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L'ANTIGIUDAISMO NEL PRIMO CRISTIANESIMO

 
 

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Gesù, ebreo ed educato nell'osservanza della Legge di Mosè, svolse il suo ministero in terra ebraica, ma per l'originalità e straordinarietà della sua azione religiosa, per la sua "pretesa" di essere il Messia, Figlio di Dio, fu avversato dalla maggioranza dei Capi del Sinedrio e fatto condannare dall'autorità romana alla crocifissione. Dopo la morte e la risurrezione di Gesù, cominciò il movimento di conversioni alla nuova fede, proprio nella città-capitale Gerusalemme, come testimoniano gli Atti degli Apostoli. Le prime comunità cristiane si diffusero anzitutto fra gli ebrei, raggruppati a Gerusalemme intorno alle "colonne" della "Chiesa della circoncisione": Giacomo, Cefa (Pietro) e Giovanni, con qualche velata antipatia per gli "ellenisti" (Atti, 6,1), e specialmente per Paolo, accusato di poca ortodossia a causa del suo "universalismo".

Per le autorità religiose ebraiche tutto questo appariva come una setta detestabile all'interno dell'ebraismo, il che produsse, come leggiamo negli Atti degli Apostoli, le prime persecuzioni: arresto degli apostoli, lapidazione di Stefano, autorizzazione a "condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne seguaci della dottrina di Cristo", uccisione dell'apostolo Giacomo, fratello di Giovanni, da parte del re Erode Agrippa I per ingraziarsi i capi, lo stesso Giacomo Minore, allora capo della comunità di Gerusalemme, fedele osservante della Legge, gettato dall'alto del Tempio e lapidato, per istigazione del Sinedrio (anno 62).

Questa tensione infuocata tra ebrei e cristiani si ripercuoteva all'interno delle comunità cristiane, tra i gruppi "giudaizzanti" e gruppi "ellenizzanti", ed è questa tensione interna forse all'origine delle espressioni dure che si trovano già nel vangelo di Matteo (polemica antifarisaica: "Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché pagate la decima della menta, dell'aneto e del comino, e trascurate le cose più importanti della legge: il giudizio, la misericordia, e la fede. Queste sono le cose che bisognava fare, senza tralasciare le altre." Mt 23,13), nel vangelo di Giovanni (denuncia contro i "giudei" (Gv 8-9) e in alcuni passi delle lettere paoline, come questo: "I giudei non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini, impedendo a noi di predicare ai pagani perché possano essere salvati. In tal modo essi colmano la misura dei loro peccati! Ma ormai l'ira è arrivata al colmo sul loro capo" (I Tessalonicesi 2,15-16). Queste espressioni vanno inquadrate nel contesto e si spiegano con l'ardore della polemica.

 
 

Con la conversione dell'imperatore Costantino (313 d.C .) inizia un mutamento radicale nella situazione degli Ebrei, perché la controversia si sposta dal piano religioso al piano giuridico e politico. Il cristianesimo divenne religione dell'impero, e lentamente i cristiani da perseguitati divennero intolleranti e persecutori!

Certamente i Padri della Chiesa non nutrivano odio di tipo razziale contro gli ebrei, e il loro intento era preservare la fede cristiana dalle contaminazioni del "giudaismo" (usi e costumi legati alla Legge mosaica), ma essi si lasciarono trasportare da polemiche esagerate e talvolta violente.

 

Costantino

 
 

Giovanni Crisostomo

 

