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Ragione e sentimento: il secolo dei Romanticismi

tratto da: Anselmi - Varotti, Temi e immagini della letteratura, vol. IV., B. Mondadori, MIlano 2003, pp. 21-43

(versione word)

1. Le coordinate essenziali

Origine e diffusione del termine. Il termine romantico ha origine in Inghilterra: qui l’aggettivo romantic era usato, in accezione negativa, sin dal Seicento per indicare la letteratura cavalleresca e romanzesca dominata dalla fantasia, dalla finzione e dal gusto per le avventure inverosimili. Nel Settecento il termine assume gradualmente un valore positivo per alludere a tutto ciò che colpisce e coinvolge la sensibilità umana: la natura selvaggia, le apparizioni fantastiche, sovrannaturali o misteriose, il passato lontano. In Francia, l’aggettivo inglese è dapprima tradotto in romanesque, quindi viene coniato il termine romantique al fine di designare gli spettacoli della natura che producono commozione, tenerezza, malinconia. Negli ultimi anni del Settecento l’aggettivo romantisch e il sostantivo astratto Romantik sono assunti da alcuni scrittori tedeschi, tra cui Friedrich Schlegel, per connotare l’inquieta sensibilità moderna e le sue manifestazioni poetiche e artistiche in opposizione al classicismo degli antichi. Nasce così il concetto storiografico di Romanticismo, che designa l’orientamento filosofico e culturale dominante in Europa tra la fine del Settecento e la prima metà del secolo successivo. In Italia, l’uso dell’aggettivo è attestato a partire dal 1814: il termine ottiene nel corso dell’Ottocento grande successo, tanto che ancora oggi è impiegato con varie accezioni e sfumature.

Sensibilità romantica e Romanticismo. Nella seconda metà del Settecento una nuova sensibilità aveva prodotto particolari modelli letterari, personaggi, riflessioni: singole voci o gruppi (come lo Sturm und Drang in Germania) avevano teorizzato un’attenzione nuova per l’espressione immediata del sentimento, per un’arte capace di dare voce al fondo oscuro e irrazionale dell’animo umano. Si è parlato in proposito di “sensibilità romantica”, perché molti aspetti della cultura tardo settecentesca sono alla base dei movimenti letterari che in vari paesi europei, durante i primi decenni dell’Ottocento, danno vita al Romanticismo. Il tratto distintivo di tali movimenti non è dunque una netta divergenza del gusto o dei modelli estetici rispetto a molte manifestazioni artistiche e letterarie di fine Settecento, ma il fatto di essere contrassegnati da una più rigorosa e lucida consapevolezza critica, di essere cioè portatori e propagatori di un compiuto e coerente sistema estetico e filosofico. È appunto nel senso ristretto della nascita di una nuova consapevolezza che parliamo di Romanticismo.

La nascita dei Romanticismi europei. L’esperienza romantica presenta un’estrema varietà di motivi, nonché una complessità di spunti e di sviluppi interni che rendono ardua, se non impossibile, una sua definizione complessiva: per questo occorre parlare di un Romanticismo tedesco, inglese, italiano e così via. Su uno sfondo di temi e interessi comuni (favoriti peraltro da un vivace interscambio culturale tra i diversi paesi europei), si delineano infatti fisionomie distinte. A ciò va aggiunta una mancata coincidenza cronologica. La nascita ufficiale del Romanticismo tedesco risale al 1798, quando un gruppo di giovani letterati fonda la rivista Athenäum, sulle cui pagine vengono elaborati i concetti teorici e critici fondamentali della cultura romantica (“libertà”, “fantasia”, “immaginazione”). Nello stesso anno, William Wordsworth e Samuel Taylor Coleridge pubblicano le Lyrical Ballads, la raccolta poetica considerata il manifesto del Romanticismo inglese. In Italia, invece, può parlare di Romanticismo soltanto a partire dal 1816. Ancora più tardiva è la nascita della “scuola” romantica francese, le cui prime manifestazioni in campo poetico sono costituite dalle Méditations poétiques (1820) di Alphonse de Lamartine e dalle Odes et poesies diverses (1822) di Victor Hugo.

