LETTURA EBRAICA E LETTURA CRISTIANA |
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I
problemi cui abbiamo accennato hanno origini molto antiche e la loro
vicenda trova il suo momento più drammatico -e in certo senso il suo nodo
esemplare- nel confronto fra Gesù di Nazareth, che affermava di essere il
Messia, e i Farisei (i fedelissimi della tradizione), che ritenevano
questa pretesa scandalosa e assurda. Quasi
tutti i dibattiti a tema biblico presenti nel Vangelo seguono il medesimo
schema. I
Farisei sono presentati come coloro che tendono a mettere in dubbio le
capacità interpretative di Gesù di Nazareth (che pure era un Rabbi,
ossia un interprete biblico ufficialmente riconosciuto) ponendogli
questioni molto precise di critica testuale, in una forma che ricalca,
passo per passo, quella ancora in uso nelle scuole rabbiniche più
prestigiose. Tali
questioni risultano tutte impostate secondo la logica che segue.
Anche
la risposta dell'interessato segue sempre il medesimo schema.
E
dato che, letto in questo modo - ossia, a ritroso (da
ora a prima), o dal Messia alla Legge (o ai Profeti) e non
viceversa- il brano risultava effettivamente più chiaro e più
comprensibile, e quasi inequivocabile, i Farisei si trovavano sotto scacco
proprio sul loro terreno. Questo, almeno, è quel che mostrano i Vangeli. Lo
schema interpretativo del Messia non è del tutto nuovo. La grandezza dei
profeti biblici, e soprattutto la grandezza dei due massimi poeti ebraici
- il Re David e suo figlio Salomone -, non sta, infatti, tanto nell'aver
predetto il futuro (che per gli Ebrei non si è ancora avverato) quanto
nell'aver riletto in modo nuovo e più vero la storia
passata alla luce del loro presente. Forniamo
un esempio di questa rilettura su un episodio, tra l'altro,
molto caro a Dante. È
noto che, fuggendo dall'Egitto per tornare nella loro terra, gli Ebrei
dovettero attraversare il Mar Rosso. Il cinema ha offerto spettacolari
ricostruzioni di questa scena, ma la lettura del testo permette di capire
che le cose andarono in modo molto più semplice, senza effetti speciali. L'effetto
davvero speciale di quell'attraversamento di una zona umida - come la si
direbbe oggi - fu un altro. Il
libro dei Nomi (o Esodo), infatti, mostra in maniera piuttosto chiara che
quella popolazione, numericamente quasi insignificante, che cercava di
tornare a casa, non aveva altra coscienza di quello che stava facendo se
non quella di trovare una situazione più vivibile rispetto a quella
lasciata alle spalle e spesso anche rimpianta. Ben
diversa, però, era la coscienza dei suoi capi: lì stava nascendo un
popolo da cui sarebbe venuta la salvezza del mondo, promessa da Dio stesso
al capostipite della popolazione, Abramo, che per primo aveva portato le
sue greggi sulla Terra verso cui, ora, si stavano dirigendo. In vista del compimento
di questa promessa si potevano sopportare, dunque, i disagi
del viaggio. Ma la gente comune, lo ripetiamo, aveva un'altra visione
della situazione: non vedeva che sassi, serpenti e scorpioni e dubitava,
erroneamente, di arrivare a una soluzione. Qualche
secolo dopo, insediatosi felicemente sulla terra promessa e costruita la
città di Gerusalemme nel luogo stesso in cui il patriarca Abramo aveva
obbedito al Signore fino al sacrificio del figlio Isacco (sacrificio
evitato solo all'ultimo momento), il re Davide scrisse quello che oggi è
noto come il Salmo 113: Quando Israele uscì dall'Egitto...,
nel quale si mostra come il famoso passaggio attraverso il
mare significa che gli uomini sono destinati a trovare la libertà e la
felicità (la Terra Promessa) se seguono le indicazioni di Dio: egli vuole
che essi si lascino alle spalle il paese della schiavitù,
ossia la tendenza a farsi complici, e quindi a lasciarsi opprimere, dalle
proposte interessate di chi detiene il potere (l'Egitto). È
questa la ragione per la quale gli Ebrei ricordano ogni anno quel
passaggio come l'inizio del loro popolo, fondato sulla consapevolezza
della bontà di Dio nei loro confronti. Egli, infatti, li ha sottratti
dalle mani del Faraone, ha mantenuto la promessa fatta ai loro padri, ha
dato loro una terra in cui scorrono latte e miele. È la festa conosciuta
come Pasqua, che significa, appunto, passaggio. Visto
dalla parte di Davide, dunque, il significato di
quella lontana avventura risulta molto diverso da quello datogli dai
diretti protagonisti, eccezion fatta per i capi, che, soli, ne intravidero
il senso ultimo, cioè quello che si comprende adesso, alla luce di
tutto quello che è successo dopo e che ne chiarisce la verità. |