2. Il culto

2.1. Il culto sinagogale e la preghiera

La liturgia sinagogale, pur avendo le sue origini nel periodo preesilico, si sviluppa durante l’esilio babilonese: essa è costituita dalla lettura e dall’interpretazione dei testi sacri che si andavano formando e dalla preghiera comune. Dopo il ritorno da Babilonia troviamo elementi del culto sinagogale anche nel culto del Tempio.

Pur nei diversi stili architettonici, nella sinagoga (beth ha-knesseth) ci sono degli elementi fissi: l’armadio (o arca) sacro (‘aron ha-qodesh) posto sulla parete rivolta verso Gerusalemme; all’interno dell’‘aron ha-qodesh c’è il sefer Torah, rotolo manoscritto del Pentateuco, ornato come un sommo sacerdote. Al centro della sinagoga c’è di solito una specie di pulpito dal quale si legge la Torah; i membri della comunità si mettono su delle panche di legno; spesso nelle sinagoghe c’è anche il matroneo per le donne.

I tempi della preghiera sono tre: la preghiera serale (‘arvit), quella mattutina (sharit) e quella pomeridiana (mincha). Le due parti più importanti di queste preghiere sono: lo shemah israel (sera e mattina) e la tefillah («preghiera»), detta ‘amidah, perché si recita stando in piedi. Ogni preghiera termina con il qaddish.

 

2.2. Le feste di pellegrinaggio (shalosh regalim)

Sono tre feste che hanno molti tratti in comune:

-     segnano diversi stadi del raccolto: pesach: primo raccolto; shavuoth: secondo raccolto; sukkoth: vendemmia dei frutti maturi;

-     si riferiscono ad eventi importanti della storia d’Israele: pesasch: liberazione dall’Egitto; shavuoth: rivelazione del Sinai, sukkoth: peregrinazione nel deserto;

-     ricordano tre verità religiose fondamentali: pesach: la dottrina dell’esistenza di Dio; shavuoth: la rivelazione di Dio; sukkoth: la provvidenza di Dio;

-     sono tutte e tre feste di gioia.

 

2.2.1. Pesach (pasqua): si celebra dal 15 al 22 di nisan. I suoi nomi illustrano bene i vari aspetti della festa:

- hag ha-mazzoth (festa degli azzimi): Esodo 12,15 proibizione di mangiare pane lievitato in ricordo dell’esodo.

- hag ha-pesach (festa di pasqua): Esodo 12,27 passaggio dell’angelo della morte.

- zeman herotenu (epoca della nostra libertà): liberazione dalla schiavitù egiziana (libertà da... che diventa libertà per...).

- hag ha-aviv (festa della primavera): aspetto agrario, inizio della fecondità della terra.

Nella fase di preparazione (14 nisan) si cerca tutto il lievitato, lo si elimina, si purificano tutti gli strumenti che sono venuti in contatto con il lievitato. Nella fase del seder («ordine»), che è il momento più importante della festa (si tratta di una liturgia domestica), ci sono tre dimensioni fondamentali:

a) evento = ricordo («Ecco il pane dell’afflizione che i nostri padri mangiarono in terra d’Egitto»);

b) celebrazione dell’evento (narrazione-gesto-sacrificio) = amore per il prossimo («Chiunque ha fame, venga e mangi. Chiunque è nel bisogno venga a festeggiare Pesach con noi»)

c) attesa escatologica = speranza della futura liberazione («Quest’anno ancora qui, l’anno prossimo in erez Israel. Quest’anno ancora schiavi, l’anno prossimo uomini liberi»).

Sulla tavola ci sono tre azzimi sovrapposti, una zampa d’agnello (ricordo del sacrificio pasquale), un uovo sodo (segno di lutto per la distruzione del Tempio), erbe amare, un composto di mele, frutta secca, miele, cannella (ricordo dell’argilla con cui gli israeliti facevano i mattoni in Egitto).

Grande importanza ha il vino: nel seder si bevono in successione quattro bicchieri di vino, legati a Esodo 6,6-7: «E Io vi farò uscire e vi libererò e vi redimerò e vi prenderò per me». Esiste anche il cosiddetto calice di Elia, che si versa ma non si beve, in quanto rappresenta un segno escatologico che attesta la speranza nella venuta del precursore del Meshiah.

