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Psicanalisi e letteratura in Freud |
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Lungi dal ridursi a un metodo terapeutico, la psicanalisi è una «concezione psicologia generale dell’uomo», una «interpretazione della realtà umana nel suo insieme». Non sorprende perciò l’interesse di Freud per alcuni radicali problemi umani che, a prima vista, sembrerebbero estranei alle competenze dell’indagine psicanalitica: la religione, i costumi, l’arte.
Fin dal saggio Il
poeta e la fantasia (1909), Freud ha caratterizzato l’arte come un
fenomeno di compensazione del desiderio, collocandola in una posizione
intermedia tra la realtà frustrante e la fantasia appagatrice. Le argomentazioni di fondo sono: l'attività dell'inconscio, la psicologia dell'appagamento del desiderio e il protrarsi dell'infanzia nella vita adulta. All'inizio, Freud si pone una domanda che verosimilmente interessa tutti i profani: da quali fonti gli scrittori attingono il loro materiale? Nessuna risposta appare del tutto soddisfacente, osserva Freud e, fatto ancora più misterioso, se anche lo fosse, una tale conoscenza non farebbe di un individuo un poeta o un drammaturgo. Poi, in tono più dimesso, aggiunge che si potrebbe sperare di farsi una prima idea dell'attività del Dichter (N.B.: il termine tedesco Dichter indica sia il romanziere, sia il drammaturgo sia il poeta) se si riuscisse a scoprire un'attività analoga comune a tutti gli esseri umani. Dopo aver prudenzialmente elencato gli aspetti negativi, Freud esprime la speranza che il suo approccio possa «rivelarsi non del tutto infruttuoso».
Fatte queste premesse
giustificative, con uno dei balzi acrobatici che gli sono caratteristici, Freud
collega tra loro le varie esperienze dell'uomo. La caccia ai parallelismi è un
esercizio pericoloso, soprattutto se impone deduzioni forzate, ma i parallelismi
validi possono mettere in luce rapporti finora sconosciuti e, meglio ancora,
nessi causali insospettati. Il balzo di Freud rientra in quest'ultima categoria:
ogni bambino, mentre gioca, sostiene Freud, si comporta come un
Dichter «in quanto costruisce un suo proprio modo o, meglio, dà a suo
piacere un nuovo assetto alle cose del mondo». Il bambino prende molto sul serio
il suo gioco, ma sa che ciò che fa è un’invenzione. «Il contrario del gioco
non è ciò che è serio, bensì ciò che è reale». Il poeta o il romanziere
procede più o meno allo stesso modo: riconosce che le fantasie che va elaborando
sono fantasie, ma questo non le rende meno importanti, per esempio,
dell'immaginario compagno di giochi del bambino. Al bambino piace giocare e,
poiché gli uomini rinunciano malvolentieri a un piacere una volta che lo hanno
gustato, da adulto cerca un surrogato. Invece di giocare, fantastica. Sono due
attività praticamente speculari: entrambe sono messe in moto da un desiderio.
Ma mentre il gioco del bambino esprime il desiderio di essere cresciuto,
l'adulto considera infantili le proprie fantasie. In questo senso, gioco e
fantasia riflettono parimenti uno stato di insoddisfazione: «Si deve intanto
dire che l’uomo felice non fantastica mai; solo l’insoddisfatto lo fa». In
breve, una fantasia è, come il desiderio espresso nel gioco, «una correzione di
una realtà insoddisfacente». Le modifiche che la fantasia dell’adulto impone
alla realtà nascono da ambizioni non realizzate o da desideri sessuali
irrealizzabili; l’adulto le tiene nascoste perché si tratta di desideri che la
società rispettabile ha bandito dal discorso sociale e persino familiare.
È qui che comincia il
compito culturale del Dichter. Spinto dalla sua vocazione, egli dà sfogo
ai suoi sogni a occhi aperti facendosi portavoce delle fantasie segrete dei suoi
meno loquaci contemporanei. Alla pari del sognatore notturno, il sognatore
creativo a occhi aperti combina una potente esperienza della vita adulta con
qualche lontano ricordo rievocato, e quindi trasforma in letteratura il
desiderio che nasce da tale combinazione. Come il sogno, la sua poesia o il
suo romanzo è una creatura nella quale si mescolano presente e passato, impulsi
esterni non meno che interni. Freud non nega che l’immaginazione partecipi
alla creazione dell’opera letteraria, ma vede soprattutto in quest’ultima un
rifacimento della realtà, una sua abile deformazione. Freud non è il romantico
che celebra nell’artista il divino creatore; è evidente, nel suo scritto, una
riluttanza a riconoscere gli aspetti puramente creativi dell’opera dello
scrittore o del pittore. |
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Le interpretazioni estetiche di Freud
Per quanto Freud ci abbia
lasciato diversi contributi all'interpretazione psicanalitica di opere
artistiche, non si può certo dire che egli intendesse con tali prove fondare un
nuovo tipo di critica del tutto autosufficiente dai tradizionali strumenti
d'indagine. È anzi chiaro in lui un prudente riserbo contro i pericoli di
indebite generalizzazioni, che purtroppo non mancarono nelle applicazioni dei
suoi seguaci.
