1. BREVE STORIA DELL’ANTICO ISRAELE E DEGLI EBREI |
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Gli Ebrei abitavano la terra di Canaan, confinante a nord con la catena del Libano e dell’Antilibano, a sud con il deserto del Sinai, a est con il deserto Arabico, a ovest con il Mediterraneo. In origine la terra di Canaan fu abitata dai Cananei, popolo etnicamente affine ai Fenici. Verso il 1200 a.C. fu occupata lungo il litorale dai Filistei, uno dei popoli del mare, di origine indoeuropea. Dai Filistei deriva alla terra di Canaan il nome Palestina. La regione più fertile della Palestina era la Galilea, e si estendeva dalle montagne del Libano a sud fino al monte Tabor. Nel centro della Palestina era la Samaria, a sud la Giudea, arida e dirupata, con Betlemme e con la capitale Gerusalemme. A oriente era l’attuale Transgiordania, che gli Ebrei chiamavano Gilead. La Palestina ebbe una grande importanza storica perché diede origine all’ebraismo e al cristianesimo, inoltre essa era l’unica via terrestre praticabile tra l’Egitto, la Siria e la Mesopotamia: fondamentale fu quindi il suo ruolo nell’emigrazione e nel commercio. |
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1. L’età dei Patriarchi (2100-1600) | ||||||||
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2. L’esodo dall’Egitto (1300-1250 circa) | ||||||||
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3. Gli Ebrei in Palestina (1250-1230 circa) | ||||||||
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Come spesso succede nella storia dei popoli il punto più alto coincide con l’inizio della decadenza: i forti tributi imposti per la costruzione di edifici pubblici e per il lusso della corte provocarono un gran malcontento tra la gente. In seguito a una grande insurrezione ben dieci tribù si staccarono dal regno scegliendo come capo Geroboamo (figlio di Salomone). Si formarono così due regni: a Nord il regno d’Israele (922-586), formato dalle dieci tribù secessioniste, con capitale Samaria; a sud il regno di Giuda, formato dalla tribù di Saul e dalla tribù di Davide, con capitale Gerusalemme. Approfittarono di questa divisione e del conseguente indebolimento gli Assiri a est e gli Egiziani a sud. Il regno d’Israele fu maledetto dai profeti. La sua storia fu caratterizzata da molte discordie interne e terminò sotto il re Sargon II che deportò gran parte del popolo in Assiria. Dopo la fine del regno d’Israele gli unici Ebrei superstiti (non dispersi in mezzo agli altri popoli) furono quelli del regno di Giuda; per questo si suole definirli, da quel momento in poi, anche Giudei.
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4. Il periodo ellenistico |
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La conquista della Persia da parte di Alessandro, se da una parte eliminò il tradizionale nemico dei Greci, dall'altra introdusse una frattura epocale nella storia e nella cultura greca: l'avvento dell'età ellenistica, infatti, sostituì alla chiusura della polis un “colonialismo” greco-macedone. Anche se non sono necessariamente attendibili le cifre che parlano di 100.000 prigionieri di guerra portati in Palestina da Tolomeo I e della presenza di un milione di ebrei in Egitto un paio di secoli dopo, certo è che l'età ellenistica doveva avere enormemente amplificato quel fenomeno noto come diaspora, vale a dire la «dispersione» degli ebrei. Dopo una prima diaspora già iniziata al tempo della cattività babilonese, por la diaspora di età ellenistica fu fondamentale la fondazione di Alessandria d'Egitto, che attirò molti giudei palestinesi in quanto godevano gli stessi diritti concessi alla parte greca della popolazione. |
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5. La dominazione siriaca |
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6. La rivolta dei Maccabei e il trattato di alleanza con Roma | ||||||||
