Caratteri e strutture espressive del romanzo realista e lento passaggio al naturalismo

L'evoluzione del romanzo europeo nel XIX secolo si legò strettamente all'affermarsi del Positivismo e se il successo della forma romanzesca,  fino agli ultimi decenni del secolo, sembrò relegare la poesia in secondo piano, fu proprio per la sua maggiore duttilità e funzionalità rispetto agli scopi di oggettiva descrizione del reale che gradualmente i letterati si prefissero e che sfociò in tutta l'Europa, nell'affermarsi del Realismo e della sua variante scientifica, il Naturalismo.

Il processo che andò dal Realismo al Naturalismo e al suo superamento, già avvertibile alla fine del secolo, non fu omogeneo in tutte le nazioni, anche se i caratteri della nuova prosa rivelano anche numerose affinità. A partire almeno dagli anni Trenta si generalizzò una reazione antiromantica che operava ancora dall'intemo del movimento.  Il primo sintomo fu il diffondersi di un interesse sociale che spinse gli autori a non accontentarsi più di costruire una vicenda interessante ed emozionante, ma a perseguire anche una finalità informativa di tipo sociologico, inserendo l'intreccio romanzesco entro una vasta cornice descrittiva dalla quale emergessero i tratti salienti e caratteristici dell'ambiente socio-economico contemporaneo.  Dal punto di vista tematico, tanto il Realismo che il Naturalismo significarono un progressivo ampliarsi dell'oggetto della rappresentazione fino ad includere gradatamente tutte le classi sociali, nel tentativo sia di fornire un quadro il più esaustivo possibile del reale, sia di esercitare una attiva e concreta critica delle ingiustizie del sistema.  Questa trasformazione rappresentò un'evoluzione del romanzo storico, dal quale si mutuarono sia la duplicità dei piani (fantastico e reale) sia l'importanza di una rigorosa documentazione.  Gradualmente, poi, lo sfondo venne ad assumere una posizione più rilevante di quella della vicenda narrata, determinando un uso sempre più massiccio della descrizione, non più evocativa o suggestiva, ma più o meno rigorosamente finalizzata a fornire al lettore una serie di informazioni.

Da un punto di vista ideologico, i presupposti che determinarono una tale evoluzione sono rintracciabili all'interno del sistema di valori del Positivismo.  Concepire il romanzo come uno strumento per trasmettere un sapere di tipo sociologico (come fecero, sia pure con modalità diversi, Balzac, Zola, Dickens, Tolstoj, Verga) significava considerare il mondo stesso come un testo leggibile, la cui verità potesse essere compresa e posseduta (dall'autore) e ritrasmessa (al lettore). Sia l'atteggiamento materialistico,  che lo storicismo positivistico, inoltre, influirono nella nuova forma romanzesca, condizionandone la scrittura, chiamando in causa il suo rapporto con la realtà esterna: la novità più vistosa della nuova corrente letteraria fu infatti l'enorme spazio che gradualmente si conquistò la descrizione, e dalla sua illusione di poter copiare senza scarti un mondo esterno al quale costantemente rimanda. D’altra parte la volontà di rappresentare gli oggetti senza mediazione alcuna spinse l'autore realista ad abbracciare sempre più esclusivamente il criterio dell'impersonalità dell’arte, demandando la descrizione allo sguardo del personaggio (testimone oculare) cercando di interferire il meno possibile con questa  visione. Tale atteggiamento ebbe due importanti conseguenze:

  • portò gradualmente alla scomparsa dell'autore onnisciente, soprattutto quando gli intenti del narratore non erano marcatamente moralistici;

  • instaurò un nuovo rapporto asettico e scientifico fra autore e lettore, poiché il messaggio letterario, assumendo un valore esclusivamente informativo, si spogliava di ogni tensione emotiva.

L'assenza di valenze affettive o suggestive, d'altra parte, è visibile tanto nelle tematiche (che rifuggirono, o almeno fecero un uso in genere più modesto che in passato di scene realmente tragiche, patetiche o strappalacrime) quanto in un linguaggio che ebbe come caratteristiche primarie l'assertività (poiché il testo realista comunica una certezza) e la ridondanza (poiché il testo realista vuole garantire la facile leggibilità). L'atteggiamento assertivo si tradusse nella ricerca dell'esplicita denotazione piuttosto che della connotazione implicita e quindi sfuggente.