2. Un fenomeno complesso

Movimenti e personalità dissonanti. Il Romanticismo è quindi un fenomeno estremamente complesso, che riguarda la letteratura e l’arte, la filosofia, il pensiero politico e scientifico, e che produce nuove mode e nuovi comportamenti sociali all’interno di una radicale trasformazione della sensibilità e della mentalità. Tentare di definire in maniera complessiva e unitaria il Romanticismo europeo è impresa disperata. Non solo i movimenti romantici nazionali si affermano in tempi diversi, ma soprattutto rivelano fisionomie assai diversificate. Dietro la medesima denominazione si nascondono concezioni poetiche, orientamenti del gusto e del pensiero niente affatto assimilabili. Bastino due esempi su tutti. Giacomo Leopardi, il poeta italiano pur vicino alla grande lirica romantica europea per temi e soluzioni espressive, si professa sempre “anti-romantico”. Un aperto sostenitore del Romanticismo come Alessandro Manzoni, invece, rimane pur sempre fedele agli ideali dell’Illuminismo lombardo (il realismo, il razionalismo) e manifesta polemico distacco verso tratti tipici della sensibilità romantica maturata in Inghilterra e in Germania (il gusto per il misterioso, l’irrazionale, il fantastico).

La rivoluzione romantica. Nonostante le specificità delle tradizioni romantiche nazionali, non è tuttavia impossibile riconoscere (con necessaria approssimazione) alcuni tratti comuni al movimento culturale che investe l’Europa, a partire da Germania e Inghilterra, nei primi decenni dell’Ottocento. Ci troviamo di fronte a temi, sentimenti ed espressioni che, almeno in parte, si ricollegano a tendenze già in atto nel secondo Settecento. Le “scuole” romantiche ne approfondiscono però le implicazioni teoriche, sviluppando organiche concezioni estetico-letterarie. La “rivoluzione” romantica è in primo luogo frutto della raggiunta consapevolezza dell’aprirsi di un nuovo mondo e di una nuova epoca: una modernità sentita dai contemporanei come il tramonto definitivo di un sistema culturale e poetico che, all’insegna del classicismo, aveva caratterizzato la plurisecolare tradizione europea.

3. L’esperienza del dissidio

La dolorosa coscienza della modernità. Un motivo ricorrente negli scritti degli autori romantici a partire dal fondamentale saggio di Friedrich Schiller (1759-1805) Sulla poesia ingenua e sentimentale (1795) è l’idea che la coscienza della modernità porta l’uomo a una condizione di dissidio e di scissione: scissione tra Io e mondo, tra corpo e spirito. Se la letteratura degli antichi era stata ricerca dl armonia e di ordine, la letteratura dei moderni non può che dare voce al dissidio, esprimendo le contraddizioni che caratterizzano il rapporto conflittuale dell’individuo con il mondo e con se stesso (con il profondo della propria interiorità). Da una parte l’uomo sente di appartenere a un Tutto infinito, si sente capace di pensare l’Assoluto; d’altro canto è consapevole dei propri limiti oggettivi in quanto essere materiale che vive nel tempo, sperimenta la caducità e infine la morte. Perciò i romantici interpretano la condizione esistenziale dell’umanità attraverso le categorie del tragico: tragica, perché votata alla sconfitta, è l’aspirazione a superare i limiti imposti a ciascuno dal destino; tragica è l’aspirazione a una totalità che si rivela sempre irraggiungibile. All’armonia imperturbabile dell’estetica classicista si contrappone perciò l’ansia febbrile di una letteratura che esprime l’ineffabile, il continuo declinare della realtà e degli affetti, l’instabile mescolarsi di aspirazioni, nostalgie e disillusioni.

