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[...]
haec
dum agit, ecce
Fuscus Aristius occurrit, mihi carus et illum
qui
pulchre nosset. Consistimus. «Unde venis et
quo
tendis?» rogat et respondet. Vellere coepi
et
pressare manu lentissima bracchia, nutans,
distorquens oculos, ut me eriperet. Male salsus
ridens dissimulare; meum iecur urere bilis.
«Certe nescio quid secreto velle loqui te
aiebas mecum. - Memini bene, sed meliore
tempore dicam; hodie tricensima sabbata; vin tu
curtis Iudaeis oppedere? - Nulla mihi, inquam,
religio est. - At mi: sum paulo infirmior, unus
multorum. Ignosces alias loquar.» Huncine solem
tam
nigrum surrexe mihi! fugit inprobus ac me
sub cultro linquit. [...] |
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Mentre quello parla, ecco che mi viene incontro Aristio Fusco,
mio buon amico, che certo conosceva bene quel tipo. Ci fermiamo.
«Da dove vieni e dove vai?» chiede e risponde. Comincio a
tirarlo, stringendogli le braccia senza che reagisca, ammiccando
con gli occhi gli faccio cenni, perché mi cavasse dai pasticci.
Ma quello sciagurato, ridendo faceva finta di non capire: la
bile mi bruciava il fegato. «Se non sbaglio, m'hai detto che
volevi parlarmi di qualcosa a quattr'occhi.» «Me lo ricordo
bene, ma te la dirò in un momento migliore; oggi è il novilunio
ed è sabato: vuoi forse fare oltraggio agli ebrei circoncisi?
«Non ho queste superstizioni», gli rispondo. «Ma io sí: soffro
di certe debolezze, come tanti. Abbi pazienza: te la dirò
un'altra volta.» Una giornata proprio nera doveva capitarmi!
Scappa il furfante e mi lascia sotto la lama.
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