Il carattere ridondante del linguaggio realistico si espresse soprattutto nelle lunghe liste ed elenchi di cui sono ricche quasi tutte le descrizioni, nonché nell'ampio uso della parafrasi definitoria, nell'insistita esaustività descrittiva.

Il personaggio presuppone:

  • la descrizione di una sfera sociale di attività (ambiente socio-professionale)

  • la descrizione del locale in cui si svolge la sua attività (il sacerdote verrà descritto nella sua chiesa, il salumiere nella sua salumeria, ecc.)

  • la descrizione della sua attività professionale specifica (il salumiere sarà appunto descritto nella sua salumeria mentre prepara il suo sanguinaccio, il sacerdote nella sua chiesa nel momento in cui celebra la messa, ecc.)

L'ultima conseguenza dell'atteggiamento realistico riguardò il personaggio che, proprio per garantire il difficile equilibrio fra finzione e realtà e non alterare la freddezza informativa dei testo, non poté più assurgere a dimensioni realmente eroiche ed eccezionali.

 

La scoperta della realtà sociale: nuovi canoni espressivi

Secondo una definizione del critico E. Auerbach, peraltro condivisa da diversi studiosi, «le basi del realismo moderno sono da un lato la trattazione seria della realtà quotidiana  e il fatto che più estesi ceti sociali e socialmente inferiori siano assurti a oggetti d'una raffigurazione problematico-esístenzíale. Dall'altro lato l'inserimento di persone e di avvenimenti qualsiasi e d'ogni giorno nel filone della storia contemporanea, del movimentato sfondo storico».

Dal punto di vista stilistico, questa innovazione tematica che innalza alla sfera "seria" e spesso tragica  situazioni e personaggi tradizionalmente sfruttati come fonte di comicità provocò una commistione tra elemento comico e tragico, del tutto nuova, che spezzò definitivamente la rigida distinzione classica degli stili grazie anche all'adozione di modalità espressive più colloquiali e caratterizzanti svariati registri linguistici.

Queste caratteristiche sono tipiche di tutta la letteratura europea dopo il 1830, ma si ritrovano in modo ora più ora meno assolutizzato a seconda delle varie esperienze nazionali.

La situazione francese risulta nel complesso la più avanzata, come d'altra parte testimonia la stessa evoluzione dall'atteggiamento realistico all'elaborazione di un’estetica naturalistica e alla creazione di un vero e proprio movimento caratterizzato dalla ricerca di uno stile comune e dal riconoscimento di comuni obiettivi, da una più profonda e disincantata comprensione dei meccanismi economico-sociali, messi a nudo sempre più esplicitamente e senza mediazioni moralistiche, nonché da una notevole coscienza negli intellettuali della loro funzione ideologica e politica. l motivi  di questo primato sono molteplici, ma un punto di riferimento imprescindibile è costituito dall'atmosfera politica che si determinò dopo i moti della prima metà del secolo e soprattutto dopo l'insuccesso del 1848 e il colpo di Stato di Luigi Napoleone che da un lato determinò una profonda delusione negli spiriti più libertari ed avanzati e dall'altro rese più marcata la differenziazione delle classi sociali, con il conseguente evidenziarsi delle ingiustizie verso i ceti più umili e della corruzione, spesso sfrenata, della nuova aristocrazia borghese. 

Questo spiega il predominante carattere politico e sociale del movimento naturalista che raccolse pittori, letterati e artisti che si appropriarono del nuovo metodo di indagine scientifica offerto dal Positivismo per usarlo come strumento di intervento sociale.  La ricerca dell'obiettività più rigorosa, l'impegno costante ad aderire alla realtà presente, i frequenti riferimenti alla vita politica del tempo, il graduale rivolgersi verso le fasce meno abbienti per smascherare le ingiustizie di cui erano vittime o l'abiezione cui erano costrette sono tutti segni caratteristici di un’arte molto attenta al sociale. Gli attacchi continui dei critici più conservatori, gli  scandali creati dalla pubblicazione di molti romanzi naturalisti, nonché le vicissitudini giudiziarie di alcuni personaggi chiave di questa corrente ( quali ad esempio Flaubert e Zola )  testimoniano come la conflittualità fra il nuovo movimento e l'ideologia dominante fosse chiaramente operante.