Il valore dell’esperienza artistica. L’arte non può ricorrere alla ragione per esprimere una condizione che è fatta di contraddizioni e misteri, non logicamente articolabile. La verità può essere solo colta intuitivamente, cercata nell’attività creatrice dell’immaginazione, trasformata in simboli e figure. Di qui derivano alcuni degli aspetti fondamentali delle poetiche e delle estetiche romantiche: la sfiducia nella ragione; la ricerca della rivelazione intuitiva, che per via simbolica mostri ciò che si cela sotto l’apparenza delle cose; il fascino esercitato dal misterioso e dall’ineffabile. L’arte, la poesia e la musica possiedono un’essenza simbolica e analogica: i simboli condensano magicamente in un’immagine significati profondi e segreti; le analogie creano inedite corrispondenze tra gli aspetti più lontani della natura e dello spirito. In epoca romantica, l’arte viene ne celebrata come straordinaria avventura conoscitiva. Essa non dà semplicemente diletto, ma costituisce un mezzo attraverso il quale l’uomo può intuire la profonda unità vitale che genera l’esistenza. Schelling ritiene l’arte (e soprattutto la musica, pura forma svincolata dal significato) il solo mezzo per accedere, per via intuitiva, alle verità più profonde. L’artista è una sorta di sacerdote, mago o veggente in grado di svelare lo spirito del mondo, inoltrandosi al di là della muta o ingannevole superficie esterna.

4. Le zone buie della psiche

Il sogno, la follia, il desiderio. In età romantica, grande importanza assume l’analisi della sfera della soggettività e dell’interiorità. L’attenzione per il mondo oscuro della psiche (che racchiude le verità più profonde e universali) si sposa con l’attrazione per l’irrazionale e l’indeterminabile, per le manifestazioni più imprevedibili dell’animo umano. Così molti scrittori si soffermano su temi legati al sogno, alla follia, al delirio, a quegli stati mentali in cui il venir meno del controllo razionale sembra aprire improvvise e inedite illuminazioni. I confini tra sogno e realtà diventano labili e incerti: si pensi, per esempio, ad alcuni racconti del francese Gérard de Nerval (1808-55) o dell’americano Edgar Alan Poe (1809-49). Il sogno può divenire la rivelazione di una verità misteriosa e porre l’individuo a contatto con l’assoluto. Reale e immaginario spesso si confondono portando alla deriva della follia e della dissociazione schizofrenica. Molte immagini care alla narrativa romantica appartengono alla sfera del doppio: esse traducono simbolicamente la drammatica percezione di un individuo dissociato, che, guardando dentro se stesso, scopre la presenza di un “altro” (un alter ego, un “sosia”) costituito da un insieme inquietante di pulsioni e desideri. L’uomo romantico giudica con ambivalenza la propria interiorità: è un tramite verso l’intuizione dell’Assoluto, ma anche la dimensione buia e misteriosa, in cui si teme che si annidino pensieri e desideri mostruosi. È un’ambivalenza che troviamo, per esempio, nell’opera di Adalbert von Chamisso (1781-1838), La meravigliosa storia di Peter Schlemihl (1814), dove è narrata la vicenda di un uomo che vende al diavolo la propria ombra ricavandone, oltre alla ricchezza desiderata, anche solitudine e angoscia, o in quella di Robert Louis Stevenson (1850-94), Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (1886), interessante riflessione sulle potenzialità positive e negative presenti nell’animo umano. Grande fascino sulla sensibilità romantica esercitano inoltre i temi legati alle varie forme di manifestazione del male: la crudeltà, il dolore voluttuoso, il sangue, la forza devastante della lussuria, le rivelazioni del diabolico. L’esplorazione dell’interiorità conduce a osservarne anche gli aspetti più inconfessabili e morbosi.

L’auscultazione interiore. Già nel corso del XVIII secolo era stato enfatizzato concetto di “genio”, inteso come il nucleo più intimo della personalità individuale. L’espressione delle passioni aveva caratterizzato le opere dei preromantici tedeschi e la sensibilità settecentesca, fondata sulla libera manifestazione dei sentimenti, sull’indagine psicologica attenta alle sottili modulazioni del desiderio, della malinconia e del patetico. Questi motivi sono presenti anche nella letteratura romantica dell’Ottocento, sopratutto francese e italiana, dove alimentano un’attitudine all’introspezione che pone in risalto le sottili contraddizioni dei desideri umani (si veda, su tutti, l’Adolphe,1816, di Benjamin Constant). Ne derivano le situazioni più comuni nella narrativa di questo periodo: l’intimo colloquio con se stessi, la contemplazione malinconica della natura, le forme ambigue della passione (spesso nella dolorosa tensione tra abbandoni e pentimenti, tra cadute e rinascite). Sono aspetti della letteratura romantica che diventano mode e comportamenti sociali diffusi: il languore, il sentimentalismo, l’ardore tipici del melodramma, che Gustave Flaubert in Madame Bovary (1857) sottopone a una critica feroce e impietosa.

