Francesco Petrarca fu il primo

Leonardo Bruni, Vita di Messer Francesco Petrarca

Leonardo Brani scrisse la Vita di messer Francesco Petrarca nel 1436, lo stesso anno della Vita di Dante; queste due operette segnavano la continuità di una tradizione fiorentina di letteratura volgare legata ai grandi maestri del Trecento, in un'epoca di predominio del latino. Anche Bruni del resto scrisse prevalentemente in tale lingua, e in questo passo celebra Petrarca come scrittore latino.

 
 

La lingua latina ed ogni sua perfezione e grandezza fiorì massimamente nel tempo di Tullio, perocché prima era stata non pulita, né limata, né sottile, ma, salendo a poco a poco a sua perfezione, nel tempo di Tullio nel più alto colmo divenne. Dopo l'età di Tullio cominciò a cadere e a discendere come infine a quel tempo era montata, e non passarono molti anni che ricevuto avea grandissimo calo e diminuzione. E puossi dire che le lettere e gli studi della lingua latina andassero parimente con lo stato della repubblica di Roma, perocché infino all'età di Tullio ebbe accrescimento; dipoi, perduta la libertà del popolo romano per la signoria degl'imperadori, i quali non restarono d'uccidere e di disfare gli uomini di pregio, insieme col buono stato della città di Roma perì la buona disposizione degli studi e delle lettere [...] E sopravvennero in Italia i Goti e i Longobardi, nazioni barbare e strane, i quali affatto quasi spensero ogni cognizione di lettere, come appare negl'ínstrumenti in que' tempi rogati e fatti, de' quali niente potrebbe essere piú material cosa, né più grossa e rozza.  

Ricuperata dipoi la libertà de' popoli italici per la cacciata de' Longobardi, í quali ducento e quattro anni tenuto avevano Italia occupata, le città di Toscana e altre cominciarono a riaversi ed a dare opera agli studi ed alquanto limare il grosso stilo, e così a poco a poco vennero ripigliando vigore, ma molto debilmente e senza vero giudizio di gentilezza alcuna, piú tosto attendendo a dire in rima volgare che ad altro; e così per insino al tempo di Dante lo stile litterato pochi sapevano, e quelli pochi il sapevano assai male, come dicemmo nella Vita Dante.

Francesco Petrarca fu il primo il quale ebbe tanta grazia d'ingegno che riconobbe e rivocò in luce l'antica leggiadria dello stile perduto e spento; e posto che in lui perfetto non fusse, pur da sé vide ed aperse la via a questa perfezione, ritrovando l'opere di Tullio e quelle gustando ed intendendo, adattandosi, quanto poté e seppe, a quella elegantissima e perfettissima facondia: e per certo fece assai, solo a dimostrare la via a quelli che dopo lui avevano a seguire.

 

 

 

Bruni traccia un profilo ideale di storia della lingua, vista come il riflesso della storia, della civiltà, che rappresenta in modo esemplare il modello storico che gli umanisti avevano in mente: ascesa, perfezione, decadenza, rinascita. Petrarca, padre di tutti gli umanisti, è visto come il punto di svolta, nel suo nome si compie la rinascita della civiltà. Si tratta qui del Petrarca restauratore del latino classico, non del poeta in volgare; il discorso riguarda la continuità storica del latino, rispetto alla quale il “dire in rima volgare” appare un incidente trascurabile.

La concezione umanistica della lingua e dello stile ne fa delle entità da valutare in termini intrinseci, senza riferimento all'epoca, all'argomento, alla personalità dello scrittore: la lingua "sale" o decade, raggiunge in certi momenti la perfezione assoluta. Resta esclusa l'idea di una creatività stilistica individuale, e lo sforzo dello scrittore non potrà essere che quello di adeguarsi al modello "perfetto".

Tra gli umanisti, Bruni fu il più legato a un'idea di impegno civile in nome della tradizionale "libertà" della repubblica fiorentina; qualcosa di questo atteggiamento traspare anche nel profilo storico che traccia di Roma antica.