L'INTELLETTO

A occuparsi dello spazio in cui si fanno le cose e le regole esistenti di per sé, dice Dante, non è più la ragione -che non ne ha la capacità-, ma un altro strumento che si chiama intelletto, e sul quale si discuteva molto - e talora anche accanitamente- ai suoi tempi. Il termine non aveva, allora, il significato che ha oggi. Non indicava cioè soltanto l'intelligenza, la capacità di ragionare, ma indicava la capacità di controllare il funzionamento stesso della ragione e corrispondeva alla facoltà che esercitiamo quando, di fronte a problemi che devono ancora essere definiti nella loro natura, cerchiamo di formulare una ipotesi e di scegliere - fra le tante possibili - quella in base alla quale si potrà condurre il ragionamento vero e proprio. Dante sapeva molto bene, come oggi sappiamo anche noi, che ogni problema sollecita un numero infinito di ipotesi. Quella che ciascuno sceglie di seguire è solo una fra le infinite.

Lo schema che Dante ha in mente, pertanto, potremmo rappresentarlo graficamente così:

Questo schema è la chiave fondamentale per la comprensione dei tre livelli a cui ogni uomo può vivere:

  1. il livello semplicemente naturale (il livello dei sensi, delle pulsioni e degli istinti fondamentali, che consentono il funzionamento fisiologico del corpo e ne generano il movimento. In altre parole: tutto ciò che l'uomo ha in comune con gli altri animali);

  2. il livello razionale, per cui l'uomo, considerato quello che può e che gli conviene fare, immagina strategie, si pone domande, vive le proprie contraddizioni irrisolte. Insomma, tutto quanto è specificamente umano come possibilità di bene e come limite o sofferenza;

  3. il livello intellettuale (quello per cui si può arrivare a fare esperienza diretta delle cose come stanno con l'infinito numero di approcci che esse sollecitano senza dover passare attraverso le difficoltà del ragionamento comune e del linguaggio che, normalmente, lo traduce).

Così come è stato disegnato sopra per ragioni didattiche, tuttavia, lo schema può dare l'errata impressione che la zona dell'intelletto non abbia nulla a che fare con quella della pura animalità. In realtà così non è, in quanto anche i bruti più bruti appartengono a quello che l'intelletto (infinito) genera e porta a compimento. Solo che i bruti - o l'uomo che vive come un bruto - non lo sanno o non ne tengono conto. Lo schema dovrebbe essere, dunque, pensato, più o meno, come una spirale che, distinguendo i tre livelli, li mette in relazione. Ma questo schema non è raffigurabile su una superficie come quella della pagina. Qualcuno, osservando lo schema A., avrà già notato che esso rappresenta anche, in maniera sintetica, l'architettura dell'universo dantesco.

L'Inferno - tutto terrestre, dentro la Terra - è la descrizione delle strutture mentali e affettive che hanno come esito un modo di vivere semplicemente bestiale.

Il Purgatorio - radicato nella Terra, ma aperto al cielo - indica il movimento di chi, assumendosene tutta la fatica e la responsabilità, cerca di imparare a vivere la propria pienezza di uomo razionale, liberandosi progressivamente dagli automatismi istintivi che procurano le pesantezze e le contraddizioni che normalmente si accompagnano alla vita.

Il Paradiso, infine, è il luogo fatto per proprio dell'umana specie, come dice Dante, ossia l'ambito nel quale - liberati da pulsioni contraddittorie e purificati i propri comportamenti - si vedono le cose e ci si capisce l'un l'altro senza nemmeno bisogno di ricorrere alle parole, o ai gesti, o ai segni.

 

Ma perfino al centro dell'Inferno si fa sentire la presenza di Dio che sta nel più largo dei cieli e nel più alto dei cieli non ci si dimentica della presenza di Satana, ossia della menzogna e dell'errore che sono gli ingombranti compagni di viaggio di tutti gli uomini.

Lo schema dell'universo dantesco è dunque il seguente: