Petrarca: Rerum vulgarium fragmenta

Spazio e tempo: tempo e spazio nel Canzoniere

L'anima e il corpo: il "doppio uomo" che era in Francesco e il corpo di Laura

L'amore e la donna: l'amore impossibile del Canzoniere

 

Spazio e tempo: tempo e spazio nel Canzoniere

La meditazione di Petrarca più che sull'eterno si concentra sul tempo, concepito come fuga, come labilità e distruzione di tutte le cose terrene. Il tempo della vita, dell'amore e della gloria è precario e fuggevole. Il poeta avverte il fascino di questi beni, ma è insieme consapevole della loro nullità nella prospettiva dell'eterno: di qui la percezione di una mancanza di senso, che ne ostacola o rende doloroso il godimento. Qui la radice del «viver dolce amaro» testimoniato dal Canzoniere.

I Trionfi inscrivono in uno schema tipicamente medievale il percorso di successione e continuo superamento dei termini antitetici dell'amore, della morte, della gloria, del tempo e dell'eterno.

Lo schema del Canzoniere è diverso, non è ascensionale, ma progressivo, in quanto ha per oggetto la durata della vita umana e dell'amore nel tempo. La preghiera finale alla Vergine è un'invocazione, una direzione di ricerca più che una conquista sicura.

Non solo, ma la scoperta del Canzoniere è l'introduzione nella lirica del tempo interiore. La memoria dà prospettiva, movimento, storia agli eventi psichici e in primo luogo all'esperienza fondamentale dell'amore. Questa dimensione è sconosciuta alla poesia stilnovistica, dove tutto è statico o comunque fissato in un presente atemporale. Nella poesia di Petrarca il filtro della memoria permette un continuo confronto tra passato e presente, che esalta la storia dell'individuo più che l'esemplarità dell'evento. Anche Beatrice muore nella Vita nuova e Dante cambia, ma nella prospettiva di ascesa al divino la donna si trasforma in allegoria religiosa. Il tempo di Dante è il tempo dell'anima, dell'eternità.

In Petrarca lo sforzo di ascesa al divino non riesce a inglobare l'esperienza d'amore giovanile, esclusivamente legata al tempo e allo spazio terreni: essa dovrà essere ripudiata. Il ricordo opera infatti come un argine contro la labilità del tempo esteriore, rafforzando l'attaccamento al bene perduto. Il sogno, che subentra alla memoria dopo la morte di Laura, più che le ascese di Francesco verso il cielo, registra le discese della donna sulla Terra a confortare il poeta.

Anche lo spazio subisce un analogo processo di interiorizzazione. Il riferimento alla natura è già presente nella lirica cortese. Un topos della poesia trobadorica è quello della primavera, che ha la funzione di manifestare, per analogia o contrasto, lo stato d'animo del poeta. La poesia stilnovista sviluppa il ricorso al mondo della natura, sfruttando la scienza dei bestiari, dei lapidari, dell'astrologia, per costruire similitudini tese a sottolineare la naturalità delle leggi d’amore. La bellezza della donna viene pure esaltata attraverso l'elencazione delle bellezze naturali. In certe canzoni di Dante la natura ispira ampi quadri che stabiliscono, attraverso la figura della similitudine, una comparazione tra il paesaggio esterno e il sentimento del poeta. La natura può offrire termini di confronto, ma dualismo del rapporto io-natura resta indiscusso. Anche in Petrarca troviamo liriche strutturate in modo simile, ma l'interiorità tende a crescere e a imporsi, invadendo e riducendo lo spazio del paesaggio. Anche nel sonetto «Zephiro torna, e 'l bel tempo rimena» la classica contrapposizione tra la rinascita primaverile e il «deserto» del proprio animo è ripresa con un sentimento acuto del contrasto tra l’intimo desiderio di amore, che trova espansione nel paesaggio circostante, e la sua frustrazione.