Gerusalemme oppose un netto rifiuto all'ellenismo in nome della propria fedeltà al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Il sacerdote Mattatia diede inizio alla rivolta rifiutandosi di sacrificare agli idoli e fuggì sui monti raccogliendo schiere dei cosiddetti hassidìm («i pii»). Seguì una guerra santa condotta vittoriosamente in forma di guerriglia da Giuda, soprannominato Maccabeo («Martello»), che con le sue bande riuscì ad aprirsi la strada verso Gerusalemme, dove nel 164 a.C. purificò e restaurò il Tempio. A Giuda, caduto in combattimento nel 160, successero rispettivamente i fratelli Gionata (160-143 a.C.) e Simone (143-134 a.C.), la cui lotta mirava a conseguire l'indipendenza politica dopo quella religiosa. In questa guerra combattuta per la religione e per l'indipendenza, nel 161 Giuda Maccabeo stipulò con Roma un trattato che assicurava assistenza militare alla Giudea in caso di una nuova aggressione da parte siriana, che infatti si verificò nel 135, quando il re di Siria Antioco VII cinse d’assedio Gerusalemme. La situazione fu risolta grazie all’intervento diplomatico di Roma, che ancora una volta approfittava dei conflitti locali per consolidare la propria presenza nello scacchiere orientale. |
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7. La dinastia degli Asmonei e l’intervento di Roma | ||||||||
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8. L'occupazione della Giudea da parte di Pompeo | ||||||||
Nel 64, Pompeo conquista la Giudea e Gerusalemme, inserendosi nella contesa tra Ircano e Aristobulo. Dal momento che le mediazioni con i suoi legati erano fallite, Pompeo interviene personalmente, rendendo tributaria la Giudea e lasciando a Ircano non il regno ma solo il sommo sacerdozio; con tale comportamento egli accoglie le richieste di una delegazione di giudei che volevano fosse ripristinato l'antico regime teocratico, eliminando la monarchia degli Asmonei (illegale in quanto non di discendenza davidica). Il regime asmoneo era in crisi da tempo: l'equilibrio tra potere spirituale e potere temporale del tempo di Simone si era spezzato quando gli Asmonei avevano assunto il titolo di re. Pompeo entra nel santuario fino al Santo dei Santi, senza però toccare niente del tesoro e degli arredi sacri. Tuttavia il suo atto rappresentò una profanazione per le coscienze religiose dei giudei. |
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9. Il regno di Erode il Grande | ||||||||
Nel 40 a.C., quando i Parti invadono la Giudea, Erode si rifugia a Roma, dove è sostenuto grazie ai legami di suo padre con Cesare e Marco Antonio; e qui, su proposta di quest’ultimo, il senato lo nomina re di Giudea, dal momento che è necessario un uomo forte da opporre alla minaccia dei Parti (eterni nemici di Roma). Tornato in patria, dopo la ritirata dei parti, riconquista progressivamente tutto il territorio e stringe d’assedio Gerusalemme; infine nel 37 prende d’assalto la città, elimina Antigono e unifica il regno. Erode regna dal 37 al 4 a.C., e per lungo tempo soffoca ogni tentativo di ribellione. L’immagine più diffusa di questo re è quella che ci viene fornita dal secondo capitolo del Vangelo di Matteo: astuto, subdolo e crudele. Questa descrizione è probabilmente reale, ma, in ogni caso, egli non si discosta di molto dalla media comportamentale dei dinasti ellenistici. Erode è tra l’altro un ammiratore della cultura ellenistica, che cerca di promuovere in ogni modo: incoraggia la diffusione di culti pagani; organizza giochi e gare atletiche; costruisce città secondo criteri urbanistici ellenistici. I primi a opporsi sono i farisei, ma vere e proprie resistenze iniziano a manifestarsi solo verso la fine del suo regno. Il primo episodio si verifica nel 7/6 a.C., è il rifiuto da parte di seimila farisei a un giuramento di fedeltà preteso da Erode per sé e per Augusto. Il secondo è l’abbattimento, a seguito della falsa notizia della sua morte, di un’aquila d’oro fatta collocare dal re sopra la porta del tempio. Entrambe queste iniziative vengono duramente punite dal re. Dopo la sua morte, i tumulti non cessano. Il testamento di Erode prevedeva la spartizione del regno tra il figlio Archelao, al quale vanno la Giudea, la Samaria e l’Idumea, la sorella Salome, che ottiene tre città, e gli altri figli del re: Antipa e Filippo. |
