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Cum
dedit ille locum, cophino fenoque relicto
arcanam Iudaea tremens mendicat in aurem,
interpres legum Solymarum et magna sacerdos
arboris ac summi fida internuntia caeli.
Implet et illa manum, sed parcius; aere minuto
qualiacumque voles Iudaei somnia vendunt.
Quidam sortiti metuentem sabbata patrem
nil
praeter nubes et caeli numen adorant,
nec
distare putant humana carne suillam,
qua pater abstinuit, mox et praeputia ponunt;
Romanas autem soliti contemnere leges
Iudaicum ediscunt et servant ac metuunt ius,
tradidit arcano quodcumque volumine Moyses,
non
monstrare vias eadem nisi sacra colenti,
quaesitum ad fontem solos deducere verpos.
Sed
pater in causa, cui septima quaeque fuit lux
ignava et partem vitae non attigit ullam. |
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Egli
se n’è appena andato, ed ecco un’ebrea tutta tremiti, che,
deposto il suo cesto e il suo fieno, mendica di soppiatto
all’orecchio; ella è interprete delle leggi di Gerusalemme,
grande sacerdotessa dell’albero, fedele messaggera del cielo.
Anche a lei si riempie la mano, ma con meno: per due soldi i
Giudei vendono tutti i sogni che vuoi!
Altri
ancora, avendo avuto dalla sorte un padre che si preoccupa del
sabato, non adorano altro che le nuvole e la potenza del cielo,
e sono convinti che non ci sia alcuna differenza tra la carne
umana e quella del porco, da cui già il padre si asteneva, e
presto si fanno circoncidere. Soliti poi a non curarsi delle
leggi romane, imparano a memoria il diritto giudaico, lo
osservano e lo temono, insieme con tutto quanto ha loro
tramandato Mosè col suo misterioso volume, e soltanto ai loro
correligionari indicano la strada, soltanto ai circoncisi la
fonte. La colpa è del padre che ogni sette giorni stava in ozio
e rifiutava qualunque occupazione. |