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La
lingua delle scritture, Giuliano, non dee a quella del popolo
accostarsi, se non in quanto, accostandovisi, non perde gravità,
non perde grandezza; che altramente ella discostare se ne dee e
dilungare, quanto le basta a mantenersi in vago e in gentile stato.
Il che aviene per ciò, che appunto non debbono gli scrittori por
cura di piacere alle genti solamente, che sono in vita quando essi
scrivono, come voi dite, ma a quelle ancora, e per aventura molto più,
che sono a vivere dopo loro: con ciò sia cosa che ciascuno la
eternità alle sue fatiche più ama, che un brieve tempo. E perciò
che non si può per noi compiutamente sapere quale abbia ad essere
l’usanza delle favelle di quegli uomini, che nel secolo nasceranno
che appresso il nostro verrà, e molto meno di quegli altri, i quali
appresso noi alquanti secoli nasceranno, è da vedere che alle
nostre composizioni tale forma e tale stato si dia, che elle piacer
possano in ciascuna età, e ad ogni secolo, ad ogni stagione esser
care; sì come diedero nella latina lingua latina loro componimenti Virgilio, Cicerone e degli altri, e nella greca Omero,
Demostene e di molt'altri ai loro; i quali tutti, non mica secondo
il parlare, che era in uso e in bocca del volgo della loro età,
scriveano, ma secondo che parea loro che bene lor mettesse a poter
piacere più lungamente. Credete voi che se il Petrarca avesse le
sue canzoni con la favella composte de' suoi popolani, che elle così
vaghe, così belle fossero come sono, così care, così gentili?
Male credete, se ciò credete. Né il Boccaccio altresì con la
bocca del popolo ragionò; quantunque alle prose ella molto meno si
disconvenga, che al verso. [...]
Non
è la moltitudine, Giuliano, quella che alle composizioni d'alcun
secolo dona grido e auttorità, ma sono pochissimi uomini di ciascun
secolo, al giudicio de' quali, perciò che sono essi più dotti
degli altri riputati, danno poi le genti e la moltitudine fede, che
per sé sola giudicare non sa dirittamente, e a quella
parte si piega con le sue voci, a cui ella que' pochi uomini, che io
dico, sente piegare. E i dotti non giudicano che alcuno bene scriva,
perché egli alla moltitudine e al popolo possa piacere del secolo
nel quale esso scrive: ma giudica a' dotti di qualunque secolo tanto
ciascuno dover piacere, quanto egli scrive bene; ché del popolo non
fanno caso. E adunque da scriver bene più che si può, perciò che
le buone scritture, prima a' dotti e poi al popolo del loro secolo
piacendo, piacciono altresì e a' dotti e al popolo degli altri
secoli parimente.
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La
concezione che ha Bembo della lingua è letteraria e aristocratica.
L'accostamento agli usi linguistici correnti (del "volgo")
comporta un rischio di contaminazione e va regolato sull'ideale
della gravità e grandezza
dello stile. La fama dei grandi scrittori si estende tra la
moltitudine, ma solo a partire dal giudizio di pochi competenti, che
vengono ad essere i veri destinatari dell'opera letteraria.
Il
criterio di riferimento di queste valutazioni è l’eternità: il
grande scrittore scrive per i posteri. In questa prospettiva i
mutamenti storici delle lingue sono ininfluenti: il fiorentino che
Bembo sceglie non è la concreta lingua dei fiorentini di un qualche
periodo, ma una lingua assoluta
in funzione di una letteratura fuori del tempo. I modelli
sono Petrarca e Boccaccio, non in quanto figure storiche, ma in
quanto hanno depositato nelle loro opere esempi di una perfezione
atemporale.
Queste
concezioni, che a noi possono apparire rigide e astratte, erano
adatte a risolvere la questione della lingua come si poneva al primi
del Cinquecento: la lingua unitaria che si cercava era la lingua di
un ceto abbastanza ristretto di intellettuali di corte, gli unici ad
avere una cultura italiana e non locale.
L'ideale
stilistico dichiarato da Bembo è manifestato in atto nella sua
prosa, che non mira tanto all'incisività delle singole affermazioni
quanto a ricercare la nobile armonia come un valore in sé. L'ampio
giro dei periodi è modellato sulla sintassi boccaccesca, dalla
quale riprende le inversioni e la collocazione del verbo in fine di
frase.
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