Giovanbattista Marino – dalla Lira

 
     
 

Si tratta del madrigale CXLVI, che non era sfuggito all’attenzione di Baltasar Gracián, che ne L’Arte dell’ingegno lo prende ad esempio di perfetto concettismo, per l’alto contenuto teologico che in esso è racchiuso, nel rapido volgere di pochissimi versi. In esso il poeta si rivolge alla piaga del costato di Cristo, che chiama, con espressione desunta dal linguaggio mistico, “piaga dolce d’amore”.

 
     
 

Piaga dolce d'amore

Già tu piaga non sei,

Ma bocca di quel core

Che parla ai sensi miei:

E quante in te cosperse

Son stille sanguinose,

Tanto son per mio ben lingue amorose.

 

 

 

 

 

 

E quante...lingue amorose: e quante sono le gocce di sangue cosparse su di te, o ferita, tante sono le lingue che parlano ispirate da amore per me

 
     
 

Commento

Per il fatto di essere riconosciuta come “piaga dolce d’amore”, la ferita del costato si rivela come la bocca del cuore di Cristo. Il cuore di Cristo, in quanto egli è Parola di Dio fattosi carne, parla all’uomo in modo sensibile. E le gocce di sangue che stillano dalla ferita diventano lingue che dicono parole d’amore per l’umanità. La ferita è dunque bocca perché rivela ciò che è dentro al cuore di Cristo. Come la bocca, la ferita si fa tramite tra interiorità ed esteriorità. Il concetto espresso e il linguaggio sono i medesimi del contesto mitico-erotico della morte di Adone.

 
     
     
 

Giovanbattista Marino – da Dicerie sacre, Diceria seconda

 
     
 

Nel 1614 – lo stesso anno dell’edizione del terzo libro della Lira – sono edite a Torino le Dicerie sacre. Nelle tre orazioni che compongono l’opera, Marino affronta i temi evangelici e le questioni teologiche. Le tre orazioni vertono infatti sulla Sacra Sindone (la Diceria prima), sulle sette parole dette da Cristo in croce (la Diceria seconda) e sul Cielo (la Diceria terza). In realtà, le Dicerie sono anche molto di più che semplici orazioni sacre, estendendosi ad un vero e proprio tentativo di allargare il discorso ad una reinterpretazione del ruolo delle arti e della poesia: la Diceria prima porta infatti come titolo La pittura, mentre la Diceria seconda è dedicata a La musica. In esse, dunque, trova spazio quel medesimo progetto poetico che Marino avrebbe perfezionato con le raccolte della Galeria (dedicata alla descrizione di opere di pittura e scultura) e della Sampogna (dedicata più generalmente al rapporto tra poesia e musica). Ma nelle Dicerie quel progetto si collega saldamente alla materia religiosa e teologica.

Nella Diceria seconda, Marino imposta il proprio lungo discorso, come una partitura musicale, a commento delle sette parole di Cristo in Croce. Il culmine del discorso è forse nella parte conclusiva della orazione sacra, la quarta, dedicata alla ultima parte della passione del Cristo e al rapporto tra lui e Maria, ai piedi della Croce. Il tema principale è quello dell’amore che unisce Gesù, Giovanni e la Madonna e, in particolare, il figlio alla madre.

Leggiamo alcuni passi dalla quarta parte della Diceria seconda. È il momento culminante della Passione e gli occhi della madre piangente incrociano quelli morenti del figlio.

 
     
 