Fu Honoré de Balzac a determinare, con una vera e propria rivoluzione letteraria, l'affermarsi del romanzo realista ottocentesco nella sua forma già compiuta.

«La società non fa dell'uomo, a seconda degli ambienti in cui si svolge la sua azione, altrettanti uomini differenti quante varietà vi sono in zoologia?  Le differenze fra un soldato, un operaio, un amministratore, un avvocato, un fannullone, un dotto, un uomo di Stato, un commerciante, un marinaio, un poeta, un povero, un prete sono, benché più difficili da cogliere, altrettanto considerevoli di quelle che distinguono il lupo il leone, l'asino, il corvo, lo squalo, il bue marino, la pecora… Sono dunque esistite, esisteranno dunque da sempre delle specie sociali come vi sono delle Specie zoologiche».

Così scrive Balzac nella Prefazione alla Commedia umana, giungendo ad istituire un parallelismo fra l'attività descrittiva del narratore e quella classificatoria dei naturalista. La Società (significativamente assolutizzata dall'uso della lettera maiuscola) si sostituisce, o meglio si sovrappone, assimilandola, alla Natura, e diviene principio formatore dell'individualità e della psicologia dell'uomo. L'immobile ed eterna "natura umana" si dinamizza, sottoposta alle leggi di costante trasformazione che reggono l'organizzazione sociale; il presente non costituisce più un'entità assoluta, ma si offre come risultato di un processo storico-genetico, magari non apertamente descritto, ma evidente nel complesso tessuto degli eventi, delle situazioni, delle psicologie. Il tema del denaro (già peraltro presente nella letteratura europea, a partire almeno da Defoe) assunse nuova importanza, interferendo nelle descrizioni degli interni (la contrappostone tra ambienti squallidi e sfarzosi è sempre centrale) nonché nella mentalità del personaggio, in quanto capace di condizionarne sia le pulsioni interiori che gli atteggiamenti esteriori (ambizione, coscienziosità produttiva, gusto dello spreco, avidità ecc.) con una profondità di analisi del tutto nuova.

L'analogia istituita dallo stesso Balzac fra letteratura e biologia, d'altra parte, orientò una poetica che portava in primo piano la nuova concezione organica dell'individuo, punto di incontro di influssi diversi che gli derivavano dalla propria storia personale, dall'ambiente in cui viveva e dalla sua intima disposizione morale: ne derivò, forse per la prima volta, un figura realmente complessa, dotata di una profondità psicologica che l'autore si proponeva di indagare, così che alla svolgersi e al concatenarsi della vicenda si affiancò, confondendosi con essa, una dimensione verticale, di penetrazione psicologica di un individuo ben determinato e uguale solo a se stesso.

La linearità della narrativa di Balzac rivela una sostanziale adesione del romanziere alla mentalità economica borghese, una totale assenza di conflittualità con una situazione storico-sociale che appare a un tempo straordinariamente dinamica e chiara, priva di ambiguità. Questa fiducia, di stampo già quasi positivistico, nella possibilità di interpretare correttamente il reale si riflette in quella realtà priva di incertezze che caratterizza il testo balzachiano, nel quale l'autore svolge un'evidente e prioritaria funzione informativa.

Fu Gustave Flaubert ad infrangere quel rapporto privilegiato fra narratore onnisciente e narrazione che aveva come corollario l'atteggiamento didattico nei confronti di un lettore costantemente guidato dalle valutazioni, implicite o esplicite, dell'autore. «Sentiamo, è vero, parlare lo scrittore, ma senza che egli esprima opinioni o commenti. Il suo compito si limita a scegliere i fatti e a tradurli in linguaggio, e questo avviene con la convinzione che ogni fatto interpreta se stesso e gli uomini che ad esso partecipano molto meglio e molto più compiutamente di quanto possa fare qualsiasi opinione o giudizio che gli si aggiunga.  L'arte di Flaubert riposa su questa convinzione e dunque su una profonda fiducia nella verità del linguaggio, usato con senso di responsabilità e vigilante onestà» (E.  Auerbach).


