Commento tratto da Angelo Marchese, Il testo letterario, SEI, Torino 1994, pp. 375-379

 

La poesia si struttura su due piani: uno, apparente, fenomenico, che è la descrizione impressionistica del mistero della notte; l’altro, profondo e in parte inconscio (rimosso), che è la fantasticheria dell’unione sessuale. Sappiamo, dall’acutissima analisi di Barberi Squarotti, che la simbologia floreale ha nel Pascoli una preponderante valenza erotica. Qui il significante principale, il «gelsomino notturno» o «belladinotte» copre contemporaneamente un significato denotativo e uno fortemente connotato da  affascinanti richiami sessuali. Intanto l'azione dell'aprirsi e del chiudersi allude all’atto della copulazione, visto però a partire dall’organo femminile e sofferto quasi come violenza; una deflorazione, appunto.

E s'aprono i fiori notturni (v. 1)

 

È l'alba: si chiudono i petali

un poco gualciti (vv. 21-22)

 

Parallelamente abbiamo altre immagini-transfert:

 

Dai calici aperti si esala

l'odore di fragole rosse (vv. 9-10)

 

Per tutta la notte s'esala

l’odore che passa col vento (vv. 17-18)

 

Dove sia l'odore, sia l'impressività coloristica veicolano indirettamente richiami sessuali. Ma è soprattutto l’immagine finale che ci permette di recuperare utilmente il discorso di Lacan:

 

… si cova

dentro l’urna molle e segreta,

non so che felicità nuova (vv. 22-24).

 

Che cos'è l'«urna molle e segreta»? I commentatori indicano «l'ovario, che è una parte del pistillo» (Nava). Ma la metafora ha indubbiamente sprofondato un significato rimosso, qualcosa di chiuso, di visceralmente molle e caldo: il ventre della donna, o meglio l'utero, dove avviene il miracolo attraente-repulsivo del concepimento.

In questo senso l'urna-ventre-utero è anche una metonimia, una parte fascinosa e orrorosa per il tutto, il corpo femminile, sottoposto allo sverginamento («i petali/un poco gualciti»). L'inconscio si è rivelato grazie alla doppia mascheratura metaforico-metonimica: e quest'ultima, secondo Lacan, indicherebbe il bisogno o la mancanza dell'io rispetto all'oggetto desiderato (la donna: metafora del fiore), che viene inserito nel significante parziale metonimico: l’urna-ventre-utero.

Non è necessario aggiungere che si tratta di un desiderio represso, che ritorna nella struttura formale del simbolo. La proibizione è dovuta al SuperIo funereo dei “cari” alla legge dell’autocastrazione nella continenza forzata "fuori" del matrimonio (o del rapporto sessuale): insomma, l’etica inibente del "nido". La presenza-pensiero dei morti costringe il poeta a un lavorio morboso di fantasticheria, a un'immaginazione visionaria eccitata: in buona sostanza, a una sublimazione sostitutiva. Nella struttura dell'enunciato, nella “storia” l'io ci appare infatti spazialmente esterno all'evento che si compie nella casa: letteralmente è «fuori», al buio, in attitudine voyeuristica; o, se e, nell'esemplare triangolo della scena primaria, l'io è escluso e regredito ad uno stadio infantile di lacerata, morbosa curiosità:

 

là sola una casa bisbiglia (v. 6)

 

La solitudine della casa, quel bisbiglio misterioso nel silenzio della notte ricoprono la fantasticheria dell'approccio amoroso dei due sposi; tutto è visto e presentito con penoso distacco.

La pericolosa tentazione di apertura al “mondo”, cioè l’esperienza sessuale e la costruzione di un proprio "nido", deve essere esorcizzata dal richiamo della censura interiore, del SuperIo funereo. Ed ecco che il Pascoli dissemina il percorso erotico di simboli negativi, che alludono alla morte e alla esclusione vittimistica: le «farfalle crepuscolari» (v. 4), l’«erba sopra le fosse» (v. 12), «l'ape tardiva», che «sussurra / trovando già prese le celle» (vv. 13-14): parabola, quest'ultima, nient'affatto descrittiva ma emblematica della condizione estraniata (e masochistica) di chi arriva tardi all’appuntamento con la felicità.

Mentre lo sguardo segue con eccitazione immaginativa i preparativi del rapporto sessuale, dietro quel lume che si spegne nello spazio segreto della camera

 

là sola una casa bisbiglia (v. 6)

 

Splende un lume là nella sala (v. 11)

 

Passa il lume su per la scala;

brilla al primo piano: s'è spento... (vv.19-20)

 

la compensazione del Pascoli “buono”, rassegnato si rifugia in alcune metonimie rassicuranti, non ossessive, quelle che i suoi morti gli impongono come esempi di pace e di naturalezza non peccaminosa. La chiusa intimità dei «nidi» degli uccelli:

 

Sotto l'ali dormono i; nidi,

come gli occhi sotto le ciglia (vv.7-8)

 

È il sonno della semplicità, antitetico al voglioso fervore della «casa»: la chiusura, la copertura, la protezione, il non vedere sono i “valori” naturali evocati per esorcizzare quella «non so che felicità nuova» (v. 24) cosi morbosamente allettante, e che sembra per un attimo infrangere le barriere della censura funerea.

