LE RAGIONI DELL'INTERESSE DELLA CULTURA CRISTIANA PER QUELLA CLASSICA |
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La
cultura cristiana risulta estremamente interessata a studiare i meccanismi
che hanno generato le intuizioni della cultura
antioca e il grado di approsimazione raggiunto dai loro risultati rispetto
alla verità che si è manifestata nel cristianesimo. L'esistenza
di questa approssimazione rende, infatti, la verità ancor più vera e
universale, in quanto risposta all'uomo nel senso definitivo del termine e
non soltanto il civis romanus o al cittadino di una pòlis
greca. Il
lavoro culturale del Cristianesimo, fino al secolo in cui visse
Dante, consisté, in larga parte, nel tentativo di assorbire, entro i
nuovi orizzonti, quello che l'epoca classica aveva potuto soltanto sperare
che fosse giusto e vero, senza poterne avere la prova definitiva. Tra i
personaggi che ottennero i maggiori risultati in questa direzione fu il
vescovo africano Agostino, uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi,
nonché filosofo. Il suo libro più noto, Le confessioni, è stato
un modello imprescindibile per tutti coloro (da Petrarca ai giorni
nostri), che abbiano inteso alimentarsi con una autobiografia
intellettuale. Il
prototipo della visione dantesca si trova probabilmente, nel Libro ix,
capitolo x, di questo grande testo, nell'episodio noto come la Contemplazione
di Ostia, il porto vicino a Roma in cui Agostino e sua madre
attendevano di imbarcarsi per l'Africa. Ma il debito che Dante ha
contratto nei riguardi di questo personaggio è ancora in gran parte da
scoprire. Il lavoro di Agostino - immenso anche solo per la quantità - è consistito nell'utilizzare il patrimonio antico, letto soprattutto attraverso lo schema approntato dalla filosofia platonica -allora molto in auge-, per rendere ragione della inevitabile conclusione cui esso doveva approdare: riconoscere che Cristo è la risposta al desiderio che muove l'uomo alla ricerca della verità. La frase che sintetizza questa posizione si trova all'inizio delle Confessioni (I,1): Fecisti nos ad Te, et inquietum est cor nostrum
donec requiescat in Te. Agostino
era un grande conoscitore della letteratura antica in tutti i suoi
risvolti e le sue sottigliezze e, da un punto di vista metodologico, il
suo lavoro fu importantissimo perché consentì quell'opera di recupero
della tradizione pagana che altri avrebbero voluto condannare in blocco. Per
Agostino il confronto con il pensiero classico avrebbe, invece, permesso
anche ai Cristiani di capire meglio quello che avevano incontrato e di
renderne ragione in termini meno ingenui. Lo avrebbe permesso, prima di
tutto, a lui stesso. Volessimo,
dunque, sintetizzare attraverso Agostino la posizione (certamente più
complessa e articolata) del cristianesinno a proposito della cultura
classica potremmo dire così:
Questa
posizione porta, per contrasto, a ritenere inescusabile quella parte della
cultura pagana che non ha inteso riconoscere, nella presenza storica della
comunità cristiana, l'esito inevitabile della propria tradizione. Questo
doppio verso della lettura è ciò che rende ragione del doppio
registro con cui l'epoca di Dante guarda all'età classica.Da una parte
infatti gli antichi sono sono detti falsi e bugiardi
(per bocca di Virgilio, Inf. I, 72), dall'altra Dante noti
esita a chiamare Dio stesso Sommo Giove e a invocare Minerva, Apollo e le
Muse quando si appresta a entrare in Paradiso e anche più avanti. In
questa operazione, Dante segue passo passo Agostino (senza citarlo mai
esplicitamente, ma impastando i suoi versi con frasi tratte principalmente
da due sue opere: il De Trinitate - perfino nella Lettera a Cangrande-
e il De Doctrina christiana). Gli
dei sono, infatti, falsi e bugiardi quando
pretendono di essere quella verità compiuta che non possono essere; sono
veri - anzi: sono ancora più veri - quando sono l'immagine del desiderio
del compimento di sé. |