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La
lingua latina ed ogni sua perfezione e grandezza fiorì massimamente
nel tempo di Tullio, perocché prima era stata non pulita, né
limata, né sottile, ma, salendo a poco a poco a sua perfezione, nel
tempo di Tullio nel più alto colmo divenne. Dopo l'età di Tullio
cominciò a cadere e a discendere come infine a quel tempo era
montata, e non passarono molti anni che ricevuto avea grandissimo
calo e diminuzione. E puossi dire che le lettere e gli studi della
lingua latina andassero parimente con lo stato della repubblica di
Roma, perocché infino all'età di Tullio ebbe accrescimento; dipoi,
perduta la libertà del popolo romano per la signoria degl'imperadori,
i quali non restarono d'uccidere e di disfare gli uomini di pregio,
insieme col buono stato della città di Roma perì la buona
disposizione degli studi e delle lettere [...] E sopravvennero in
Italia i Goti e i Longobardi, nazioni barbare e strane, i quali
affatto quasi spensero ogni cognizione di lettere, come appare negl'ínstrumenti
in que' tempi rogati e fatti, de' quali niente potrebbe essere piú
material cosa, né più grossa e rozza.
Ricuperata
dipoi la libertà de' popoli italici per la cacciata de' Longobardi,
í quali ducento e quattro anni tenuto avevano Italia occupata, le
città di Toscana e altre
cominciarono a riaversi ed a dare opera agli studi ed alquanto
limare il grosso stilo, e così a poco a poco vennero ripigliando
vigore, ma molto debilmente e senza vero giudizio di gentilezza
alcuna, piú tosto attendendo a dire in rima volgare che ad altro; e
così per insino al tempo di Dante lo stile litterato pochi
sapevano, e quelli pochi il sapevano assai male, come dicemmo nella Vita
Dante.
Francesco
Petrarca fu il primo il quale ebbe tanta grazia d'ingegno che
riconobbe e rivocò in luce l'antica leggiadria dello stile perduto e spento; e posto che in lui
perfetto non fusse, pur da
sé vide ed aperse la via a questa perfezione, ritrovando l'opere di
Tullio e quelle gustando ed intendendo, adattandosi, quanto poté e
seppe, a quella elegantissima e perfettissima facondia: e per certo fece assai, solo a dimostrare la via a quelli che dopo lui avevano a
seguire.
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Bruni
traccia un profilo ideale di storia della lingua, vista come il
riflesso della storia, della civiltà, che rappresenta in modo
esemplare il modello storico che gli umanisti
avevano
in mente: ascesa, perfezione, decadenza, rinascita. Petrarca, padre
di tutti gli umanisti, è visto come il punto di svolta, nel suo
nome si compie la rinascita della civiltà. Si tratta qui del
Petrarca restauratore del latino classico, non del poeta in volgare;
il discorso riguarda la continuità storica del latino, rispetto
alla quale il “dire in rima volgare” appare un incidente
trascurabile.
La
concezione umanistica della lingua e dello stile ne fa delle entità
da valutare in termini intrinseci, senza riferimento all'epoca,
all'argomento, alla personalità dello scrittore: la lingua
"sale" o decade, raggiunge in certi momenti la perfezione
assoluta. Resta esclusa l'idea di una creatività stilistica
individuale, e lo sforzo dello scrittore non potrà essere che
quello di adeguarsi al modello "perfetto".
Tra
gli umanisti, Bruni fu il più legato a un'idea di impegno civile in
nome della tradizionale "libertà" della repubblica
fiorentina; qualcosa di questo atteggiamento traspare anche nel
profilo storico che traccia di Roma antica.
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