Il paesaggio nel Canzoniere è sempre compenetrato della presenza umana: c’è una corrispondenza immediata, addirittura contiguità e trasmigrazione di vita tra le parti del corpo di Laura e gli elementi della natura. Le belle membra sono immerse nelle acque, il tronco fa al fianco colonna, i fiori cadono nel grembo e sulle trecce bionde fino ad arrivare alla sostituzione affettiva: «Da indi in qua mi piace / quest’herba sì, ch'altrove non ò pace» («Chiare, fresche et dolci acque»). Il paesaggio è anche funzione del desiderio del poeta di rivedere la donna amata: ed ecco la disseminazione del volto di Laura negli elementi della natura, dove l'immaginazione del poeta li proietta come miraggi («Di pensiero in pensier, di monte in monte»).

Il paesaggio nel Canzoniere diventa espressione dello stato d'animo del poeta. È testimone, scena di avvenimenti interiori, perciò indeterminato e scandito da un ritmo che riproduce il percorso interiore dei pensieri e degli affetti che agitano il poeta. Un'esemplare conferma di questa identificazione tra l'io e la natura è offerta dal sonetto «Solo et pensoso i più deserti campi», in cui tutte le tappe del monologo del poeta si traducono in gesti del corpo, nel camminare, alla ricerca di una natura solitaria che offra scampo e protezione all'interno affanno. Ma invano, perché anche la natura non può essere d'aiuto: nella natura egli incontra se stesso e l'amore a cui vuole sfuggire. «Condizione psicologica, atteggiamento corporeo, paesaggio sono in completo accordo fra di loro, ed è difficile a dirsi che cosa si imprima più profondamente nella memoria, se il passo misurato o lo stanco conforto, perché ambedue sono una cosa sola ed esprimono quella compenetrazione di anima e oggetto che è un privilegio della lirica» (H. Friedrich, Epoche della lirica italiana, Mursia, Milano 1974, I, p. 216).

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L'anima e il corpo: il "doppio uomo" che era in Francesco e il corpo di Laura

Nel sonetto proemiale Petrarca, facendo un bilancio della propria esperienza d'amore, chiarisce subito i termini del conflitto che ne hanno lacerato la coscienza nel lungo cammino verso la conversione. Questo dissidio rimanda a una situazione storica che vede acuirsi l'opposizione tra i valori della civiltà cortese e stilnovistica e quelli cristiani. Da una parte l'esaltazione dell'amore e della donna come fonte di ogni virtù; dall'altra il richiamo alla meditazione sulla morte, sulla vanità dei beni terreni, sull'eternità.

L’amore non è presentato da Petrarca come mezzo di elevazione al divino, ma come esperienza dell'«errore», vaneggiamento, follia. È peccato, provoca senso di colpa, perché Laura è presenza fisica che turba i sensi del poeta, oggetto di un desiderio che aspira al soddisfacimento.

La contraddizione tra l'amore-passione e la fedeltà ai principi religiosi era già esplosa in Dante, che l'aveva risolta con una scelta drastica a favore del divino e con l'identificazione di Beatrice con le aspirazioni più alte della propria anima. Petrarca vive in una civiltà in cui la vita terrena, la bellezza e i desideri del corpo sono diventati troppo vitali perché possano essere negati e sublimati senza drammi.

Ciò mette in crisi l'intera tradizione romanza della lirica d'amore. Agostino, nel Secretum, demistifica senza mezzi termini l'illusione dell'amore angelicato. A Francesco, che sostiene di aver amato l'anima di Laura, la sua virtù, «dal cui esempio mi figuro come si viva tra gli angeli», Agostino dimostra che in realtà egli ha amato il corpo: «Forse che se quell'animo stesso abitasse in un corpo squallido e rozzo, ti sarebbe del pari piaciuto?». Non solo, ma Agostino contesta i due principali argomenti che avevano dato legittimità all'amore nella cultura cortese. Primo: la bellezza della donna non può essere concepita come «scala al cielo». Anzi l'amore per Laura sovverte l'«ordine naturale» fondato sul Creatore, perché Francesco, «preso dalle grazie di una creatura, aveva amato il Creatore non come si conveniva, bensì ammirando in lui l'artefice di quella». Secondo: la donna non ha una funzione positiva nel processo di autovalorizzazione dell'uomo. «Disgraziato [...] Ah che grand'uomo saresti potuto riuscire, se ella con le sue seduzioni della bellezza non te ne avesse ritratto!» esclama Agostino, rilanciando i temi misogini dell'ascetismo medievale (cfr. Secretum III). Il poeta è cosciente di ciò che lo attrae in Laura; non a caso Agostino centra la disputa sul corpo di Laura, oggetto di orrore per l'uno, di splendore per l'altro.