 

2.2.2. Shavuoth (festa delle settimane): si celebra il 6 di sivan. In origine era una festa cananea, ma poi sia la Mishnah sia il Talmud la considerano come la festa della rivelazione dei dieci comandamenti. Si chiama «festa delle settimane» perché viene celebrata alla fine delle sette settimane dopo il primo giorno dell’omer di pesach. Da un lato, essa è espressione di riconoscenza per la benedizione del raccolto e dall’altro conferisce il fondamento alla fede giudaica, cioè la fede nella rivelazione divina. Infatti, i dieci comandamenti sono stati dati da Dio sette settimane dopo l’uscita dall’Egitto.

 

2.2.3. Sukkoth (festa delle capanne): si celebra per sette giorni dal 15 al 22 di Tirshi. Cfr. Levitico 23,34.42-43. Anch’essa era una festa di origine cananea (la festa della spigolatura). Il nome della festa deriva dalle capanne che venivano costruite durante la raccolta di autunno. Più tardi, a partire da questa usanza, si stabilì un rapporto con la peregrinazione nel deserto, durante la quale il popolo abitava in capanne. L’usanza principale della festa è costruire capanne fatte di fogliame, non di materiale impermeabile, come il legno, in modo che vi possano passare gli agenti atmosferici. La funzione sinagogale prevede la presenza di quattro specie di alberi: un ramo di palma (lulavi), un ramo di salice piangente (‘aravot), un ramo di mirto (hadas) e un ramo di cedro (‘etrog).

 

2.3. Le feste solenni

I primi dieci giorni di tishri sono detti jamim nora’im, «giorni terribili, spaventosi»: sono giorni simbolicamente offerti a Dio come dono, giorni di particolare devozione, di un più serio esame di sé e di decisione a vivere secondo al volontà di Dio. A differenza dello shabbat e delle feste di pellegrinaggio, in cui prevale la gioia, sono giorni pieni di serietà, di tremore davanti al Giudice divino. Il tempo di questi dieci giorni è l’ultima occasione per pentirsi del male fatto e implorare la grazia divina. Le feste solenni sono due.

 

2.3.1. Rosh hashanah: si celebra l’1-2 di tishri e segna l’inizio dei jamim nora’im, che culminano con Yom Kippur. I due temi portanti della festa sono il ricordo e il giudizio, espressi dal suono dello shofar (Numeri 29,1; Levitico 23,24). Il corno d’ariete era originariamente un corno d’allarme, per cui il suono di questo corno deve mettere in allarme il popolo e invitarlo ad unirsi nella fede in Dio: il popolo deve ricordarsi che Dio veglia su di lui, che osserva tutto quello che fa; al tempo stesso, il popolo deve ricordarsi che Dio è giusto e quindi giudica. E’ soprattutto alla fine e all’inizio dell’anno che l’uomo è portato a riflettere sul proprio passato.

Questa data è considerata sia il compleanno del mondo sia il giorno in cui viene emesso un giudizio su ogni creatura. Si tratta di una festa dai caratteri universali, come si legge in un inno recitato in quel giorno: «Oggi è il compleanno del mondo, oggi sono chiamate in giudizio tutte le creature del mondo».

 

2.3.2. Yom Kippur: è la festa per eccellenza dell’ebreo, tanto che la Mishnah lo chiama semplicemente Yomah, il giorno più santo e solenne. L’origine biblica è in Levitico 16: il rituale qui menzionato rappresenta il culmine della dimensione sacrificale (capro espiatorio: rito espiatorio, radice kpr, da cui il nome). Il passaggio dalla liturgia sacrificale a quella sinagogale (preghiera, buone opere) equivale al passaggio dalla kapparah (espiazione e purificazione rituale) alla teshuvah (pentimento; cfr. Isaia 57,4-58,16). La Mishnah dice che nel giorno di Kippur «è proibito mangiare e bere, lavarsi e ungersi, calzare scarpe e avere rapporti sessuali». Il giorno di Kippur è chiamato anche shabbat shabbaton.

