L'organizzazione della cultura

Pietro Abelardo, Historia calamitatum

La cultura medievale ebbe le sue sedi principali di elaborazione e trasmissione nei monasteri, nelle scuole istituite presso le sedi vescovili e, a partire dal secolo X, nelle università, e anche in scuole indipendenti istituite privatamente da singoli maestri. In questi centri si elaborò una precisa organizzazione didattica, che scandiva la giornata dello studente, e un piano di studi articolato nelle sette "arti". La vivacità di questi ambienti culturali è testimoniata dalle lotte che nascevano tra i diversi maestri per affermare la propria supremazia e accaparrarsi più studenti.

 
 

Una disputa teologica

 

Pietro Abelardo, uno dei maggiori filosofi e teologi del secolo XII, è famoso soprattutto per la storia del suo contrastato amore con l'allieva Eloisa, che gli costò la castrazione, inflittagli per vendetta su mandato dei parenti di lei. Il libro che raccoglie le lettere scambiate più tardi tra i due, divenuti entrambi monaci, è introdotto da una lettera autobiografica di Abelardo “a un amico”, intitolata Historia calamitatum. In essa l’autore, oltre alla storia del suo tormentato amore, narra la sua fortunata, ma contrastata carriera di studioso. Il brano riportato si riferisce ad un periodo giovanile: dopo aver frequentato la scuola di un famoso maestro di dialettica, Abelardo ne ha aperta una per conto proprio; in seguito, per approfondire la propria preparazione filosofica, frequenta la scuola di un vecchio teologo, Anselmo di Laon, ma presto lo giudica una nullità. Si inserisce qui l’episodio della disputa con altri discepoli dello stesso maestro.

 

 

Un giorno, dopo esserci esercitati a confrontare le Sentenze, noi studenti discutevamo amichevolmente tra noi. Uno di loro, come per mettermi alla prova, mi domandò che cosa pensassi dello studio delle Sacre Scritture, ed io, che fino allora avevo studiato solo la filosofia, risposi che quel tipo di studio era più utile di qualsiasi altro, perché permetteva di apprendere ciò che è necessario per la salvezza della nostra anima, ma che mi stupiva grandemente il fatto che delle persone istruite come loro non si accontentassero, per capire i commenti dei santi Padri, dei loro scritti o tutt'al più delle glosse, ma avessero bisogno anche di un maestro, di una guida. Molti dei presenti scoppiarono a ridere e mi domandarono se io mi ritenevo in grado di commentare da solo i Sacri Testi. Risposi che se volevano ero pronto a provare, ma essi si misero a gridare e a ridere ancora più forte, dicendo: «Certo che siamo d'accordo! Cercheremo e ti assegneremo un commento di qualche passo meno noto della Scrittura, e vedremo se quel che prometti è vero.» E tutti d'accordo scelsero un’oscurissima profezia di Ezechiele.

Io presi il commento e subito li invitai a venire il giorno dopo a sentire la mia spiegazione. Essi allora, con l'aria di darmi un consiglio che io non avevo certo richiesto, cominciarono a dirmi che su un argomento così difficile non dovevo aver fretta e che, data la mia inesperienza, avrei dovuto dedicarmi un po' più a lungo alla preparazione e alla comprensione del commento. A questo punto mi sentii offeso e risposi piuttosto irritato che non era mia abitudine imparare le cose per mezzo dell'esercizio mnemonico, ma per mezzo dell'intelligenza: e aggiunsi che avrei rinunciato definitivamente alla prova, se essi non fossero intervenuti alla mia lezione all'ora stabilita.

In realtà alla mia prima lezione erano presenti in pochi, perché a tutti sembrava ridicolo che un principiante come me si sobbarcasse tanto presto a un'impresa del genere. Ma la lezione piacque talmente a coloro che vi erano intervenuti che non solo si congratularono con me ma mi invitarono anche a continuare il mio commento secondo gli stessi criteri. La notizia del mio successo si diffuse fulmineamente, e anche coloro che non erano venuti alla prima lezione si precipitarono alla seconda e alla terza e tutti erano desiderosissimi di trascrivere le glosse che avevo dettato il primo giorno, all'inizio delle lezioni.

Naturalmente il mio successo accrebbe l'invidia del vecchio Anselmo, il quale, già infiammato contro di me dalle insinuazioni di quei suoi scolari, cominciò a osteggiare me e le mie lezioni di teologia proprio come Guglielmo aveva fatto quando insegnavo filosofia.

 

 

Abelardo è un intellettuale di tipo nuovo, combattivo, sicuro di sé: ama la disputa, sfida le autorità riconosciute. In questo episodio è da notare la contrapposizione tra intelligenza ed esercizio mnemonico: Abelardo avanza la pretesa di contestare ciò che è trasmesso dalla tradizione attraverso l'uso autonomo e personale della propria ragione, una pretesa inaudita e scandalosa per i suoi contemporanei. Con questo spirito Abelardo svolse le sue ricerche filosofiche e teologiche su basi razionali, senza una preconcetta subordinazione della ragione alla fede cristiana (al cui interno comunque intendeva restare). La novità del suo pensiero gli costò la condanna per eresia di diversi concili, fino a una scomunica.

Il tema dell'«invidia» dei vecchi maestri, che percorre tutta l'autobiografia di Abelardo, getta una luce sul mondo dei nuovi intellettuali dei secoli XI-XII: le scuole private e le cattedre nelle scuole vescovili sono una fonte di lucro, la competizione tra i maestri è serrata, per conquistare allievi e fama.