Francesco ammette infine di aver amato l'anima e il corpo. Questo è il dramma. Mentre nel passato questi due elementi, sentiti dal Medioevo come antitetici, avevano trovato conciliazione in una gerarchia di valori, in cui l'uno era subordinato all'altro, ora essi convivono, ugualmente radicati all'interno dell'animo del poeta, senza che nessuno dei due riesca a prevalere. Il desiderio ha la stessa forza della ragione. Di qui la consapevolezza in Petrarca del «doppio uomo» che è in lui. Dualità che si configura ancora medievalmente nel contrasto strutturale tra anima e corpo. La visione più laica della vita che si afferma nel tardo Medioevo non vale a indebolire il richiamo dei princìpi morali cristiani; anzi questi trovano in Petrarca un sostegno nella lezione della sapienza antica e nell'ideale classico del saggio capace di un razionale controllo delle passioni. Sia per il cristianesimo che per l'antichità l'amore è malattia. Entra in crisi la visione gerarchico­verticale, ma non esiste ancora una cultura capace di creare un nuovo ordine di valori.

Come si riflette questo conflitto nell'immagine di Laura?

Nelle donne dello Stilnovo predominano le qualità morali su quelle fisiche: il loro carattere è di essere splendenti come il sole. Il loro saluto è salute dell'anima. Nel Canzoniere è il corpo di Laura che avvicina il poeta; la sua virtù lo allontana, lo separa irrimediabilmente dalla donna amata, è fonte di tormento. Ma senza l'onestà di Laura, l'abbandono alla passione avrebbe significato perdizione. L'amore per Laura vive tutto dentro la contraddizione tra anima e corpo, tra senso di colpa e bisogno di redenzione. Proprio per questo Laura sottende una concretezza fisica che manca alle donne dello Stilnovo, pur conservando alcuni tratti della convenzionalità stilnovistica: la soavità e la grazia leggera della donna-angelo. Un ritratto compiuto di Laura non si trova nel Canzoniere. Il poeta rappresenta solo i particolari della sua bellezza, la cui idealizzazione non è mai ridotta ad allegoria, ma tradisce uno sguardo voluttuoso. Anche Laura risponde al modello estetico della donna medievale: gli occhi sono belli («vago lume»), i capelli biondi («vago e biondo capel»), il riso dolce («come dolce parla e dolce ride»), il viso bello, gli «atti soavi»: la bellezza è associata allo splendore, è «vivo sole», è luce che abbaglia, oppure è «aspra e superba», la «fera che mi strugge», «pastorella alpestra e cruda».

La donna comincia tuttavia a muoversi nella natura e nel tempo, si anima in una varietà di stati d'animo. Laura ora alza il velo per coprirsi dagli sguardi del poeta, ora invece il suo viso pare «di pietosi color farsi». Non è sempre la stessa. Passano gli anni e la bellezza non splende più come in gioventù negli «occhi ch'or ne son sì scarsi». L'invecchiamento introduce una dimensione nuova, inconciliabile con lo stilnovismo: la bellezza di Laura è fisica, caduca, perciò fonte di un'attrazione e di una passione puramente terrene. Anche il topos stilnovista dei capelli biondi è reinventato nel movimento delle chiome sparse al vento, che, mentre recupera l'immagine classica di Venere, colloca la figura della donna nella natura, conferendole mutevolezza e vitalità e consegna all'arte rinascimentale un modello femminile destinato a larga fortuna.