Poi un'altra immagine familiare, agreste: la «Chioccetta», lassù nel cielo, lontana dallo spazio chiuso della casa dell'amore, verso cui è attratto lo sguardo cupido:

 

La Chioccetta per l'aia azzurra

va col suo pigolio di stelle (vv.15-16)

 

Una pausa di contemplazione della natura nel silenzio profondo della notte?

Il gioco metaforico-sinestetico riduce però quel cielo alla domestica aia, con la chioccia e il codazzo di pulcini pigolanti: un idillico quadretto del tutto rassicurante, il “buen retiro” protetto dalla siepe e dalle cose lontane, piene di fascino ambiguo ma inesorabilmente vietate.

 

Se volessimo schematizzare il modello semantico sotteso dalla poesia, ci troveremmo nella necessità di modificare il quadrato greimasiano:

 

 

 

La parte destra dello schermo, che rappresenterebbero secondo Greimas le relazioni escluse, indica il “mondo”, la realtà desiderata e temuta; la parte sinistra mostra come le relazioni permesse siano di tipo sostitutivo e immaginativo. Il nuovo quadrato inglobante ci fa capire meglio la situazione dell'io: estraniato oggettivamente fra la casa e l'unione sessuale (regressione, scena primaria); dominato dal SuperIo che ha il duplice compito di elargire rassicurazioni “naturali” e di imporre proibizioni “istintuali”. Fra i termini antitetici «nido» - «casa» si interpongono i simboli negativi di esorcizzazione (morte, esclusione) emananti dal SuperIo funereo; mentre fra la sublimazione immaginativa (permessa anche se negativa) e l’unione sessuale proibita (ritorno del represso nella metafora-metonimia del fiore-urna-ventre-utero) si interpone un vuoto, un bisogno rimosso: la mancanza dell’oggetto, cioè della donna.

 

Nei termini qui proposti, il contributo di certe metodiche psicanalitiche è da considerarsi del tutto legittimo e positivo, rientrando in un'esplorazione dei livelli semiotici profondi del testo a cui si riferiscono i simboli inconsci. Ci lascia invece perplessi una estrapolazione generica del lacanismo, secondo la quale il discorso letterario sarebbe integralmente l’Altro Discorso, l’epifania dell'inconscio fra le maglie costrittive, semanticamente amorfe, della parola “normale”, razionalmente controllata. Quando si dice, ad esempio: «Non si riesce ad accettare la proposta di una cultura che strutturi direttamente il pensiero dantesco; si potrebbe piuttosto affermare come la cultura offra solo l'esteriore rivestimento di un messaggio che sorge assai più genuinamente nell’ambito dello stesso inconscio e che da ciò derivi il substrato profondo di ogni tematica dantesca», i limiti ideologici appaiono evidenti, non solo per la scissione inammissibile nel contesto globale della Commedia di cultura e “messaggio” (?) inconscio, e ripropone in forme diverse quella ben nota del Croce, ma anche per la patente prevaricazione nei confronti del testo che non permette di essere ridotto a una matrice conscia. Così, ci pare da rifiutarsi un'indiscriminata proliferazione di significanti che non si lascino mai strutturare in un modello di significazione o che rimandino, nell’infinità di decifrazioni possibili, alle operazioni taumaturgiche del lettore-donatore di senso. La simbologia inconscia ricopre una fascia isotopica del geno-testo, incrociandosi e interferendo con altre fasce coscienti e razionalizzate, determinando in tal modo fenomeni di iperconnotazione e di polisemia. La peculiarità delle connotazioni inconsce consiste, come si è visto, nella dissociazione fra il referente denotato (un fiore, un’ape, una casa) e la sublimazione rimossa che esso cela o maschera (il ventre, l'esclusione, l'amore). Si costruisce, insomma, un sistema di significazione metalinguistico che sottolinea fortemente l'arbitrarietà delle denotazioni, dietro alle quali vi sono percorsi di senso talora sorprendentemente estranei all'oggettività dei referenti. Ma nel momento in cui si crede che i simboli inconsci, nelle loro varie manifestazioni linguiche (metafore, metonimie, trasformazioni semantiche), possano essere strutturati in modelli di significazione, le metodiche psicanalitiche diventano validi strumenti di lettura-decifrazione di orientamento semiologico.