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10. La prima rivolta giudaica (66-73 d.C.) | ||||||||
All’inizio del 66 d.C. le tensioni etniche all’interno delle città portarono allo scontro fisico tra greci e ebrei di Cesarea: il procuratore romano Gessio Floro scese in campo prendendo le parti dei greci e aggravò la sua impopolarità prendendo settanta talenti "per Cesare" dalle casse del Tempio di Gerusalemme. Di qui una serie di sommosse e contestazioni nella capitale stessa per cui il procuratore, entrato nella città in armi, la mise in buona parte sottosopra per scoprirne gli autori e dopo continue umiliazioni e costrizioni la rabbia dei facinorosi si rivelò così violenta da costringerlo a fuggire dalla città e a rifugiarsi a Cesarea. A questo punto i sacerdoti del Tempio presero una decisione che dal punto di vista romano non poteva che sembrare un’aperta ribellione: deliberarono infatti di sospendere i sacrifici quotidiani tradizionalmente offerti in onore dell’imperatore. Di fronte all’inefficienza di Floro e dei suoi si mosse Cestio Gallo, il legato della Siria, e partì da Antiochia con una grande armata che tuttavia fu sconfitta una prima volta quando si avvicinava alla città e poi quando, spinto dalla mancanza di viveri, si ritirava verso la costa. Man mano che la tattica del terrore romana, condotta, in zone anche lontane da Gerusalemme, con l’intento di intimidire i ribelli e spingerli alla sottomissione, induceva tutta la nazione alla rivolta, altri capi politici, provenienti dalla Galilea e dall’Idumea, che fino ad allora non si erano curati di acquisire del potere nella capitale, cominciavano ad immischiarsi nella politica della città. Gli Ebrei avevano buone ragioni per sperare che i Romani non avrebbero fatto uso di tutta la loro forza per venire a capo della ribellione: c’era la consistente possibilità che i Parti potessero sfruttare ogni indebolimento di quel fronte e, d’altronde, i Romani sapevano bene che, dopo l’insuccesso di Cestio Gallo, prendere Gerusalemme non sarebbe stata impresa breve o facile, tant’è che durò dal 67 al 70 d.C.. Posti di fronte al pericolo di rimanere invischiati in una guerriglia sulle colline della Giudea, essi avrebbero potuto preferire la ricerca di un accordo con i ribelli e, in ogni caso, una Giudea indipendente ma tagliata fuori dal Mediterraneo non avrebbe rappresentato una minaccia per l’Impero. Di sicuro i ribelli non si aspettavano il disastro: ancora nel 70 d.C. un assedio efficace sembrava impossibile e, se le cospicue riserve di cibo fossero state attentamente razionate, la popolazione avrebbe avuto di che mangiare per anni. Gli assedianti invece avrebbero sofferto della mancanza d’acqua e tanto meno nel 66 d.C. nessuno avrebbe ragionevolmente previsto la tenacia e lo sprezzo per le vite dei suoi soldati con cui Tito prese la città, assalendola di petto. L’ottimismo degli Ebrei riguardo all’esito della guerra è comprovato dal fatto che prima che gli eventi precipitassero, lo Stato ebraico funzionava come se fosse destinato a durare, coniava perfino monete proprie di qualità impressionante. La miseria in effetti si poteva sentire, poiché la maggior parte delle energie veniva dedicata al perfezionamento dei preparativi militari come il rafforzamento della cinta muraria, mentre, cosa più importante di tutte, il Tempio continuò ininterrottamente le sue funzioni fino agli ultimissimi giorni della guerra. Per evitare uno scontro diretto la cui potenza d’urto poteva essere incalcolabile, i Romani inizialmente scelsero la tecnica del terrore: comportava il massacro deliberato, la deportazione in schiavitù e la distruzione di parte della popolazione nelle fasi iniziali della guerra con lo scopo di atterrire gli avversari e indurli alla resa.
