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Il nome novella non è da considerarsi una traslitterazione né un
calco dal Greco. I Greci infatti non hanno un nome specifico e unico per
definirla, ma la designano con gli stessi termini con i quali vengono indicati
altri generi letterari ad essa affini, senza che sussista un'immediata
distinzione (mythos, logos, apologos, giéghema, diéghesis). Alla
novella, effettivamente, per molto tempo non viene riconosciuta una propria
autonomia come genere. È altrettanto improbabile che la parola derivi dal
Latino classico, in quanto il racconto breve è designato con i
termini: fabula, fabella, narratio, res ficta ed exemplum fictum.
La denominazione è invece del tardo Latino e del volgare (novus, novellus
,a ,um: il femminile dell'aggettivo indica novità, racconto agile) e
trova la sua attestazione nella narrativa in lingua volgare fin dalla sua fase
primigenia (Il novellino). Il percorso evolutivo della novella greca
antica consta di due periodi in un certo senso distinti, anche se non sempre
cronologicamente separabili.
Il primo momento è paleoionico: la Ionia, che vide fiorire la poesia epica e
la storiografia dei logografi, era terreno naturale per il sorgere della
novellistica, per compiere quel processo di avvicinamento "del dato
divino o meraviglioso all'esperienza razionale e alle proporzioni umane, che
è la condizione spirituale che spiega il sorgere della novella". In tale
periodo, definito dal critico M. Pelayo novella prima della novella,
questa si confonde con la tradizione mitologica, il racconto epico e la
narrazione storica o pseudo-storica, assumendo pertanto il carattere serio,
tragico, romanzesco.
Ecco una serie di
esempi tratti da importanti testi della letteratura greca:
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Iliade: il giudizio di Paride (I libro), storia di
Melagro (IX libro), inganno di Zeus (XIV libro).
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Odissea: tela di Penelope, Ares
e Afrodite nella rete di Efesto (VIII libro), storie di Circe,
Lotofagi, Polifemo, Eolo, Vacche del Sole, Scilla e Cariddi (IX-XII
libro), apologo del mantello di Odisseo da Eumeo. Tipo dello sciocco buono a
nulla: il Margite.
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Le novelle erodotee di Solone e Creso, di Atys e Adrasto,
di Policrate, di Gige e Candaule hanno carattere di digressione spesso
separata dallo sviluppo degli eventi; così quella di Cambise, della figlia
di Cleope o le novelle drammatiche di Periandro e del re Etearco.
Nel secondo momento, neoionico, essa prende coscienza di sè
e trova la sua forma peculiare in organismi autonomi e propri, di carattere
realistico, scherzoso;
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Esopo: novella della vedova (fab. 109
Halm.), novella
dell'amante dai capelli biondi (fab. 56 Halm), il corpus delle fabule sugli
animali;
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le cosidette novelle sibaritiche, sugli
uomini (come recita lo scolio ad Aristofane, Uccelli, 471),
aneddoti comici, umoristici, erotici, che avevano come bersaglio gli
abitanti di Sibari, sciocchi ed effemminati (forse originari della rivale
Crotone?), di cui c'è eco in Aristofane, Uccelli 671 sgg. e Vespe
1427, e che ricorda Ovidio, Tristia, 18 e Callimaco, elegia di
Aconzio e Cidippe;
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Senofonte: novella di Pentea e Abrodata
(Ciropedia 5,1);
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Ovidio: Aconzio e Cidippe (Heroides), Piramo e
Tisbe (Metamorfosi);
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Aristide di Mileto: Milesiaca;
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Plutarco: la novella di Timoclea (Conone, 50);
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Luciano: De dea Sira (19.26), dialoghi delle
cortigiane;
ma anche frasi ed espressioni proverbiali, allusioni,
residui di novelle popolari rintracciabili ad esempio in Plutarco o come la
celebre, e per altro oscura, battuta di Prassinoa a Gorgo in Teocrito, Id. XV,
47: sono tutte dentro, disse dopo aver chiuso fuori la sposa; le Sofferenze
d'amore di Partenio di Nicea, o le perdute fabulae
milesiae. L'indagine sugli aspetti propri della novella
diviene fondamentale all'interno delle numerose teorizzazioni sulla genesi del
romanzo, benché uno dei più autorevoli esponenti della critica ottocentesca,
il Rohde, neghi la possibilità di tale linea interpretativa. Egli, infatti,
sostiene che i due generi, romanzo/novella, siano completamente scissi,
proprio in quanto accentua del romanzo il carattere idealizzato, come l'unico
specifico e distintivo, opponendovi l'aspetto realistico della novella. Ma
l'interpretazione di Rohde sembra ormai superata dalla critica contemporanea,
grazie, in particolare, all'innovativo contributo di Cataudella. Questi
suppone, infatti, che siano esistite novelle più serie, tragiche e
probabilmente anche idealizzate appartenenti alla fase paleoionica, i cui
caratteri, peraltro, sono rintracciabili nella tradizione letteraria e poetica
successiva: i casi di Piramo e Tisbe nelle Metamorfosi di Ovidio, Orfeo
ed Euridice nelle Georgiche di Virgilio e l'ampia novella aretalogica di Amore
e Psiche nelle Metamorfosi di Apuleio. Anche per il romanzo, del resto,
non è da escludere una linea di sviluppo realistica, il cui caso più
emblematico e noto è il Satyricon di Petronio; tale linea non sarebbe
sopravvissuta all'opera censoria bizantina e medievale, a causa della sua
eccessiva licenziosità e volgarità. Per cui il Cataudella ipotizza che
alcuni romanzi greci si siano formati sullo schema della novella che ne
avrebbe costituito in qualche caso il nucleo originario. Ad avallare tale
ipotesi vi sono le due versioni del romanzo idealizzato di Achille Tazio, Leucippe
e Clitofonte: una è più ampia, l'altra pervenuta attraverso un
ritrovamento papiraceo, presenta una redazione breve. Cataudella giunge a
sostenere, quasi provocatoriamente, che se il papiro che attesta la redazione
breve si potesse datare precedentemente all'altra più ampia, allora si
potrebbe affermare che la novella, in questo caso come probabilmente in altri,
abbia dato origine all'intreccio più ampio e organico del romanzo.
