6. Federico II e la fine della supremazia imperiale
 

La teocrazia di Innocenzo III. Dallo scontro tra Comuni e impero la Chiesa era uscita rafforzata e volle riaffermare il potere non solo spirituale, ma anche temporale del papa sul mondo intero, soprattutto con l'ascesa al soglio ponti­ficio di Innocenzo III. Egli, infatti, qua­le rappresentante di Dio in terra, si rite­neva superiore a tutti gli uomini, e quin­di anche all'imperatore, e intendeva porsi come incontrastato arbitro delle vicende po­litiche internazionali, secondo gli ideali della teocrazia.

L’ascesa di Federico II. Il momento era favorevole al colpo di mano del pontefi­ce, in quanto l'impero era indebolito dal­le lotte di successione seguite alla mor­te di Enrico VI, fra i ghibellini, sosteni­tori  della casa di Svevia, e i guelfi, fauto­ri della casa di Sassonia. Per venire a capo della situazione e contrastare l'azione antiecclesiastica del vincitore sassone, Ottone di Brunswick, Innocenzo III pen­sò di puntare su Federico II, posto sot­to la sua tutela dalla madre Costanza d'AItavilla. Tra Federico, che godeva del sostegno del re di Francia Filippo II Augusto, e Ottone, appoggiato invece dal re di Inghilterra Giovanni Senza Terra, si aprì un duro conflitto, che terminò nel 1214 con la battaglia di Bouvines (Francia setten­trionale) e che vide la vittoria di Federico. Incoronato imperatore (1215), Federico II si mostrò da subito intenzionato a occuparsi dell'Italia, dove intendeva fondare uno Stato unitario e indipen­dente dalla Chiesa, disinteressandosi dei problemi della Germania, dove i grandi feudatari approfittarono della sua lonta­nanza per attribuirsi spazi sempre più ampi di autonomia politica.

Le riforme di Federico Il. Stabilita la corte a Palermo, Federico dedicò tutta la sua attività a riorganizzare il regno di Sicilia, da lui considerato "la pupilla dei suoi occhi". Con l'intento di creare uno Stato forte, accentrato e laico, egli con­centrò tutti i poteri nelle sue mani, sen­za lasciare nessuno spazio ai feudatari e alle autonomie locali. Si impegnò per favorire lo sviluppo dell'agricoltura e del commercio nell'isola e per rivitalizzare l'arte e la cultura. A fondamento del suo programma politico, Federico emanò nel 1231 le cosiddette Costituzioni melfi­tane (da Melfi, presso Potenza), destina­te a costituire un documento legislativo di eccezionale importanza e modernità, basato su due principi fondamentali e decisamente rivoluzionari per l'epoca: l'indiscussa superiorità dello Stato e l'u­guaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, fossero essi europei o arabi, cristiani o musulmani, ecclesiastici o feudatari, borghesi o con­tadini. È evidente che questo modo di concepire lo Stato, che egli voleva esten­dere a tutta la penisola, portava all'ine­vitabile rottura tra papato e impero, nonché alla lotta contro i potenti Comu­ni dell'Italia settentrionale, decisi a difen­dere l'autonomia conquistata.

 

 

Federico II e i comuni. I Comuni, costi­tuitisi in una nuova Lega lombarda, ven­nero dapprima battuti nel 1237 a Corte­nuova (presso Bergamo), poi sconfissero a loro volta le truppe imperiali a Parma (1248) e a Fossalta (1249), dove venne catturato lo stesso figlio di Federico, Enzo. L'imperatore non rinunciò a preparare la propria rivincita, ma morì improvvisa­mente proprio mentre stava riunendo un grande esercito in Puglia (1250). La sua scomparsa non riportò la pace, in quan­to la lunga lotta tra impero e Comuni aveva esasperato i contrasti tra le città e tra le opposte fazioni dei guelfi e dei ghi­bellini, che continuarono a combattersi, cercando l'appoggio ora del papato, ora dell'impero.

 
Concetti chiave

Guelfi e Ghibellini. Durante le lotte per l'elezione imperiale tedesca segui­te alla morte di Enrico V (1125), la Germania si divise in due fazioni opposte: i guelfi, sostenitori dei duchi di Baviera (da Welf, fondatore di quella casata), e i ghi­bellini (dal nome del castello di Weibelingen in Fran­conia), schierati al fianco dei duchi di Svevia. A causa dei loro orientamenti politici nella lotta che oppone­va papato e impero, i due termini passarono col tem­po a indicare rispettivamente il partito più favorevol­e a un accordo col pontefice, riconoscendo in lui la massima autorità politica (guelfi), e quello che invece aveva un orientamento antipapale e si riconosceva nella politica dell’imperatore (ghibellini). Dopo morte di Federico II, in Italia l'opposizione tra guelfi e ghibellini perse quasi interamente la sua connessio­ne con la lotta tra papato e impero: intere famiglie o addirittura città ghibelline erano in contrasto con gli avversari guelfi semplicemente per motivi economici e politici. II caso più noto è forse quello della lotta fra la ghibellina Siena contro il minaccioso espansioni­smo della guelfa Firenze. All'interno di una stessa città, dichiaratasi guelfa, poi, era possibile che nascessero altre divisioni, come nel caso di Firenze, che ai tempi di Dante fu dilaniata dalle lotte tra guelfi bianchi e guelfi neri: la differenza in questo caso era data da opposti orientamenti sociali e da diversi atteggiamen­ti, più o meno bellicosi, nella gestione della politica estera della città.

 
 

L’ascesa degli stati nazionali. Il regno di Federico II segnò comunque una svol­ta politica decisiva, in quanto contri­buì a rafforzare l'idea di uno Stato for­temente accentrato. Egli si era reso con­to che la rivendicazione dell'impero di estendere la propria autorità su tutta l'Europa era diventata anacronistica. In Francia, Inghilterra e Spagna, infatti, si stavano formando monarchie naziona­li, nelle quali intraprendenti sovrani avviavano un processo di espansione e di riunificazione territoriale, destinato a ridi­mensionare il potere della nobiltà feu­dale a vantaggio di uno Stato centrale. In Inghilterra tale processo venne ini­ziato nel 1154 da Enrico II, capostipi­te della dinastia dei Plantageneti, men­tre nel regno di Francia la svolta verso la monarchia nazionale venne attuata dal re capetingio Filippo II Augusto, aveva l'obiettivo di recuperare i ter­ritori francesi in mano inglese per con­solidare l'unità territoriale del regno. Dopo la battaglia di Bouvines (1214), egli rafforzò il proprio potere e poté assumere per primo il titolo di "re di Francia" invece di "re dei Francesi", a sottolineare il fondamento nazionale del suo dominio. Nella Spagna, preva­lentemente in mano araba, il processo di unificazione nazionale venne avvia­to da Alfonso VIII di Castiglia (1158­1214), il quale nel 1212 sconfisse gli Arabi a Las Navas de Tolosa (Andalu­sia): l'islamismo iberico rimase così con­finato nell'estremo sud della penisola entro la breve striscia di territorio che costituì il regno di Granada.