Così Giovanni Crisostomo, per esortare le donne cristiane a non frequentare la sinagoga, tuonava: "La Sinagoga non è soltanto lupanare e teatro, ma anche caverna di briganti e rifugio di bestie feroci...". E lo stesso Girolamo (che pure doveva molto ai rabbini) osò scrivere: "Se fosse lecito odiare degli uomini e detestare un popolo, il popolo ebreo sarebbe per me l'oggetto di un odio speciale, perché fino ad oggi nelle loro sinagoghe di Satana perseguitano il Signore nostro Gesù Cristo". Abbondano in questi secoli i trattati Adversus Judaeos (Tertulliano, Cipriano, Agostino, Giovanni Crisostomo). La posizione comune ai Padri della Chiesa fu che responsabili della morte di Gesù furono gli ebrei, e non Pilato, e gli ebrei in quanto popolo, donde nacque l'accusa di popolo deicida. Ambrogio parlava dei giudei come d'un "popolo parricida" che continua a perseguitare Gesù. Se il popolo ebreo è "deicida", tutta la storia successiva è interpretata come "castigo divino", fino alla distruzione di Gerusalemme, che si abbatte sugli ebrei proprio durante la Pasqua. Così scrive Eusebio (265-340) nella Storia Ecclesiastica: "La giustizia divina si abbatté allora sugli ebrei... facendo completamente sparire quella generazione di empi di tra gli uomini": il desiderio di Eusebio sembra essere che quella generazione scompaia completamente dal genere umano! Il "castigo divino" comporta il ripudio d'Israele come popolo di Dio e la sua sostituzione con la Chiesa: anche questa è convinzione comune dei Padri della Chiesa, da Cirillo di Gerusalemme ad Agostino, e comporta la perdita d'lsraele al diritto alla propria terra. Gli ebrei debbono rimanere schiavi per sempre in terra straniera! Eco di questo "odio religioso" maturato nel cuore dei cristiani sono le terribili parole pronunziate da Bossuet, nel 1652, nella cattedrale di Metz: "Dio li ha dispersi per tutta la terra... essi portano dovunque impresso il segno della sua vendetta". Ma già questa convinzione la si trova formulata ripetutamente nel Commento ai Salmi di Cassiodoro, redatto fra il 540-550. Per Cassiodoro, i giudei (che chiama frequentemente "perfidi", "privi d'intelligenza", "peccatori in molti modi") hanno perduto la propria identità non solo religiosa ma anche politica, perché l'appellativo "giudei" si predica correttamente solo dei "credenti" cioè dei cristiani, e quello che era diritto alla loro terra, appartiene ora alla Chiesa di Cristo, "vera Giudea". Il diritto alla Terra santa e a Gerusalemme appartiene ai cristiani: così il francescano Francesco Quaresimi in un'opera pubblicata ad Anversa nel 1639. E il Papa Paolo IV, nella bolla Cum nimis absurdum del 1555, proprio su questo fondamento teologico, della necessaria subordinazione politica degli ebrei, deduce tutta una serie li norme pratiche.

Un'altra conseguenza del "castigo divino" è considerata una perdita di capacità intellettuale, per cui gli ebrei non sono più in grado di conoscere la Scrittura: avendo rifiutato Gesù Cristo sono rimasti "carnali", cioè legati al significato strettamente letterale, incapaci di coglierne il senso spirituale. Sul portale della cattedrale di Strasburgo la Sinagoga viene rappresentata come una sposa ripudiata e desolata, con gli occhi bendati (segno della cecità spirituale), accanto alla Chiesa raffigurata come sposa superba. Nel Museo della diaspora, a Tel Aviv, si ritrovano le due donne di Strasburgo, a muto commento! 

In epoca cristiana, già con l'imperatore Teodosio II furono emanate leggi antigiudaiche (438): agli ebrei era vietato accedere a ogni carica pubblica, vietato ogni proselitismo (pena la morte!), vietato costruire nuove sinagoghe o abbellire quelle esistenti. Già nel 388 Ambrogio si oppose alla ricostruzione della sinagoga di Callinico, distrutta dai cristiani! L’imperatore Giustiniano aggravò queste disposizioni, perché incise sugli stessi diritti religiosi: proibizione del Talmud (548), proibizione della stessa esegesi rabbinica (fondata sui Targum, Midrash e sulla Mishna). Sotto il dominio dell'Islam gli ebrei godettero di condizioni giuridiche più tolleranti e favorevoli di quelle cui furono sottoposti nell'Occidente cristiano. Al tempo delle Crociate comincia la vera fase di calamità della storia della diaspora medievale. Migliaia furono le vittime dei moti anti-giudaici, vanamente contrastati dalle stesse autorità ecclesiastiche. Arriveranno, poi, gli ordini di espulsione: dall'Inghilterra (1290), dalla Francia (1306), dalla Spagna (1492), dove verranno perseguitati perfino gli ebrei convertiti, "marrani"). Viene imposto anche a Roma il regime del ghetto (Bolla di Paolo IV), cioè un quartiere in cui tutti gli ebrei dovranno necessariamente abitare, circondato da mura e dotato di una sola sinagoga. Viene imposto un segno di discriminazione: un disco di stoffa gialla in Francia, un cappello a punta in Germania, imposto a Roma insieme al ghetto. Viene anche l'esclusione da una lunga serie di mestieri. E anche lo stereotipo dell'ebreo "usuraio" si sviluppa già nel sec. XII.

 

Girolamo

 

Ambrogio

 

Eusebio

 

la chiesa

 

la sinagoga

 
 
 

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© luciano zappella