 

2.4. Altre feste

2.4.1. Chanukkah. Si tratta di una festa postbiblica che commemora la vittoria dei Maccabei sui Siriani nel 165-163 a.e.v. E’ una festa della luce, un po’ come il Natale cristiano, infatti cade tra il 25 kislev e il 3 tevet, in coincidenza con il solstizio invernale. La durata di otto giorni è spiegata dal Talmud: «Quando i Greci penetrarono nel Tempio profanarono tutto l’olio che vi si trovava. Ora, quando la dinastia degli Asmonei sconfisse i greci, cercarono l’olio puro per la menorah del Tempio, ma ne trovarono solo un piccolo vasetto, sufficiente per un solo giorno ed era sigillato con il sigillo del sommo sacerdote. Però avvenne un miracolo e poterono accenderlo per otto giorni. Nell’anno successivo stabilirono questi otto giorni come una festa, per cantare i salmi di Hallel [113-118] e per compiere una preghiera di ringraziamento» (b. Shabbat 21b). In effetti nel corso degli otto giorni vengono progressivamente accese le otto luci della channukkjah, una lampada apposita con otto braccia. La festa potrebbe essere definita come la leggenda dell’olio che brucia più di quanto dovrebbe.

 

2.4.2. Purim. Il termine significa «tirare a sorte» e allude ai dadi lanciati da Haman per fissare la data propizia del massacro degli ebrei (Ester 3,7-14). Le usanze relative alla festa sono fissate nel trattato talmudico Meghillah: esso prescrive la lettura del rotolo di Ester, alla mattima e alla sera; Purim è caratterizzata da un’atmosfera di gioia carnascialesca. In effetti, i due tratti tipici della festa sono appunto la dissimulazione (maschere) e l’eccesso (semel in anno licet insanire), tipici del carnevale.

 

2.5. Lo shabbat

Il sabato è sicuramente uno dei fondamenti dell’ebraismo. Tre sono le fonti bibliche:

-     Esodo 20,8-11: «Ricordati del giorno di Sabato per santificarlo»: la motivazione si ricollega a Genesi 2,1-3, in cui si dice che Dio «nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò (shavat) da ogni suo lavoro»;

-     Esodo 31,13-14: «il sabato è un segno tra me e voi per le vostre generazioni, perché si conosca che Io sono il Signore che vi santifica. Osserverete dunque il Sabato»: Sabato come segno del particolare legame che unisce il Signore e il popolo d’Isarele, segno del patto;

-     Deuteronomio 5,12-15: Sabato come memoriale dell’esodo.

Anche se la Torah non è molto precisa nell’elencare i lavori proibiti, le discussioni rabbiniche hanno fissato due gruppi di attività che non si possono fare di shabbat: 1) tutte le attività che nella Torah orale sono indicate come melakoth, «attività produttive», tali cioè da produrre qualcosa che è destinato a rimanere anche quando è finita l’attività che l’ha prodotta, indipendentemente dal fatto che siano faticose o no; 2) tutte le attività che si devono considerare inopportune per il giorno di sabato, in quanto lo trasformerebbero in un giorno comune, quali per esempio i commerci e i viaggi. Ci sono però anche attività che di sabato si possono fare: il sacrificio (quando c’era il Tempio), la circoncisione (se l’ottavo giorno cade di shabbat), salvare la vita di una persona in pericolo di morte.

Anche se l’astensione dalle attività varia tra ebrei ortodossi ed ebrei liberals, tutti insistono su tre aspetti fondamentali dello shabbat: la qedushah (santità), la menuchah (riposo) e l’oneg (gioia). In effetti, shabbat è il giorno per antonomasia della gioia e del raccoglimento, nel corso del quale tutte le preoccupazioni della settimana devono essere lasciate da parte: si deve mangiare bene, bisogna consacrare un po’ di tempo allo studio e al riposo, le relazioni coniugali sono molto incoraggiate, l’ospitalità è un dovere.

Shabbat comincia con il tramonto di venerdì e finisce con il tramonto di sabato, quando si celebra la havdalah, una cerimonia della separazione, in cui si loda Dio per aver separato i giorni normali dai giorni santi. Il venerdì sera ci sono due momenti: la preghiera della sera (ma’ariv) in sinagoga e la celebrazione domestica. La liturgia sinagogale del Sabato mattina (shaharit) prevede la preghiera del mattino e la lettura della Torah. Anche l’ufficio del pomeriggio (minchah) prevede la lettura della Torah e una cerimonia domestica.