Il soggettivismo come strumento di conoscenza. L’auscultazione dell’interiorità e il soggettivismo acquistano valenze conoscitive e metafisiche, diventano il mezzo per accedere all’intuizione della verità, per rivelare l’improvviso affiorare dell’Assoluto oltre la superficie della realtà. È una concezione che ritroviamo soprattutto nella poesia dei romantici tedeschi e inglesi, fondata sull’improvvisa illuminazione, sull’intuizione di una realtà misteriosa, sull’”estasi” (letteralmente, “uscita da se stessi”), sull’annullamento dei limiti del corpo e del pensiero razionale. È l’esperienza tradotta poeticamente da Novalis negli Hynnen an die Nacht, 1800): negazione dei confini tra la morte e la vita, che conduce il poeta a ritrovare, nell’unità dello spirito, la donna amata defunta. È anche l’esperienza descritta da Leopardi nell’Infinito (1819): un dato sensibile e concreto (una siepe che impedisce allo sguardo di spaziare) stimola nel poeta l’intuizione dell’infinito, in un correre dolce e vertiginoso del pensiero abbandonato a se stesso.

5. L’irrazionale collettivo

I semi dell’orrore individuale e storico. Accanto ai lati oscuri della realtà, alle zone d’ombra della psiche, alle forme inafferrabili e misteriose della sensibilità individuale, che già avevano interessato scrittori e poeti del tardo Settecento (dai preromantici tedeschi al francese Rousseau a Vittorio Alfìeri), il Romanticismo è attratto dalle molteplici manifestazioni dell’imponderabile irrazionale che spesso interviene a condizionare destini e vicende dei popoli. In ciò giocano un ruolo essenziale le terribili esperienze storiche verificatesi tra la Rivoluzione francese (1789) e la caduta di Napoleone (1814). Non solo quegli eventi propongono in maniera traumatica l’esperienza della violenza, ma soprattutto mettono in risalto l’impotenza della ragione a penetrare i meccanismi profondi dell’agire collettivo. Eppure per i sopravvissuti e per le nuove generazioni quelle esperienze assumono i colori mitici dell’eroismo: si leggano in proposito le fulminanti pagine iniziali della Confessione di un figlio del secolo (1836) di Alfred de Musset o i primi capitoli della Certosa di Parma (1839) di Stendhal.

L’idea di nazione. A questa attenzione per le manifestazioni collettive razionalmente inspiegabili va fatto risalire il concetto di “nazione”, che tanta parte avrà nella letteratura (oltre che nel pensiero filosofico e politico) del Romanticismo. Legame ancestrale tra individuo e collettività, tra popolo e terra, la nazione è un’idea che acquista nell’Ottocento un valore spesso sacrale, fondato sulla potenza di un sentimento di fronte al quale appaiono deboli le argomentazioni del cosmopolitismo illuminista. Intorno al concetto di nazione ruotano i Discorsi alla nazione tedesca (l807-08) di Fichte e gli ultimi drammi di Schiller (in particolare il Guglielmo Tell, 1804) , oltre a numerose opere della letteratura patriottica italiana. In alcuni casi tale concetto acquista un valore mistico-religioso: Giuseppe Mazzini (1805-1872), per esempio, considera la nazione una sorta di anello intermedio tra l’individuo e Dio, e affida a essa la missione di provvedere alla civilizzazione dell’umanità. La letteratura romantica tedesca si interessa così alle varie manifestazioni del folklore, inteso come espressione del Volksgeist, proiezione dei valori e delle aspirazioni della nazione. L’attenzione alla cultura popolare ispira le grandi raccolte di fiabe (famosissima quella dei fratelli Grimm, 1812-15) e gli studi sulle tradizioni che nel corso del secolo si diffondono in tutti i paesi d’Europa. Si distinguono in questo campo il francese Claude Fauriel (1772-1844), amico e corrispondente di Manzoni, che studia la cultura popolare francese, e Niccolò Tommaseo (l802-74), con l’importante traduzione e raccolta dei Canti popolari toscani, corsi, illirici, greci (1841-42).