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11. La seconda rivolta giudaica (132-135 d.C.) | ||||||||
È l’ultima grande rivolta antiromana e ha come teatro la Palestina. Essa scoppia come conseguenza di due iniziative prese da Adriano: il divieto di circoncisione, e il progetto di costruire una nuova città, con il nome di Aelia Capitolina, sulle rovine di Gerusalemme. Data la tolleranza che contraddistingue questo sovrano, è probabile che l’iniziativa non fosse specificatamente antigiudaica, ma solo volta all’eliminazione di un costume considerato barbarico; ciò nonostante è naturale che il popolo giudaico sia rimasto sconvolto da una proibizione improvvisa e senza motivo. Lo stesso vale per la costruzione della città: sebbene le intenzioni di Adriano non fossero provocatorie, ma solo di restaurazione, secondo criteri urbanistici ellenistico-romani, questo atto viene considerato sacrilego. Così anche Adriano, al pari di Antioco IV e Caligola, rappresenta l'ennesimo persecutore del culto e delle tradizioni religioso-culturali. La rivolta scoppia all'improvviso, ma organizzata accuratamente; i ribelli, guidati da Simone bar Kochba, esercitano un'attività di guerriglia evitando scontri in campo aperto con i nemici, il che consente loro di infliggere parecchi danni ai romani. Inoltre le prime vittorie dei rivoltosi sono probabilmente dovute all'incapacità strategica di Q. Tineio Rufo, governatore della provincia. Così Adriano decide di affidare il comando a uno dei suoi migliori generali, Sesto Giulio Severo; il quale sceglie di tagliare i rifornimenti ai nemici, piuttosto che prestare il fianco alle imboscate. La battaglia decisiva si svolge nell'estate del 135 intorno alla roccaforte di Bether, vicino a Gerusalemme, e in essa muore lo stesso Simone bar Kochba. Questa rivolta assume nel suo corso un risvolto messianico; infatti il nome di Simone era originariamente bar Kosiba, ma durante la rivolta assume quello di bar Kochba, cioè "figlio della stella", con chiaro riferimento all'astro messianico evocato in una famosa profezia del libro dei Numeri (24, 17). Tale investitura messianica è utilizzata da Simone come forte strumento di propaganda: egli assume il titolo di principe d'Israele. Egli ha buon seguito soprattutto negli strati medio - bassi della popolazione, ma anche un cospicuo numero di rabbi appoggia la sua causa. Tuttavia la maggior parte di loro non si schiera con lui, ma anzi ne storpia il nome in bar Koziba, cioè "figlio della menzogna". Anche in tutta la storiografia successiva questo personaggio viene descritto con tratti grotteschi, e sotto una luce negativa, quasi a giustificare la punizione inflitta a tutti i giudei con la sconfitta. La repressione è quasi definitiva: tra uccisi, schiavi e deportati non rimangono più ebrei a Gerusalemme, e ben pochi in tutta la Palestina. Si tratta della cosiddetta Diaspora, destinata a diventare una parola-chiave nel lessico ebraico, che significa letteralmente "dispersione", o anche "disseminazione". Dopo la vittoria, Adriano porta a compimento le modifiche che aveva programmato: Gerusalemme viene trasformata in Aelia Capitolina, i nuovi coloni subentrano ai giudei e con loro fanno ingresso nella città anche gli dei capitolni. Con il successore di Adriano, Antonino Pio, la tensione diminuisce parzialmente, successivamente Severo e Caracalla concedono nuovi privilegi ai giudei, e la benevola disposizione di Eliogabalo e Alessandro Severo verso questo popolo è attestata da molte fonti; tuttavia bisogna aspettare un secolo e mezzo prima che Costantino permetta ai giudei di tornare a Gerusalemme, per pregare sul luogo del santuario nel giorno dell'anniversario della distruzione del tempio da parte di Tito. |
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