Il primo rischio di un
approccio psicanalitico deviante consiste nel considerare l'opera d’arte un
semplice documento o banco di prova per la verifica della teoria medica, una
conferma, ad esempio, di certe esperienze cliniche.
Analizzando la Gradiva di Jensen 1907, Freud considerava i sogni del
personaggio e le sue azioni come se fossero i dati clinici di un individuo
vivente. «I poeti -diceva- sono alleati preziosi e la loro testimonianza deve
essere presa in attenta considerazione, giacché essi sanno in genere una
quantità di cose tra cielo e terra che il nostro sapere accademico neppure
sospetta». Più interessante è il saggio del 1910 Un ricordo d'infanzia di
Leonardo da Vinci. Freud si chiede in che cosa consista il fascino dei
sorrisi leonardeschi, quale segreto nascondano. Indaga la vita dell'artista, la
sua insaziata brama di sapere, la perenne scontentezza per le proprie opere e
crede di aver trovato la chiave per penetrare nell'ermetica personalità di
Leonardo: nei suoi ritratti egli ci ha lasciato un ricordo d'infanzia, la vista
di un nibbio che gli aveva aperto la bocca con la coda, infilandogliela più
volte tra le labbra. Secondo Freud, il ricordo è in realtà un fantasma, un
desiderio trasposto di un rapporto omosessuale. Ma dietro l'immagine del nibbio
vi sarebbe anche la madre di Leonardo, alla quale egli venne tolto dal padre
sposatosi con un’altra donna. L’amore per Caterina sarebbe stato rimosso e
sublimato nei celebri sorrisi dei personaggi dei quadri. Si osservi, a
prescindere dalla validità critica dell'ipotesi, l'impostazione metodologica di
Freud in questo saggio: l'opera viene spiegata sulla base di elementi
estrinseci, di materiali biografici che permettono di ricostruire la personalità
complessa artista. Nell'analisi del Mosè di Michelangelo, apparsa nel 1914, Freud si chiede che cosa voglia dire l'espressione terribile del volto e dell'atteggiamento di Mosè, appena sceso dal Sinai con le tavole della legge. Tradizionalmente viene esaltata la potenza con cui l’artista ha saputo rendere la collera di Mosè davanti al tradimento del suo popolo, collera che lo spinge a spezzare le tavole. Ma, secondo Freud, il particolare della mano destra che sembra congiungersi con una ciocca di barba alluderebbe a un gesto di ira trattenuta e controllata per non lasciar cadere le sacre tavole. In questo, Freud si attiene all'opera e ne spiega il significato generale e latente a partire da un dettaglio in apparenza insignificante: un esempio indicativo dell’importanza della rimozione in psicanalisi, per cui proprio ciò che è secondario o inconsciamente deviato assume un valore fondamentale nella spiegazione di un testo (sogno o opera d’arte che sia) Metodologicamente notevole è il saggio Il motivo della scelta degli scrigni, nel quale Freud, analizzando opere di Shakespeare, Grimm e Offenbach, rileva che in tutte il cofanetto allude alla donna e in particolare al tema della scelta, ben noto anche nella mitologia (il giudizio di Paride, le tre Parche ecc.). Dietro la figura tematica si nasconde, secondo Freud, l'archetipo della madre e la sua replicazione nella moglie e nella terra, la madre che accoglierà l'uomo al suo morire. Si noterà la novità dell'impostazione di questo scritto, al cui centro c'è la spiegazione non tanto di una o più opere, ma di un motivo-chiave che ritorna, in forme solo contenutisticamente variate nell'immaginario collettivo e anche nelle invenzioni individuali degli artisti. Si può trovare qui l’origine delle ricerche archetipiche o simboliche, approfondite soprattutto dai seguaci della scuola junghiana.
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Altre esperienze della
psicanalisi dell’arte
Un discorso particolare meriterebbe la riflessione di Jung (1875-1961), per il quale l’arte è profondamente legata all'inconscio collettivo, per cui è in grado di sprigionare immagini universali che ritornano con particolare intensità nelle opere poetiche. Resta, comunque, l'impressione di un interesse prevalentemente contenutistico, per quanto talora suggestivo. Un tentativo importante di mediare influssi junghiani con un impianto freudiano è Psicoanalisi dell'arte (1929), di Charles Baudouin (1893-1963), in cui l'autore sottolinea la componente narcisistica della creazione estetica, collegandola sia al complesso di Edipo sia a ricorrenti simboli-miti collettivi (racconti sotterranei e ritorno nel ventre materno, inghiottimento e tema edipico, ecc.).