La riscoperta del sacro. Il Romanticismo nutre un fortissimo interesse per la lede e per le manifestazioni del sacro. Il razionalismo religioso degli illuministi viene sottoposto a una serrata critica. Già il tedesco Friedrich Heinrich Jacobi (1743-1819), per esempio, aveva scelto di contrapporre all’intelletto la via della fede, che costituisce una forma di conoscenza intuitiva. La speculazione razionale, fredda e astratta, conduce all’ateismo e al fatalismo; la fede, invece, la salda fiducia in ciò che non si vede, permette di cogliere l’Assoluto. Alla valorizzazione della fede consegue il recupero della religiosità tradizionale (anche nelle forme della superstizione), sentita come espressione dei più profondi bisogni dell’individuo e delle sue aspirazioni. In questo orizzonte si situano esperienze e opere fondamentali dell’età romantica: Le génie du Christianisme (1802) di François René de Chateaubriand (1768-1848), il percorso personale e letterario di Alessandro Manzoni, il peculiare misticismo delle ultime opere di autori come Novalis (1772-1801) e Friedrich Schlegel (1772-1829).

6. Il rifiuto delle regole

Contro il classicismo. Chiamata a dare voce all’imprevedibile e all’insondabile, la letteratura romantica non accetta regole che cristallizzino il fluire della fantasia e dell’immaginazione, la libera creatività del poeta. La lotta contro le “regole” della tradizione classica, negli scrittori romantici, fa tutt’uno con la celebrazione dell’originalità creativa, trovando espressione in suggestive immagini poetiche (nella lirica inglese, per esempio, il vento, simbolo dell’ispirazione che sembra nascere dal nulla e che nessuna forza può imbrigliare). L’ideale di un’arte non costretta da rigide regole alimenta la polemica romantica nei confronti dell’estetica classicistica, con le sue norme vincolanti, la rigorosa divisione dei generi e degli stili. Nasce un nuovo “canone” di autori del passato assunti a modello della nuova sensibilità. Significativa è l’esaltazione di Shakespeare (avviata già nel Settecento con la triade Bibbia-Omero-Shakespeare, cara al gusto “primitivo” del preromanticismo). Simbolo di un’arte più libera, capace di esprimere con intensità anche le antinomie e i paradossi della vita, Shakespeare ha dimostrato che è possibile unire il sordido e il sublime, il tragico e il comico, in una meravigliosa mescolanza in grado di soppiantare la rigida divisione di generi e temi propria del classicismo. Shakespeare appare “romantico” perché è uno dei grandi fondatori della sensibilità moderna. Accanto a lui spiccano Ariosto e Tasso, Cervantes e Calderón de la Barca: autori che hanno rifiutato i modelli classici per dare libera espressione allo spirito del loro tempo, a una nuova, nascente visione del mondo.

La fortuna del romanzo. La rigorosa distinzione e classificazione dei generi letterari (per cui a ogni genere devono corrispondere particolari temi, forme e ambientazioni) è definitivamente soppiantata dal trionfo del romanzo. Genere “ibrido” ed estraneo alle convenzioni, il romanzo si presenta come la forma ideale di una letteratura capace di rappresentare la vita nella sua complessità e in tutte le sue tonalità: popolani e borghesi (personaggi tradizionalmente destinati alla commedia, cioè a situazioni comiche o leggere) divengono ora protagonisti di storie serie o tragiche. La libertà formale del romanzo, inoltre, concede al narratore di stabilire con il lettore una variegata molteplicità di piani comunicativi. Il narratore può farsi saggista, commentatore ironico o dissertatore “filosofico”, può scegliere di abbandonarsi all’afflato lirico o al realismo. La vocazione a una rappresentazione rigorosa e precisa della realtà storica trova poi adeguato strumento espressivo nel genere romanzesco. Il romanzo è il luogo deputato alla ricostruzione accurata degli ambienti storici e sociali (il milieu) in cui si svolgono le vicende narrate: ne è ottimo esempio l’immensa opera del francese Balzac, che nel centinaio di romanzi e racconti della sua Comédie humaine ha composto un affresco grandioso della società francese nell’età della Restaurazione. Analoga sensibilità per la realtà storico-sociale caratterizza l’opera di Manzoni, il cui percorso creativo, dalle tragedie (Il conte di Carmagnola e Adelchi) ai Promessi sposi, è contrassegnato dal principio di una schietta aderenza al “vero”. Un atteggiamento in linea, del resto, con la vocazione realistica (di forte ispirazione civile per ascendenza illuministica) che contraddistingue il primo Romanticismo italiano.

