Giovanni Verga: la tecnica narrativa

 

 

La svolta dell'arte verghiana avviene nel 1878 con Fantasticheria e bisogna chiamare in causa fattori culturali, etici, filosofici, ideologici, cioè una stretta dipendenza tra poetica, ideologia e linguaggio. Sono proprio di quest'anno alcuni documenti molto importanti: la lettera al Paola (idea del ciclo romanzesco), la presenza di Zola (idea del ciclo e nozione del romanzo come étude littéraire et enquête sociale), Darwin (teoria della struggle for life), le novelle Fantasticheria e Rosso Malpelo. Tutti questi elementi non sono certo casuali, ma hanno il sapore della risoluzione di una crisi per il concorso di cause favorevoli: influenza dei dibattiti sul naturalismo, Capuana, la pubblicazione dell'Assommoir, la maturazione del metodo dell'impersonalità (cfr. l'introduzione a L'amante di Gramigna: l'opera deve sembrare “farsi da sola”).

Dal punto di vista operativo, questo metodo comporta una tecnica narrativa fondata sulla “rappresentazione” e non più sulla “descrizione”, per effetto della quale i personaggi non sono descritti dall'esterno da un narratore onnisciente (com'è il Manzoni), ma si rivelano attraverso i comportamenti e l'azione. Cardine di questa tecnica narrativa è l'artificio della regressione (cfr. G. Baldi, L'artificio della regressione. Tecnica narrativa e ideologia nel Verga verista, Liguori, Napoli 1980), ossia l'eclissi dell'autore che rinuncia a narrare la vicenda secondo il suo punto di vista. Uscendo di scena, l'autore delega la funzione narrativa ad un narratore popolare interno al mondo rappresentato e perciò in sintonia con i punti di vista, coi sistemi concettuali ed etici di riferimento, con i modelli di comportamento, con gli stessi usi linguistici dei protagonisti dell'azione (la comunità di Aci Trezza). In questo modo, non solo l'opera sembrerà “essersi fatta da sé”, ma anche “si narra da sé”, secondo un'ottica tutta interna al mondo rappresentato. Il risultato è un procedimento narrativo realizzato con il montaggio ad incastro delle diverse voci “interne” e dei diversi punti di vista, cioè delle diverse prospettive emergenti dal basso, nessuna delle quali ha ragione di privilegio sulle altre. E' il trionfo del principio di oggettività: l'arte si configura come studio appassionato (senza passioni) del reale, senza inclusioni giudicanti e senza volontà di intervento civile da parte dello scrittore (come invece in Zola). L'artificio della regressione esprime al tempo stesso il massimo del rigore “scientifico” e dell'efficacia “conoscitiva” dell'arte (il reale com'è) ed il minimo di “responsabilità” dello scrittore (rinuncia a giudicare e a cambiare il reale).

Eppure il giudizio critico si infiltra ugualmente, o meglio emerge all'interno stesso della narrazione impersonale, non in forma diretta, ma indiretta (“far risaltare la morale della favola e lasciare giudicare al lettore”, lettera a L. Capuana del 22 gennaio 1875). Questo risultato si consegue per due vie: 1) la pluralità e la dialettica dei punti di vista “interni” attraverso cui i fatti vengono rappresentati e 2) l'uso della tecnica dello straniamento (cfr. R. Luperini, L'orgoglio e la disperata rassegnazione, Savelli, Roma 1974), che consiste nella rappresentazione di fatti e comportamenti secondo una logica ed un punto di vista ad essi estranei: ciò che è “normale” secondo i valori accettati dal lettore appare “strano” e ciò che è “strano” per la coscienza comune appare “normale”. In virtù di questa tecnica il giudizio critico sulla vicenda nasce dal contrasto e dal corto circuito che si instaura tra punto di vista del narratore interno e punto di vista dell'autore e del lettore impliciti.

 

Giovanni Verga: tecnica narrativa e ideologia

 

Partendo dall'assunto che gli aspetti formali non esauriscono i problemi interpretativi, essendo segni di una concezione del mondo e della realtà, il nodo nevralgico dell'interpretazione verghiana è il problema della sua ideologia: una “filosofia materialistica di tipo naturalistico” (Luperini) che si traduce in una visione integralmente pessimistica, tragicamente immobile, disperatamente rassegnata della realtà umana e sociale e delle leggi che ne regolano il funzionamento; sulla base delle teorie darwiniane, il consorzio sociale è lotta disperata per la sopravvivenza del più forte, basata su leggi naturali e quindi ontologicamente connotata, per cui ogni illusione di mutare la realtà è destinata al fallimento. L'arte verghiana possiede la sua forza in questa consapevolezza e nella convinzione che l'arte ha una valenza conoscitiva del reale (si tratta di una concezione ripresa poi da Lukacs).

Tuttavia, questa visione di una società retta da leggi ferree non è una forma di conoscenza “oggettiva”, ma un'interpretazione particolare, cioè una sublimazione ideologica di una esperienza storica e personale ben precise. E la stessa tecnica narrativa della regressione, lungi dall'essere un oggettivo strumento conoscitivo, “è un modo implicito di esprimere una scelta ideologica, per affermare la propria interpretazione pessimistica e fatalistica della realtà” (Baldi, cit.), una specie di apologia indiretta della negatività dell'esistente. Questa concezione gira intorno ad un asse centrale: la teoria e la critica del progresso (cfr. la lettera al Paola e l'Introduzione ai Malavoglia). Non si tratta di un tema nuovo (è tipico, per esempio, dell'epoca vittoriana), ma la posizione del Verga si qualifica per il radicalismo pessimistico, che si basa, sotto il profilo culturale, sul materialismo positivistico della cultura verghiana, e, sotto il profilo politico-ideologico, nell'estraneità del Verga alle forme, ai miti e alle ragioni stesse dello sviluppo borghese, nella sua feconda disorganicità, nel suo disilluso conservatorismo che gli garantisce il massimo di distacco storico e di distanza critica dal “progresso” borghese.

Ciò che autorizza a collocare l'opera veristica del Verga in questo quadro di riferimento è proprio ciò che ne costituisce l'impianto: la teoria e la critica del progresso. A livello della microstoria come a livello della macrostoria si consuma la stessa vicenda scandita dalle leggi della lotta per la vita e della selezione naturale: nell'uno e nell'altro la “fiumana del progresso” è sospinta da egoismi e da rivalità, da impulsi meschini, da logiche duramente utilitaristiche che non lasciano spazio a valori ideali, a sentimenti puri e disinteressati. Il destino di quest'ultimi è, storicamente ed ontologicamente, il destino dei vinti. Se la “fiumana del progresso” è indagata “alle sue sorgenti, nelle proporzioni più modeste e materiali” è solo perché “il meccanismo delle passioni che la determinano in quelle basse sfere è meno complicato e potrà quindi osservarsi con maggiore precisione” (Introd. ai Malavoglia). Ma la logica strutturale di quel meccanismo e i principi che ne regolano il funzionamento hanno valore ontologico e validità universale.

Occorre ribadire: l'assenza di ogni ideologia progressista e la concezione duramente materialistica e disperatamente pessimistica della realtà costituiscono le condizioni attive e le ragioni della grandezza dell'arte verghiana. Perché (lo diceva Nietzsche) in una cultura non c'è posto per la poesia tragica quando gli uomini sono convinti di poter cambiare le condizioni fondamentali della loro esistenza.