Il corpo di Laura è al centro della canzone «Chiare, fresche et dolci acque». Il poeta ne rappresenta solo i particolari fisici - le «belle membra», il «bel fianco», I'«angelico seno», il «grembo», le trecce bionde - e li mette in rapporto con i particolari della natura: le acque, il tronco, l'erba e i fiori, l'aria serena. È stabilita così una corrispondenza, quasi uno scambio di vita, tra le cose e le parti del corpo, tanto che alla fine della canzone il poeta trova nel paesaggio quasi un oggetto sostitutivo della donna: «Da indi in qua mi piace / quest'herba sì, ch'altrove non ò pace». Il corpo vivo e splendente di Laura è messo in rapporto con il corpo morto del poeta, che immagina, almeno dopo la morte, di divenire oggetto d'amore per la donna: «volga la vista disiosa e lieta, / cercandomi» e «già terra infra le pietre / vedendo, Amor l'ispiri / in guisa che sospiri / sì dolcemente». Anche nella forma così sublimata di questa canzone il rapporto d'amore si configura come rapporto tra corpi.

L'amore per Laura è passione, desiderio sensuale della bellezza fisica e terrena. Laura riempie il poeta di «desire», essa è «sommo piacer vivo»; perciò la lontananza è così angosciosa. Nella canzone «Di pensier in pensier, di monte in monte» né il ricordo, né la natura possono confortare il poeta per l'assenza del «bel viso», «che sempre m'è sì presso et sì lontano». La figura di Laura assente non trova qui oggetti sostitutivi, è una presenza mentale ossessiva che si manifesta nella disseminazione delle parvenze della donna nella natura: «et pur nel primo sasso / disegno con la mente il suo bel viso», «l' I'ò più volte [...] nell'acqua chiara et sopra l'erba verde /veduta viva, et nel troncon d'un faggio». Pure parvenze che «quando il vero sgombra / quel dolce error» lasciano il poeta nella disperazione.

Dopo la morte di Laura il fantasma del suo corpo continua ad attrarre il poeta. Anche se ha lasciato sulla terra la terrena scorza ed è ora anima felice, la donna deve continuamente consolare il poeta per la perdita del proprio corpo, «quel che tanto amasti / e là giuso è rimaso, il mio bel velo» (cfr. CCCII, Levommi il mio penser in parte ov''era). AI poeta che piange per «i capei biondi, l'aureo nodo... ch'ancor lo distringe» Laura invano ricorda la vanità della sua veste terrena: «Quel che tu cerchi è terra, già molt'anni». Laura, pur «ignudo spirito», assume in sogno i gesti concreti della madre, si siede sulla sponda del letto, asciuga le lacrime; il poeta ne riconosce la presenza «a l'andar, a la voce, al volto, a' panni».

Gli attributi di Laura restano tuttavia sempre indeterminati: «bel viso», «bella», «viva». Così come nella canzone «Chiare, fresche et dolci acque» la sua figura è disarticolata in particolari fisici generici sublimati in un paesaggio idillico e stilizzato. Quanto più l'allusione alla natura terrena e sensuale dell'amore si fa diretta e stringente, tanto più il corpo di Laura viene rimosso e negato nella sua realtà materiale. Il poeta rappresenta gli effetti del desiderio, della voluttà, della passione che la presenza corporea della donna provoca nel proprio animo. Laura è anch'essa trasformata in immagine simbolica, in archetipo: non è una donna, ma la donna. Un archetipo tuttavia diverso da Beatrice. Essa richiama continuamente la bellezza e il fascino della creatura terrena, è un termine della scissione interiore che travaglia il poeta. Bellezza terrena che nemmeno la rappresentazione della morte mette in discussione. L'incontro di Laura con la Morte nel Trionfo della morte è improntato al senso classico e umanistico di rispetto della dignità del corpo: la morte è indolore, non scompone la serenità e la bellezza del corpo di Laura, tanto che perfino la morte «bella parea nel suo bel viso». La contemplazione estetica prevale sulla meditazione mistico-religiosa. È questo il segno più evidente della ribellione di Francesco a un'immaginazione macabra della morte, e quindi il segno del distacco, sia pure contrastato, dalla concezione medievale della vita e della morte.

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L'amore e la donna: l'amore impossibile del Canzoniere

Il Canzoniere si apre con una visione retrospettiva, a conversione avvenuta, dell'intera vicenda d'amore, posta sotto il duplice segno del peccato, il «mio primo giovenile errore», e del tormento interiore.

