Orazio, Satires I,9,60-74

     
 

[...] haec dum agit, ecce

Fuscus Aristius occurrit, mihi carus et illum

qui pulchre nosset. Consistimus. «Unde venis et

quo tendis?» rogat et respondet. Vellere coepi

et pressare manu lentissima bracchia, nutans,

distorquens oculos, ut me eriperet. Male salsus

ridens dissimulare; meum iecur urere bilis.

«Certe nescio quid secreto velle loqui te

aiebas mecum. - Memini bene, sed meliore

tempore dicam; hodie tricensima sabbata; vin tu

curtis Iudaeis oppedere? - Nulla mihi, inquam,

religio est. - At mi: sum paulo infirmior, unus

multorum. Ignosces alias loquar.» Huncine solem

tam nigrum surrexe mihi! fugit inprobus ac me

sub cultro linquit. [...]

   

  Mentre quello parla, ecco che mi viene incontro Aristio Fusco, mio buon amico, che certo conosceva bene quel tipo. Ci fermiamo. «Da dove vieni e dove vai?» chiede e risponde. Comincio a tirarlo, stringendogli le braccia senza che reagisca, ammiccando con gli occhi gli faccio cenni, perché mi cavasse dai pasticci. Ma quello sciagurato, ridendo faceva finta di non capire: la bile mi bruciava il fegato. «Se non sbaglio, m'hai detto che volevi parlarmi di qualcosa a quattr'occhi.» «Me lo ricordo bene, ma te la dirò in un momento migliore; oggi è il novilunio ed è sabato: vuoi forse fare oltraggio agli ebrei circoncisi? «Non ho queste superstizioni», gli rispondo. «Ma io sí: soffro di certe debolezze, come tanti. Abbi pazienza: te la dirò un'altra volta.» Una giornata proprio nera doveva capitarmi! Scappa il furfante e mi lascia sotto la lama.