Antica e nuova mitologia. Rientra nell’ambito del rifiuto delle norme anche la riflessione degli scrittori romantici sulla mitologia. In area italiana e francese le prese di posizione sono al proposito piuttosto elementari: la mitologia classica è incapace di parlare alla sensibilità moderna, appartiene a una concezione dell’uomo e della natura ormai scadute, costringe inoltre la libera fantasia del poeta a incanalarsi lungo percorsi obbligati (un repertorio di immagini, metafore ed emblemi) che spesso richiedono di pensare il già pensato, di vedere il già visto. Di più alto livello teorico è certamente la discussione sulla mitologia in area tedesca, aperta dall’importante Discorso sulla mitologia di Friedrich Schlegel (apparso sulla rivista Athenäum nel 1800 all’interno del Dialogo sulla poesia). Come la mitologia antica aveva dato corpo alle concezioni e alla visione del mondo dell’uomo antico, così il Romanticismo deve dare vita a una nuova mitologia: un nuovo sistema di immagini, simboli ed emblemi che consentano di esprimere le intuizioni dell’anima romantica. La riflessione sulla simbologia ha grande importanza nella cultura romantica. Per i romantici il simbolo non è un segno che rimanda convenzionalmente a un significato, ma è un’immagine che possiede in sé parte di ciò che vuole rappresentare (è dunque legato in forma analogica alla realtà). Traduzione “visiva” di un’intuizione, il simbolo può esprimere ciò che sarebbe razionalmente e discorsivamente indicibile.

7. L’eroe romantico, l’amore, l’ironia

L’isolamento dell’eroe. La tipologia dell’eroe romantico è già in parte abbozzata nelle opere di alcuni autori attivi nell’estremo scorcio del XVIII secolo (Alfieri, Foscolo, Goethe, Schiller). Ne sono tratti peculiari l’eccezionale sensibilità, l’aspirazione alla grandezza, il disprezzo per la mediocrità dei contemporanei. L’eroe romantico avverte dolorosamente il contrasto tra i propri ideali e un mondo dominato dalla logica dell’interesse economico e dall’utilitarismo: ne consegue la sua vocazione alla fuga e al rifiuto della realtà. Spesso l’eroe insoddisfatto e infelice coincide con l’artista, che persegue modelli di vita incompatibili con quelli dominanti. Questo atteggiamento di dissidio e rottura con la società esprime del resto il disagio di molti intellettuali di fronte ai valori che la borghesia trionfante nell’Europa ottocentesca sta imponendo. Il disprezzo per i valori borghesi si configura come risposta polemica del letterato alla constatazione della propria marginalità sociale. È un atteggiamento che percorre tutto il secolo: dalla presa di posizione dei romantici tedeschi contro i “farisei” (i borghesi ipocriti e stolidamente soddisfatti di sé) all’invito di Baudelaire (1821-67) a épater les bourgeois, fino alla malinconica e autoironica ammissione di Guido Gozzano (1883-1916), il quale, alle soglie del Novecento, riconosce che la poesia non è più tra i generi di prima necessità.

