Juan de la Cruz – da Canzoni tra l'anima e lo Sposo

 
     
 

Spesso il rapporto tra Dio e l’anima assume nel linguaggio mistico le valenze di un rapporto amoroso, più precisamente quello del rapporto tra gli sposi o i promessi. Tale rapporto ha un referente biblico nel Cantico dei cantici e trova particolare sviluppo in gran parte dei testi di mistici. Un particolare rilievo a questa tematica è dato, alla fine del XVI secolo, dal mistico spagnolo Juan de la Cruz (1542-1588). Anche nella sua opera poetica, considerata come espressione dell’esperienza mistica avuta durante l’estasi, il rapporto amoroso tra l’anima e Dio oscilla tra la violenza della ferita (o della piaga da ustione) e la dolcezza della carezza d’amore che ristora.

Di Juan de la Cruz leggiamo alcune strofe dalle Canzoni fra l’anima e lo Sposo, in cui si immagina che la Sposa (l’anima) dopo una affannosa ricerca, ritrovi lo Sposo (Cristo) e insieme a lui prefiguri le gioie della loro unione d’amore.

 
     
 

SPOSA

Perché, se m'hai ferito
il cuore, poi non l'hai guarito?
E se me l'hai rubato,
perché poi te ne sei andato
e il bottino con te non hai portato?     45

Spegni le mie ansie
perché nessuno basta ad appagarle;
fa' che ti vedano i miei occhi,
perché sei la loro luce
e solo per guardarti mi son cari.         50

Svelati e uccidimi,
visione di bellezza;
guarda: io ho pena
d'amor, che non si cura
se non con la presenza e la figura.     55

O fonte di cristallo,
se nello specchio delle tue sembianze
in un lampo sorgessero
gli occhi desiderati
che nel mio ventre porto disegnati!   60

Distoglili, Amato:
io spicco il volo.

 

SPOSO

Voltati, colomba:
il cervo ferito
sul vertice si mostra                         65
e la brezza del tuo volo lo rinfresca.

 

SPOSA

Il mio Amato: le montagne,
la solitudine delle valli boscose,
le isole meravigliose,
i fiumi fragorosi,                                70
il fischio dei venti innamorati.

La notte placata
prossima al risveglio dell'aurora,
la musica taciuta,
la solitudine sonora,                          75
la cena che ristora ed innamora.

Il nostro letto fiorito
è circondato da tane di leoni,
sotteso di porpora,
scolpito nella pace,                            80
di mille scudi d'oro incoronato.

Incalzando la tua traccia
le ragazze ti cercano
a un tocco di favilla,
a un aromatico vino,                         85
soavi di balsamo divino.

Nella più interna segreta
dell'Amato ho bevuto, e quando ne uscii
in tutta la campagna
più nulla riconobbi                              90
e perduto era il gregge, che pascevo.

Là mi aprì il suo petto
e m'insegnò un'aromatica scienza;
tutta a lui nell'atto
mi donai, senza riserve:                      95
là gli promisi di essere sua sposa.

La mia anima si è votata
con tutti i miei tesori al suo servizio:
e non ho più greggi                             100
né altro uffizio;
ormai solo in amore è il mio esercizio.

 

 

ferito: facendomi innamorare

 

 

 

 

e il bottino...portato: lasciandomi qui sola con il cuore strappato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

se nello specchio delle tue sembianze: il testo spagnolo ha si en esos tus semblantes plateados – “se in quei tuoi sembianti argentati”.

 

 

nel mio ventre: dentro di me; ma l’espressione è estremamente forte e “corporea”

io spicco il volo: è il volo mistico dell’anima verso l’oggetto del suo desiderio.

 

 

 

colomba: l’identificazione della sposa come colomba è citazione del Cantico 2, 14.

il cervo ferito...si mostra: l’identificazione dell’amato come un cervo è citazione del Cantico 2, 17: “ritorna, o mio diletto, somigliante alla gazzella o al cerbiatto, sopra il monte degli aromi”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

segreta: cella, stanzetta

 

 

 

 

 

aromatica: gustosa, saporita. “Aromatica scienza” è in un certo senso un ossimoro*: ritorna il riferimento al senso del gusto per significare l’esperienza interiore immediata del divino. Conoscere, amare e “gustare” sono la stessa esperienza.

 

 
     
 

Commento

Oltre alle tematiche tipiche della mistica – la relazione amorosa tra l’anima e Dio (“mi donai senza riserve”, v. 95); la ferita d’amore (“se m’hai ferito”, v. 41); l’esposizione dell’interiorità (“Là mi aprì il suo petto”, v. 92) – il brano presenta una caratteristica particolare. Nelle due strofe tra i versi 67 e 76 viene descritto l’Amato, come esso viene percepito nel momento del “volo” mistico verso di lui, da parte dell’anima fattasi colomba. La percezione dell’Amato è riportata ad una serie di situazioni, che mettono in luce almeno tre caratteristiche essenziali dell’esperienza dell’anima.

In primo luogo, soprattutto nella prima strofe, la percezione interiore dell’anima è rapportata a contesti di carattere naturale (“montagne”, “valli boscose”, “isole meravigliose”, “fiumi fragorosi”, “venti innamorati”), dai quali emerge generalmente un suono indistinto, come una voce inarticolata: “i fiumi fragorosi / il fischio dei venti innamorati”. Nel commento spirituale alle Canzoni, Juan stesso precisa la natura di tale effetti acustici come “un suono e voce spirituale”, vale a dire un suono che è già voce, che parla e dice, quindi, pur fermandosi prima dell’articolazione in parola.

In secondo luogo, la percezione acustica di tali suoni si precisa, nella seconda strofe, come “solitudine sonora” (v. 75): espressione estremamente allusiva, che suggerisce di cogliere quei suoni nella contemplazione solitaria del loro sorgere dal silenzio, del loro porgersi isolato alla meditazione solitaria. È una solitudine comune alla interiorità dell’anima (appunto, “la solitudine sonora” del v. 75), come alla realtà esterna (“la solitudine delle valli boscose”, v. 68) – che si precisa al v. 74 (“la musica taciuta”) come sostanza musicale: di nuovo, voce inarticolata che, senza parole, parla al cuore.

In terzo luogo, la percezione dell’anima al momento decisivo del volo mistico, non è quella di una intensificazione della percezione sensoriale, ma, al contrario, di un suo indebolimento: una percezione notturna, quieta - della calma profonda che precede il “risveglio dell’aurora”.

Nel commento, Juan spiega il motivo di questa silenziosa solitudine notturna: “e così lo spirito in questa contemplazione sta nella solitudine di tutte le cose, privato di tutte quelle e come nudo, e non acconsente a sé niente altro che la solitudine in Dio”. La notte è dunque immagine del farsi opaco della percezione delle cose, del loro scivolare verso l’inconsistenza, di fronte all’emergere dell’Amato: da quel silenzio prorompe il rumore della sua voce – “voce immensa”, “voce infinita” secondo le parole del commento – ma pure inarticolata e indistinta come quella del fragore delle acque fluviali. Di fronte ad essa lo spirito sta come annichilito e “nudo” e percepisce il rapporto con l’Amato non nella luce chiara e trasparente del giorno – come un’esperienza evidente e razionalmente esprimibile – ma nella opacità della notte, nel silenzio solitario della contemplazione muta, attraverso un’esperienza sensoriale rarefatta e assoluta – pura e precedente ad ogni significato determinato - espressa attraverso l’ossimoro della “musica taciuta” (musica callada, v.74), della “musica silenziosa”.