Le tristi vicende della mia vita |
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Richiamato alle armi nel giugno 1915, Gadda fu
combattente sino alla disfatta di Caporetto del 1917, e poi fu prigioniero
in Germania fino alla fine della guerra. I diari stesi in quel periodo
furono pubblicati in parte nel 1955 in parte nel 1965, col titolo Giornale
di guerra e di prigionia. La pagina qui presentata è datata 2 novembre
1915 da Edolo, dove lo scrittore stava ricevendo l’istruzione per
diventare sottotenente. Gli appunti della giornata cominciano: «Grande
noia, grande tristezza, solitudine inesorabile. Nulla da fare per il
servizio». Questa condizione favorisce l’affiorare di riflessioni
generali sulla propria condizione umana.
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Le tristi vicende della mia vita si accumulano ora nella mia memoria, facendomi passare delle ore ben grame. Tutte le volte che rivado nel passato, non ci vedo che dolore: le sciagure famigliari, i dissapori avuti, la genia dei parenti pettegoli, l'educazione manchevole, le torture morali patite, le umiliazioni subite, la sensibilità morbosa che ha reso tutto più grave, l'immaginazione catastrofica del futuro, la povertà: e se da queste premesse ricavo alcun presentimento dell'avvenire, nulla mi si fa innanzi di meglio evidente che una conseguenza di tedio e di stanchezza. Il mio popolo, la mia patria che tanto amai, mi appaiono alla prova ben peggiori di quanto credevo. Sicché, se non fosse l'immagine ossessionante di mia madre e di mia sorella, vedrei, per il resto, la morte come una liberazione; e certe volte vi penso con fiducia e serenità. L'idea del suicidio che tante volte mi occupò nei momenti della amarezza, potrebbe avere ora una dignitosa attuazione. |
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Autopresentazione |
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Questo testo è la presentazione dell'autore che comparve sul risvolto di copertina della prima edizione del Pasticciaccio (1957), e fu ripresa poi dall'editore su altri libri. Naturalmente non era firmata, ma era sicuramente scritta da Gadda stesso. |
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È nato a Milano quattordici giorni
avanti la caduta del Ministero Giolitti, del primo. Vi trascorse
un'infanzia tormentata e un'adolescenza anche più dolorosa: fu accolto
nelle classi elementari del Comune, ottime. Vi trovò il suo liceo e le
sue matematiche. Poi la guerra: la perdita del fratello Enrico, caduto nel
'18. Lavorò in Italia fuori d'Italia: in Argentina, in Francia, in
Germania, nel Belgio. La sua carriera di scrittore incontrò gli ostacoli
classici, economici ed ambientali: più quelli dell'era, anzi delle
diverse ere che gli toccò di attraversare. Visse dieci anni a Firenze:
1940-1950: gli anni belli, quand'era venuto il bello. Niente Capponcina.
Vive nella capitale della Repubblica a quattordici chilometri dal centro,
in una casa di civile abitazione, confortato nottetempo dagli ululati
dei lupi e lungo tutto il giorno dai guaiti di copiosissima prole, non
sua, ma egualmente cara e benedetta. «Che cosa fai tutto il giorno?»
gli chiedono le persone indaffarate: «non ti muovi mai?». «No: non mi
muovo.» |
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Il Gadda maturo continua a
rappresentarsi come un uomo bersagliato dall'ingiustizia della sorte e
degli uomini, a cui reagisce con uno scontroso isolamento. E una resa al
male del mondo (e della propria nevrosi), ma è anche un'affermazione orgogliosa
di distacco, il rifiuto di farsi coinvolgere in quella vita sociale che
gli appare come una grande commedia: si veda l'accenno ironico e
sprezzante al mito dannunziano dell'artista superuomo. |
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