ancora stato scritto. I Cristiani la leggono nel secondo modo, ossia come coloro che leggono un documento conoscendone già la conclusione. La cultura laica a noi contemporanea, non ritenendo rilevante la questione che risulta essenziale per le culture precedenti (ovvero: il Messia è già venuto o deve ancora venire?), la studia come un qualsiasi altro documento di antropologia culturale.

Quanto al luogo, c'è chi ritiene che la lettura debba essere guidata e compiuta comunitariamente (la chiesa cattolica e gli ortodossi), chi pensa che possa essere condotta da ciascuno per conto suo (i protestanti), chi indipendentemente dalla tradizione religiosa (i laici) e chi solo attraverso una serie di commenti autorevoli (l'Ebraismo dopo la Diaspora). Affrontiamo ora le ragioni di queste diversità.