Sono gli occhi messaggeri d'Amore, son porte della mente, son balconi dell'anima, sono specchi che rappresentano l'imagine del cuore, son libri in cui si leggono gli interni affetti, son penne che non di lontano, ma presenti scrivono lettere amorose, son lingue che parlano senza favella1: ma sono anche stromenti musici che si accordano tra gli amanti. O che musica fanno gli occhi di Cristo con quelli di Maria mentre si mirano! O che armonia fanno gli occhi di Maria con quelli di Cristo mentre s'incontrano! Sguardi efficaci, sguardi loquaci, anzi eloquenti, che tacendo ragionano, nel silenzio s'intendono, commuovono senza parole, persuadono senza argomenti e dialogando reciprocamente fra se stessi con una mutola facondia2, fanno quasi una bella muta di madriali3 a due. Chi ha giamai veduti quinci e quindi opposti il Sole e 'l Girasole, quello in Cielo questo in terra, quello con raggi questo con foglie, l'uno all'altro rivolgersi: che se quello sorge questo s'apre: se quello poggia4 questo s'inalza; se quello tramonta questo s'inchina; contempli in simil atto la madre pendere dal figlio pendente: la quale se già al levante del suo natale5 fu piena di gioia, al meriggio della sua vita visse lieta e beata, ahi misera che ora all'occaso6della sua morte trabocca di mortal dolore! [...]

Chi vide mai due specchi l'uno di fronte all'altro, che con vicendevoli riflessi ripercuotono questo a quello i medesimi oggetti, consideri, né più né meno, la madre e 'l figlio: il figlio su la croce, la madre a pié della croce, il figlio patisce, la madre compatisce, muore il figlio, tramortisce la madre, languisce il figlio, spasima la madre, e con dolcissimo cambio di tenerezze si dànno e rendono insieme colpi e risposte d'affettuosi sentimenti. [...]

Ma per meglio dire, chi sentì mai due liuti in conforme proporzione di consonanza accordati, che per occulta virtù di simpatia7, mentre l'uno è sonato, l'altro senza esser tocco8 risponde, imagini tale appunto il figlio e la madre, in ugual tenore d'amorosa angoscia concordi, che nella passione e nella compassione l'un l'altro si rispondono scambievolmente. Si vagheggiano gli occhi, si scontrano gli sguardi, si riflettono i voleri, s'abbracciano gli affetti, si communicano i cuori. [...]

S'una spina fora le tempie al figlio, è uno strale che trappassa il cuore alla madre. S'un chiodo punge la palma al figlio, è un pugnale che trafige il cuore alla madre. Se la lancia ferisce il fianco al figlio, è un fulmine che saetta il cuore alla madre. Né solo con gli sguardi fanno gli occhi questa musica dolorosa, ma con le lagrime ancora. O lagrime armoniche tra gli occhi rugiadosi di due anime innamorate!

 
 

1 favella: parola.

2 mutola facondia: muta eloquenza. Questo è l’ultimo di una serie di ossimori e antitesi.

3 muta di madriali: serie di madrigali. Il madrigale era una forma di poesia cantata a più voci.

4 poggia: scende

5 al levante del suo natale: all’alba della sua nascita. Inizia la metafora continuata che equipara Gesù al sole e Maria al girasole

6 occaso: tramonto

7 per occulta virtù di simpatia: per nascosto potere di accordo reciproco

8 tocco: toccato

 
     
 

Commento

Lo straziato rapporto amoroso (i “colpi e risposte di affettuosi sentimenti”) tra Gesù in croce e la Madonna ai suoi piedi viene reso da Marino con la virtuosistica elaborazione di esperienze sensoriali incrociate l’una sull’altra e quasi sempre impostate sulla figura retorica della antitesi. La comunicazione tra i due avviene attraverso gli occhi, che lasciano vedere ciò che sta dentro il cuore di ciascuno. Si tratta di una comunicazione musicale, anche se muta (di qui la serie degli ossimori), per il fatto che essa è sommamente armonica. Vista e udito si incrociano anche negli esempi: gli specchi, che si riflettono reciprocamente; i liuti, consonanti per prossimità. La comunicazione profonda (“si communicano i cuori”) avviene attraverso la messa in tensione dei sensi, che vibrano concordi come messi in risonanza musicale reciproca. Il rapporto d’amore tra il figlio morente e la madre, tra Gesù in croce e la Madonna, è di fatto, come la musica, capace di muovere profondamente gli affetti e toccare il cuore. La compartecipazione dell’ascoltatore è basata sulla medesima profonda commozione: è la parola del poeta, in questo caso, a concertare le emozioni e a muovere gli affetti con il flusso ritmico della sua musicalissima prosa.