Melanie Klein
(1882-1960) e la sua scuola accentuano l'elemento "luttuoso" recuperato
nell’esperienza estetica, in quanto ricreazione di oggetti amati ma avvertiti
come perduti, distrutti: l'arte è allora esorcizzazione dell'orrore della morte.
La forma, lo stile non sono elementi estrinseci e sovrapposti al nucleo psichico
profondo, ma si trovano collegati al processo di formazione del simbolo, come
realtà immaginaria sostitutiva di una perdita. Il meccanismo del lutto sarebbe
presente nella sublimazione, anche in quella artistica.
Kris
e Gombrich hanno insistito sulla specificità dell'opera artistica, sulle
sue qualità formali, già indicate da Freud nel Motto di spirito. Secondo
Kris (1900-1957) nel fenomeno creativo l’Io ha una parte primaria rispetto ai
processi inconsci, mentre per Gombrich (1909-2001) «solo le idee inconsce che
possono essere adeguate alla realtà delle strutture formali divengono
comunicabili». È il codice che genera il messaggio, inserito in un contesto di
tradizioni culturali e stilistiche che lo individuano. Com'è evidente, il
discorso psicanalitico comincia a intrecciarsi con metodiche storico-culturali
le quali fanno appello alla consapevo1ezza, alla razionalità, alla tecnica
implicite nella produzione estetica.
La psicocritica di
Charles Mauron (1899-1966) vuole ricostruire la personalità inconscia
dell’autore a partire dall'analisi delle opere. Mediante la sovrapposizione di
più testi emergono delle reti di associazioni, dei gruppi di immagini ricorrenti
o «metafore ossessive», la cui strutturazione permette di giungere, infine, al
«mito personale» dell'autore, che è appunto l'espressione della sua personalità
inconscia. Secondo un’interessante analisi di Francesco Orlando (1934-viv.), la letteratura attuerebbe un «ritorno del represso» non solo di quello individuale inconscio o rimosso, ma anche dei contenuti sociali e coscienti. Nella sua Lettura freudiana della «Phèdre », il critico ha definito tre accezioni del represso: 1. ritorno del represso come presenza di qualità formali assimilabili a quelle proprie del linguaggio dell'inconscio secondo la descrizione di Freud; 2. ritorno del represso come presenza di contenuti censurati dalla repressione sociale che grava sul sesso;
3.
ritorno del represso come presenza di contenuti censurati da una repressione
ideologico-politica.
A parere dell'autore, un
punto di contatto fra linguaggio letterario e linguaggio dell’inconscio si
avrebbe nella «preponderanza del significante verbale sul significato»:
«l'inconscio si permette qualunque mescolanza o slittamento da un significato a
un altro, se i significanti offrono la coincidenza anche più accidentale, la
somiglianza più approssimativa, la possibilità anche più assurda di
scomposizione». Un solo significante, ad esempio, può comandare significati diversi. È ciò che sottolinea Jacques Lacan (1901-1981). Secondo lo psicanalista francese, «l'inconscio è quel capitolo della mia storia che è marcato da un bianco o occupato da una menzogna: è il capitolo censurato. Ma la verità può essere ritrovata; il più spesso è già scritta altrove. Cioè: – nei monumenti: e questo è il mio corpo, cioè il nucleo isterico della nevrosi in cui il sintomo isterico mostra la struttura di un linguaggio...;
– nei documenti d'archivio,
anche: e sono i ricordi della mia infanzia...;
– nell'evoluzione semantica:
e questo corrisponde allo stock e alle accezioni del vocabolario che mi è
proprio, così come al mio stile e al mio carattere;
– e nelle tradizioni,
addirittura nelle leggende che in forma eroicizzata veicolano la mia storia;
– nelle tracce, infine, che
di questa storia conservano inevitabilmente le distorsioni necessarie dal
raccordo del capitolo adulterato con i capitoli che l'inquadrano, e delle quali
la mia esegesi ristabilirà il senso».
L'inconscio è dunque lo
spazio della menzogna e della censura: la verità emerge in vari modi (sogni,
ricordi ecc.), ma soprattutto attraverso il linguaggio; l'inconscio ha una
struttura linguistica. La profonda sconnessione del soggetto fra inconscio e
il discorso cosciente fa sì che l'io si identifichi in ruoli, maschere,
fantasmi, sotto i quali, nella parte inconscia e rimossa, è la sua autentica
personalità: il linguaggio ha qui il compito di mascherare l'inconscio.
L’algoritmo di Saussure In linea generale, secondo Lacan, il sintomo è una metafora (ad esempio, una gravidanza isterica si può trasformare in un'appendicite reale); la metafora è propriamente l'inserimento in una catena significante di un altro significante, in modo tale che il significante sostituito decada al ruolo di significato. La metonimia allude a un desiderio inconscio, che si sposta da significante a significante.
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