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LA FABULA MILESIA
Il termine romanzo,
nell’ambito della narrativa d’amore e d’avventura in lingua greca e latina
fiorita nel periodo ellenistico e greco-romano, è improprio, dal momento che si
riferisce a canoni di narrazioni in termini moderni. Nella retorica greca esso
è definito diéghema o mythos, in quella latina fabula
o fabella. Tuttavia il fatto che non ne esista una descrizione è segno
che la fabula non era considerata un genere autonomo con regole proprie.
Il romanzo più antico di cui abbiamo testimonianza, il romanzo di Nino, risale
al I secolo a.C. Tuttavia sappiamo che fin dal II secolo a.C. circolavano in
Grecia racconti di carattere spregiudicato e licenzioso definiti generalmente Milesiakà.
La fabula milesia nasce appunto nel II secolo a.C. in Grecia; si tratta
di brevi racconti realistici e divertenti a sfondo erotico e avventuroso.
Massimo esponente del genere è Aristide di Mileto (da cui Milesiakà),
che legò il suo nome alle fabulae perché ne fece una raccolta nel II
secolo a.C., mentre prima esse circolavano per lo più in forma orale. I
racconti sono modellati su una struttura a cornice in cui il narratore espone i
fatti in prima persona. Probabilmente l'ambientazione era Mileto, ma forse essa
serviva solo come sfondo al racconto-cornice. Dalla Ionia arrivarono poi a Roma
attraverso la traduzione in latino di Lucio Sisenna, storico e oratore del I
secolo a.C., e qui ebbero un’ampia diffusione e un notevole successo. Ne siamo
certi poiché Plutarco, nella Vita di Crasso, racconta che, durante la battaglia
contro i Parti a Carre (53 a.C.), la truppa nelle pause della battaglia, si
distraeva con la lettura delle fabulae milesiae tradotte da Lucio Sisenna.
Altra testimonianza di questa grande diffusione ci è fornita da Ovidio.
Ovidio, nei Tristia, per protestare espressamente contro le motivazioni
del suo esilio, al quale sarebbe stato condannato probabilmente a causa
dell’eccessiva licenziosità dell’Ars Amatoria, afferma che sia
Aristide sia Sisenna avevano legato il proprio nome ad un genere più sfrontato
del suo, eppure non erano stati esiliati:
iunxit Aristides milesia
crimina secum
pulsus Aristides nec tamen urbe sua est (Trist.,
II, 413-414)
vertit Aristiden Sisenna
nec obfuit illi historiae turpes inseruisse iocos (Trist.,
II, 443-444)
La prima citazione
chiarisce un punto importante della tecnica utilizzata dagli scrittori di fabulae
milesiae, ovvero la narrazione in prima persona con impostazione
autobiografica. E’ interessante rilevare come Ovidio definisca milesia
crimina e turpes iocos le favole in questione con termini simili a
quelli utilizzati da Plutarco, Crassus, XXXII, akòlasta biblìa,
vale a dire "libri sfrenati, licenziosi". Alla tradizione milesia
risale anche una tecnica ad incastro in cui un personaggio narra una novella
all’interno della vicenda. Questo artificio di fondere diverse novelle è
qualificato appunto da Apuleio come sermo milesius: At ego tibi
sermone isto milesio varias fabulas conseram. Le fabulae milesiae
trattavano casi erotici e magici, con interessi per gli eventi soprannaturali e
metamorfici. L’aspetto magico della fabula milesia in Apuleio sembra
confermare l’attenzione e il gusto per il macabro e l’orrido testimoniati in
età neroniana anche dalle tragedie senecane e dal Bellum Civile di
Lucano. La produzione favolistica latina si può rintracciare anche in altri
autori. In primo luogo Fedro, che nel corso della sua attività letteraria si
allontana sempre di più dalle favole esopiche di carattere moralistico,
evidenziando nelle sue novelle non tanto il carattere erotico ma quello
umoristico. Riscontriamo caratteri ascrivibili alla fabula milesia anche
in Valerio Massimo, nei suoi Factorum Memorabilium Libri, in Plinio il
Vecchio e Plinio il Giovane, ma soprattutto in Gellio, vissuto nel II secolo d.C., nelle cui Noctes Atticae, tra aneddoti, ricordi, brevi
trattati grammaticali e linguistici, compaiono admiranda, cioè
"casi mirabili, degni di essere narrati". La novità dello schema di
tale produzione favolistica è testimoniata anche dal fatto che sarà utilizzato
nella letteratura agiografica medievale come modello per l’exemplum edificante.
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