L’amore per Laura è un amore impossibile. Laura è sposata e virtuosa e rifiuta il corteggiamento di Francesco. Questi sono i motivi esterni, ma su questo ostacolo oggettivo si proietta l'ombra di un'impossibilità interna al poeta stesso, più complessa e insondabile. Conflitto tra desiderio e morale, tra passione e ragione, tra tensione verso la propria realizzazione e impotenza a raggiungerla. Non a caso già i contemporanei di Petrarca misero in discussione l'esistenza storica di Laura, oppure si inventò la leggenda per cui, prospettatasi a Petrarca la possibilità di sposare Laura, egli non avrebbe acconsentito perché il possesso e il godimento fisico avrebbero messo fine alla sua attività poetica.

L'esperienza d'amore è subito caratterizzata come esperienza infelice, oscillazione dolorosa dei «sospiri», delle «vane speranze e 'I van dolore». Non è questa una condizione nuova. Si ricordi la visione drammatica di Cavalcanti. Nuovo è l'accento di forte personalizzazione che viene data all'interiorità dell'io. Cavalcanti tende alla spersonalizzazione, all'oggettivazione teatrale del conflitto della propria anima in entità allegoriche e astratte e quindi a un messaggio universalmente valido. La donna, in Petrarca, è ancora occasione per parlare d'altro, mezzo di conoscenza di sé e del mondo. Il mito di Laura permette ora l'esplorazione di un tormento esistenziale individualizzato che va al di là delle pene d'amore, ma dell'amore inventa e assume il linguaggio.

Anche Petrarca si rifà ai modi tipici della tradizione cortese e stilnovistica nella rappresentazione della donna, nella descrizione degli effetti della sua presenza, vissuta come esperienza esaltante: «Non era l'andar suo cosa mortale, / ma d'angelica forma» («Erano i capei d'oro a l'aura sparsi»). Ma Laura non perde mai il carattere di donna terrena, il cui fascino fisico turba i sensi e suscita il desiderio del poeta. L'immagine della donna-angelo torna a essere, come era nella poesia trobadorica, semplice metafora della bellezza della donna, priva di ogni riferimento religioso. La condizione prevalente del Canzoniere non è l'incontro, l'apparizione, ma la lontananza, l'assenza di Laura (cfr. Movesi il vecchierel canuto et biancho). L'inaccessibilità della donna non è tuttavia simbolo del carattere religioso dell'amore. Essa è invece fonte di angoscia, sensazione di vuoto che minaccia l'integrità del soggetto.

La mancanza di Laura e l'impossibilità da parte del poeta ad entrare in relazione con la donna amata caratterizzano la condizione centrale del Canzoniere. Di qui la spinta a trasformare l'amata in un fantasma interiore che assume un valore simbolico e può essere piegato a molteplici significati. Laura è donna-angelo, è desiderio di corrispondenza amorosa, è amore per la gloria e la poesia - al mito di Dafne e alla metamorfosi in lauro si accenna spesso-, è nostalgia per la patria (l'aura), per il locus amoenus e la felicità paradisiaca, è desiderio di natura. Laura è soprattutto occasione all'espressione di un malessere interiore che assume l'aspetto della romantica malattia d'amore.

Lo scontro tra desiderio e sua irrealizzabilità crea un ingorgo emotivo, che apre la via all'esperienza della solitudine, dell'incomunicabilità e della malinconia. Alla base c'è un desiderio che non riesce a trovare un oggetto di appagamento, che getta l'anima nell'inquietudine e nell'inerzia. Petrarca analizza questo stato, con straordinaria lucidità, in un celebre passo del Secretum: «delle altre passioni soffro tanto frequenti quanto brevi e momentanei gli assalti; questo male invece mi prende talvolta così tenacemente, da tormentarmi nelle sue strette giorno e notte; e allora la mia giornata non ha più per me luce né vita, ma è come notte d'inferno e acerbissima morte. E tanto di lagrime e di dolori mi pasco con non so quale atra voluttà, che a malincuore (e questo si può ben dire il supremo colmo delle miserie!) me ne stacco». Questa condizione esistenziale era nota al Medioevo ed era chiamata accidia, di cui veniva data una spiegazione religiosa nello scarso amore verso Dio. Ma l'autoanalisi di Petrarca sfugge allo schema medievale dell'accidia e presenta, soprattutto nel Canzoniere, suggestioni nuove. La si può così ricondurre a quella che Freud, padre della psicoanalisi chiamava "malinconia", cioè al dolore e al senso di privazione che segue la perdita della persona amata. L'amore dunque non è più solo salvezza, ma è anche minaccia e sofferenza che forse nemmeno la morte può sciogliere. Esso induce a un tormentato rapporto con se stessi. Questa sofferta coesistenza di contrari, senza possibilità di soluzione, trova un'espressione esemplare, anche sul piano formale, nel sonetto CXXXIV, «Pace non trovo, et non ò da far guerra».

