IL DIBATTITO DEI PRIMI SECOLI RELATIVO ALLA CULTURA PAGANA E IL MODELLO INTERPRETATIVO |
||
Quanto
detto precedentemente in rapporto alla Bibbia costituisce una struttura
metodologica, che si è progressivamente trasformata, in forza
dell'egemonia culturale assunta dal Cristianesimo nell'Europa occidentale,
in una forma mentale diffusa. Ai tempi di Dante era considerato ovvio,
naturale e quasi automatico quello che noi, oggi, riusciamo a ricostruire
solo superando una serie notevole di barriere culturali. Questo
procedimento veniva, dunque, applicato a qualsiasi testo, compresi quelli
precedenti l'avvento del Cristianesimo, ossia i cosiddetti classici latini
e greci. Il
dibattito su cosa si dovesse fare dell'immensa produzione non ebraica,
largamente operante al tempo in cui il Cristianesimo cominciò a
diffondersi, fu estremamente serrato, e Dante - che potè guardarlo quando
esso si era in certo senso concluso - ne fornisce più di un esempio. Il dibattito fu, come si è detto, molto serrato e ampio anche perché molti fra coloro che passarono dal Paganesimo al Cristianesimo erano intellettuali formatisi su quei classici, altri erano essi stessi poeti e scrittori di grido in quella letteratura. Né gli uni né gli altri potevano, pertanto, supporre di rifiutarla da un giorno all'altro. Il
modello teorico utilizzato anche da Dante per risolvere la questione è
quello elaborato dall'apostolo Paolo nel corso di una sua visita ad Atene,
allora capitale della cultura occidentale. L'episodio è riportato negli
Atti degli Apostoli (Atti 17, 17-34) e vale la pena di leggerlo
integralmente perché Dante lo richiama molto spesso. La posizione di
Paolo, nei suoi termini strutturali, è la seguente:
Su
questo modello il cristianesimo dei primi secoli affronta tutta la
cultura classica. Letta in questa prospettiva, essa testimonierebbe il
desiderio del proprio compimento, ossia della verità, senza però sapere
che questo compimento "é più vicino di quanto non si pensi", in quanto
è iscritto nel cuore stesso di
ciascun uomo, come un seme che può fiorire
semplicemente accettando che, oltre la zolla in cui è posto, si aprano il
cielo e la luce. La
metafora del seme appartiene in maniera esplicita
alla prima tradizione cristiana quando parla del pensiero antico. Questo mondo contiene semi
di verità (è la teoria Clemente di Alessandria e di Origene) o la
verità in maniera seminale, ossia
come energia che urge verso il proprio sviluppo (questa è anche una
metafora aristotelica) e spinge a cercare la luce, o a uscire dalla
caverna (e questa è una metafora platonica). |