Stare con i morti

Petrarca, Familiarium rerum libri, VI,4

In una del 1342 al cardinale Giovanni Colonna, Petrarca giustifica la grande abbondanza  di esempi illustri e antichi che cita continuamente nei propri scritti

 
 

 [...] io scrivo per me e, mentre scrivo, desidero intrattenermi con i mostri maggiori nell'unico modo che posso; queste persone che un avverso destino mi ha dato compagne di vita, le dimentico con grandissimo piacere e pongo anzi ogni mia attenzione per fuggire i contemporanei e per seguire gli antichi. Come infatti la vista di quelli mi irrita profondamente, così la memoria di questi, le loro magnifiche imprese, i loro nomi illustri mi riempiono di piacere incredibile e inestimabile, e se queste cose fossero note a tutti, molti certo stupirebbero perché io tanto mi compiaccia dello stare con i morti piuttosto che con i vivi. Ai quali risponderebbe la verità che vivono coloro che morirono con gloria e virtù; quanto a costoro che se la spassano tra mollezze e falsi piaceri, rammolliti nel sonno e nella lussuria, pesanti di vino, anche se sembrano vivere, sono soltanto cadaveri che, sì, respirano, ma sono già putrefatti e deformi. E rimanga pure questa eterna lite tra i dotti e gli ignoranti; io seguirò il mio proposito.  

 

 

  L'entusiasmo per la cultura antica si unisce in Petrarca a un disprezzo sdegnoso per i contemporanei, nei quali vede solo vizi. Così il leggere e lo scrivere diventano per lui un rifugio, un colloquio ideale con grandi anime del passato che gli appaiono più “vive” delle persone che ha intorno.