Il dolore derivante dall'impotenza a stabilire nella realtà un rapporto con la donna amata cerca un risarcimento nella memoria. Attraverso il ricordo, da una parte la visione di Laura diventa più realistica, perché segnata dal trascorrere del tempo e dalle tappe di una concreta vicenda biografica, dall'altra si accentua il processo di interiorizzazione degli effetti di amore. La novità di testi come «Erano i capei d'oro a l'aura sparsi» e «Chiare, fresche et dolci acque» sta nell'introduzione dì una prospettiva spaziale e temporale. Si dissolve l'immagine statica e fuori del tempo della donna-angelo. Laura è rievocata nel tempo, avvertito come invecchiamento biologico che incide sulla sua bellezza, mentre il rilievo tutto soggettivo dato alla passione dal poeta si riflette sulla persona stessa della donna: «e 'I viso di pietosi color farsi, / non so se vero o falso, mi parea». La donna è immersa anche nella natura, che rende più mossa e vitale l'immagine femminile. I «capei d'oro a l'aura sparsi / che 'n mille dolci nodi gli avolgea» anticipano l'apoteosi di Laura nel paesaggio fiorito di «Chiare, fresche et dolci acque» nonché le figurazioni quattrocentesche delle donne di Botticelli. La corrispondenza tra la natura, il corpo e la bellezza di Laura e lo stato d'animo del poeta è resa possibile dalla prospettiva unificante del ricordo «dolce nella memoria». Resta tuttavia il contrasto con la realtà, la percezione del presente come dolorosa assenza: S'egli è pur mio destino,/ e 'I cielo in ciò s'adopra, / ch'Amor quest'occhi  lagrimando chiuda [...]».

Con la morte di Laura l'amore non si estingue, ma subisce una trasfigurazione: imprevedibilmente si accentua la presenza della donna. Sottratta alla verifica della realtà, l'immagine della donna si trasforma in un fantasma mentale, che più docilmente rispecchia i desideri del poeta. Diventa allora centrale l'esperienza del sogno, luogo di recupero di un'armonia con la donna prima negata. L'incontro, il contatto con Laura, impossibili in terra, si compiono in cielo dopo la morte. Solo dopo che è scomparso fisicamente l'oggetto d'amore, il desiderio può avvicinarsi al suo appagamento. Laura è sempre presente nella mente del poeta e risponde pietosa al suo richiamo: «lei (...] veggio, et odo, et intendo ch'anchor viva / di sì lontano a' sospir' miei risponde» (cfr. Se lamentar augelli, verdi fronde). Diviene così una madre e una guida.

Laura perde ora la complessità di una passione vissuta in modo conflittuale, come perenne «dolce amaro», come perdizione di sé e acquista un significato decisamente positivo. L'esperienza della morte e della caducità dei beni terreni fa capire al poeta come proprio la castità di Laura, il rifiuto opposto alla sua passione terrena, gli abbiano lasciata aperta la via della salvezza. L'intera vicenda è dunque rivisitata in questa luce e recuperata nella prospettiva, non priva di nodi drammatici, del pentimento e della conversione a Dio. Solo la sacralizzazione della vicenda d'amore permette una riconciliazione con la donna in chiave religiosa. Il rinnegamento della passione e della tematica amorosa nel Canzoniere non approda, come in Boccaccio, a rifiuto misogino della donna. La canzone finale alla Vergine (Vergine bella, che di sol vestita), se è un'invocazione al perdono che sancisce un giudizio negativo sul proprio passato, è insieme la proposta di un modello di femminilità diversa, materna, amichevole e protettiva, preparata dal lungo processo di trasfigurazione subito dall'immagine di Laura dopo la sua morte.

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