Tra insoddisfazione e titanismo. Il contrasto tra l’individuo e i valori della collettività non copre tutte le forme dell’insoddisfazione dell’eroe romantico, che spesso acquista un carattere assoluto. La natura umana, infatti, per quanto aspiri all’infinito e all’eternità, è consapevole della propria finitezza, dei propri limiti invalicabili. L’individuo moderno non si illude più di essere parte integrante e armoniosa della natura, ha intravisto l’infinità dell’universo, l’abisso del tempo eterno, in cui la sua stessa esistenza non è che un caso, un fortuito evento: ne viene al suo animo uno stato di permanente tormento e insoddisfazione. Pur consapevole dei propri limiti, e perciò votato alla sconfitta, l’eroe romantico si ribella al destino e all’ordine della natura: lancia un grido tragico e inutile, sintomo di indomita, titanica grandezza, verso un cielo vuoto o un dio ingiusto. Il termine tedesco Sehnsucht, traducibile in “desiderio (Sucht) del desiderare (sehnen)”, esprime proprio l’aspirazione romantica a qualcosa dl inattingibile e misterioso, che è impossibile oggettivare e di cui si ignora la sostanza. E una sorta di misticismo deviato proteso verso ciò che sta al di là della realtà, che abbraccia l’infinito senso de1 tempo e dello spazio. Sehnsucht è il desiderio di ciò che è necessariamente inappagabile: raggiungerlo significherebbe uscire dai limiti dell’umano, dalla prigione del corpo e del tempo, dissolvendosi pero nel nulla.

L’amore e la natura. L’amore è per i romantici un’esperienza assoluta e totalizzante, un’avventura spirituale che trasporta l’individuo al di là della propria finitezza: è conoscenza profonda di sé e scandaglio della propria interiorità, ma è anche una sorta di esperienza mistica, un mezzo attraverso il quale superare i propri limiti e “sentire” intuitivamente lo spirito del mondo. Collocandosi nella tipica tensione romantica tra finito e infinito, l’esperienza dell’amore è generalmente destinata a tradursi in infelicità, densa com’è di promesse e attese condannate a rimanere insoddisfatte. Oltre che nell’amore, anche nel colloquio con la natura l’eroe romantico proietta le proprie aspirazioni a una vita più sincera, non costretta dalle convenzioni. Talora la natura è percepita come manifestazione dello spirito divino, in una visione di tipo panteistico: immergersi e confondersi in essa e un modo per superare la propria finitezza individuale e afferrare - in un istante di esaltazione - il senso autentico della realtà. Questi motivi trovano espressione nelle liriche “filosofiche” di Friedrich Holderlin (1770-11843) e richiamano il recupero, soprattutto in area tedesca, del pensiero del filosofo Baruch Spinoza (1632-1677).

La fuga dalla realtà e l’ironia. L’insoddisfazione romantica per il proprio tempo si esprime spesso nel tema della fuga, che in letteratura assume infinite modulazioni. Meta dell’inquieto viaggiare può divenire allora il paesaggio esotico delle foreste americane (come nei racconti René e Atala di Chateaubriand), alla ricerca di un contatto con la forza primigenia della natura, o il lontano oriente, a volte approdo di viaggi reali (come per Byron o Nerval), a volte stimolo per la creazione di atmosfere suggestive (come in Flaubert e Baudelaire). Fuga dalla propria realtà è anche l’allontanamento nel tempo, volto al recupero di un esotismo non geografico ma storico (si pensi al Medioevo ricreato in molti romanzi di Walter Scott). In quanto esperienza della scissione fra ideale e reale, il Romanticismo trova poi nell’ironia una forma adatta a esprimere l’ambiguo e spesso conflittuale rapporto con il mondo. L’ironia consente infatti di rivelare le contraddizioni della vita, assumendo forme spesso diverse. Talora appare come critica dei valori dominanti di un’epoca: in questo senso viene impiegata da Manzoni nei Promessi sposi, ma anche dai grandi romanzieri realisti francesi (Balzac, Flaubert) e da Heinrich Heine (1797-1856) nelle prose corrosive delle sue Reisebilder (1826-31). Il commento ironico guida il lettore a liberare il proprio sguardo dalla prigionia dei luoghi comuni. Ma l’ironia è anche autoironia, consapevolezza dei propri limiti e affermazione di libertà interiore. Anche quando si abbandona alla contemplazione, l’eroe romantico è consapevole di muoversi nella finzione e nel gioco, dai quali può in ogni momento prendere le distanze, affermando l’inafferrabile e multiforme autonomia dell’lo rispetto alle cose del mondo.