Il romanzo naturalista o sperimentale

E' in un saggio del critico letterario, storico e filosofo Hyppolite Taine (1828-1893) su Balzac che vennero per la prima volta teorizzati i concetti che furono alla base dei Naturalismo e, primo fra tutti, il determinismo che lega l'individuo all'ambiente:

«L' uomo non è una ragione indipendente, superiore, sana di per se stessa, capace di raggiungere col suo solo sforzo la verità e la virtù, ma è una qualunque forza, dell'ordine di tutte le altre, la quale riceve dalle circostanze il suo grado e la sua direzione».

Abbandonata ogni ottimistica fiducia in un assoluto di stampo romantico e stabiliti ben precisi limiti alle potenzialità etico-conoscitive di un uomo che appare ineluttabilmente vincolato al contesto in cui matura ed opera, Taine elaborò una teoria filosofico-letterarta che di fatto eliminava la storia come primario fattore evolutivo per sostituirle alcune leggi immutabili sintetizzate nei tre famosi principi che egli enunciò nella Storia della letteratura inglese del 1863: ereditarietà (race), ambiente sociale (milieu), momento storico (importanza della situazione storica). Anche se, apparentemente, l'ultimo termine sembra reintrodurre una prospettiva dinamica, la sua evidente subordinazione agli altri due, nonché la fissità schematica della teoria evoluzionistica così delineata, segnalano il dogmatismo che la visione positivistica assunse nelle formulazioni di Taine. Soprattutto in seguito alla significativa perdita di importanza del fattore temporale rispetto a quello ambientale.

La frattura fra intellettuali e pubblico (accentuatasi a seguito della sconfitta dei moti liberali del 1848, ma già evidente nell'individualismo di Flaubert, fu addirittura celebrata nella Prefazione a Germinie Lacerteux dei fratelli De Goncourt vero e proprio manifesto dell'estetica naturalistica. (cfr. 5/121)

Oltre alla rivendicazione dell'essenziale nel romanzo, l’affermazione più significativa, per quanto riguarda lo svilupparsi della poetica naturalistica, è la definizione di Germinie Lacerteux come di uno studio che.. è la clinica dell 'amore. Il romanzo non si propone come fine prioritario il diletto del pubblico, ma si presenta e si autodefinisce come studio, cioè analisi e interpretazione di dati tratti dal reale e non dalla fantasia, con uno scopo essenzialmente conoscitivo. Se si pensa che, prima del 1830, il genere romanzesco, nonostante il successo di alcuni autori, veniva ancora guardato con diffidenza e alterigia dagli accademici, si comprende il radicale mutamento intervenuto; ora è possibile affermare, sia pure in modo polemico, che esso sia la forma letteraria più appropriata all'indagine del reale, la grande forma seria, appassionata, vivente dello studio letterario e dell'inchiesta sociale, che attraverso l'analisi e la ricerca psicologica, diventa la storia morale contemporanea.

Documento, strumento di indagine e conoscenza dei rapporti sociali, delle profondità psicologiche e dei valori etici di un'epoca, il romanzo vedeva precisarsi la propria nuova natura scientifica in senso medico (clinica), poiché i temi cui esso si rivolgeva erano la misería, l'abiezione, la sofferenza. Se Balzac aveva celebrato e rappresentato tutte le fasce della borghesia, con i Goncourt si aprì dinanzi al lettore un’ampia galleria di personaggi umili (Germínie Lacerteux, ad esempio, è una cameriera). Ma, ancor più delle scelte sociologiche appare fondamentale la loro inclinazione verso il brutto ed il patologico, che per la prima volta furono estetizzati, sia pure con un compiacimento per certi versi morboso.

Ben diversamente l'influsso, pur incontestabile, dei due romanzieri agì su Emile Zola.  Se, nonostante la forte tendenza alla trasfigurazione simbolica, egli viene considerato a ragione l'incontrastato maestro del Naturalismo francese è perché, per la prima volta, il tema sociale venne trattato con una freddezza ed un'obiettività senza precedenti, così che la rappresentazione del brutto e del ripugnante si trasformò da compiacimento morboso in particolare realistico e atto di accusa. Tale presa di posizione, che non a caso attirò le violente accuse di gran parte della critica, rifiuta ogni superiorità alla componente metafisica e riduce anche la psicologia a fenomeno organico, nell'uniformare tutto il reale alle deterministiche leggi enunciate da Taine (razza, ambiente e momento). Zola infranse ogni nobilitante distinzione fra le raffinate classi superiori ed il popolo abbruttito e materiale, riconducendo entrambe le componenti alla loro sostanziale unità. Di qui la  brutalità che non arretrava di fronte a nessun aspetto della vita sociale ed anzi finiva per ricercarne ossessivamente le manifestazioni più bestiali e degradate

Fu probabilmente la volontà di accusa e di svelamento a spingere Zola ad una vera e propria inversione dei valori e a rintracciare nell'uomo, indipendente dalla classe sociale di appartenenza, soprattutto la componente brutalmente istintiva, trasformando di conseguenza la società in una copia della natura dominata dalla crudele lotta per l'esistenza descritta da Darwin. Ne risultò la rappresentazione di un'immobilità inalterabile, della condanna dell'individuo ad una bestialità senza redenzione, di una realtà complessiva, sociale e naturale, funzionante come un gigantesco meccanismo paranoico dal quale l'uomo veniva ineluttabilmente schiacciato.

Il romanzo era ancora considerato strumento per la ricerca e la comunicazione di idee, ma la sua stessa genesi sembrava lentamente sottrarlo al dominio dell'autore e farlo dipendere da una tecnica deterministica e scientificamente impersonale. (cfr. 5/123)

Il carattere e le finalità conoscitive che si legarono al romanzo ne condizionarono l'organizzazione strutturale; si bandì dal testo ogni macchinosità costruttiva (l'avventura), ogni concessione al divertimento o alla fantasia, imponendo invece una verosimiglianza assoluta e il più possibile asettica, senza intromissioni dell'autore. Contemporaneamente si modificò il personaggio, che non è più il padrone del proprio destino, né l'individuo esemplare che riassume tragicamente tutte le contraddizioni di un'epoca, ma piuttosto l'incarnazione e l'esemplificazione di un meccanismo deterministico, di una legge scientifica. Tutto il ciclo dei Rougon Macquart di Zola fu, ad esempio, concepito come illustrazione del peso dell'ereditarietà.

L'insistenza ossessiva sull'impersonalità, la fine del dominio evidente dell'autore sul testo, la mancanza di personaggi e situazioni che consentissero uno sbocco purificatore e liberatorio delle vicende diede luogo alla rappresentazione di un individuo che non era più in grado di controllare il proprio destino e produsse una scrittura nella quale si rispecchiava quel criterio produttivo anonimo e spersonalizzante che dominava la società capitalistica del tempo.  Tuttavia Zola e il Naturalismo rappresentano un'ulteriore forma dell'illusione positivista di poter cogliere e definire con precisione la realtà oggettiva nel suo complesso, per quanto disumanizzata essa ormai si presentasse.  Non a caso i Goncourt, Zola, Huysmans, Paul Bodget, Maupassant si riunirono in una sorta di scuola, riconoscendosi un "metodo" comune, dibattendo e precisando le loro teorie.

Allontanandosi in qualche modo da questa illusione di uniformità, che sarebbe presto svanita, infrangendosi nella coscienza della molteplicità di verità individuali, l'opera di Maupassant rappresentò la prima forma di superamento, sintomo di una crisi interna al Naturalismo e destinata a farlo esplodere. Il primo vistoso passo fu la sostituzione dell'analisi psicologica a quella fisiologica, che gli attirò gli aspri rimproveri di Zola. Ma era ormai la stessa concezione della letteratura ad essere messa in questione, mentre si profilava il crollo dell'ideale positivistico: "Far vero", scrive Maupassant nella prefazione al suo romanzo Pierre e Jean.

La lezione formale di Flaubert, la consapevolezza del carattere costruttivo e soggettivo delle tecniche compositive misero in crisi la fiducia nell'obbiettività assoluta del narratore. Scrittore per molti versi naturalistico e comunque molto distante dalle coeve esperienze simboliste, Maupassant distrusse tuttavia la fiducia in quel"metodo realista" che, secondo le parole di Zola, si pone, senza alcuna esclusione", contaminandolo definitivamente con la coscienza dell'ineluttabile soggettività della percezione.