VIKTOR FRANKL |
Uno psicologo nei Lager (1946)
|
||
Viktor
Frankl, nato a Vienna nel 1905, è un importante studioso di psicologia,
allievo di Freud, e la sua opera risente di questa prospettiva. L'autore,
infatti, racconta la sua esperienza di detenuto nei Lager nazisti
mescolando ricordi e riflessioni, ma a prevalere è pur sempre il dato
biografico, nella sua durezza e drammaticità. Anche quando, come in
questo brano, egli sembra trarre dalle vicende narrate, degli spunti di
analisi psicologica, ci accorgiamo facilmente che a prevalere è comunque
il tono della narrazione, e quella necessità di raccontare l'estremo,
l'incredibile, che anima tutti i sopravvissuti. Il
tono, infatti, è sempre molto diretto ed essenziale, e il racconto
procede in modo lineare. Le osservazioni dello psicologo si adattano senza
difficoltà ai ricordi dell'internato, la cui drammaticità non è mai né
esasperata né minimizzata. Ciò ha fatto di quest'opera una delle più
leggibili e delle più fortunate della grande schiera della memorialistica
del Lager, solo l'edizione americana ha venduto più di tre milioni di
copie.
Spunti
per la riflessione 1.
Come si può spiegare l'atteggiamento del detenuto anziano di fronte
alla richiesta del protagonista appena giunto nel Lager? 2.
"Non ci resta nulla, tranne questa nostra esistenza letteralmente
nuda": cosa intende dire l'autore? 3. Il brano si conclude con una domanda. Prova tu a rispondere.
|
La
spoliazione Ora
attendiamo in una baracca: l'anticamera della “ disinfezione ”. Una SS
arriva con delle coperte: dobbiamo gettarci quanto ci rimane: gli orologi
e tutti i gioielli. Con grande gioia dei detenuti “anziani” che
collaborano all'operazione, vi sono tra noi ancora degli ingenui, che
osano chiedere di conservare almeno la fede, o un medaglione, un
talismano, un ricordo. Nessuno arriva a credere che ci sarà tolto proprio
tutto, fino all'ultimo avere. Cerco d'accattivarmi la fiducia d'uno dei
detenuti anziani; mi avvicino piano piano alla preda, gli faccio vedere un
rotolo di carta, nascosto nella tasca interna del cappotto e dico: “
Stammi a sentire, tu! Ho qui con me il manoscritto di un lavoro
scientifico. So che cosa mi vuoi dire, lo so benissimo: salvare la vita,
uscirne con la vita e nient'altro, è tutto quello che si può chiedere al
destino, è il massimo. Ma non ci posso fare nulla, io sono un megalomane
e voglio di più. Voglio conservare questo manoscritto, lo voglio
conservare con qualsiasi mezzo, perché è il lavoro di tutta la mia vita;
capisci?”. E lui comincia a capire, mi capisce benissimo. Comincia a
ghignare, dapprima compassionevolmente, poi ironico, sfottente,
sarcastico, finché abbaia con uno sberleffo, liquida la mia domanda con
una sola parola, che urla a gran voce, quella parola che mi sarebbe
toccato di sentire poi in continuazione, come “ la parola ” del
vocabolario del Lager. Sbraita: “ Merda!! ”. E capisco benissimo anche
io come vanno le cose. Giungo al punto finale di questa prima fase di
reazioni psicologiche: cancello con un sol tratto la vita trascorsa
finora! Un'improvvisa
agitazione anima la folla dei miei compagni di viaggio, che discutevano
perplessi e non sapevano che cosa fare, con i volti spaventosamente
pallidi. Di nuovo quei comandi urlati da voci rauche; siamo spinti, con
percosse e di corsa, nel locale vicino che è poi la vera anticamera delle
docce. Ci troviamo in un atrio, in mezzo al quale una SS attende di
vederci tutti riuniti, prima di parlare: “vi lascio 2 minuti. Controllo
sul mio orologio. In questi 2 minuti, dovete spogliarvi completamente,
gettate tutto a terra, dove vi trovate; non potete portare nulla con voi,
tranne le scarpe, la cintura e le bretelle, un paio d'occhiali e tutt'al
più il cinto erniario. Cronometro i 2 minuti- via!”. Con furia
incredibile, la nostra gente si strappa i panni di dosso. Mentre il tempo
concesso sta per scadere, i prigionieri si affannano, sempre più nervosi
e inetti, intorno a capi di vestiario e biancheria, fettucce e cinture
ecc. ecc. Si cominciano a sentire i primi schiocchi: nerbi di bue
colpiscono corpi nudi. Poi, ci spingono in un altro locale. Siamo rasati,
e non solo sul cranio; su tutto il corpo non ci resta più nemmeno un
pelo. Ci trascinano poi nelle docce. Ci mettono in formazione, quasi non
ci riconosciamo più tra di noi. Ma ognuno di noi costata, con enorme
gioia e sollievo, che dagli imbuti della doccia cadono veramente gocce
d'acqua. Mentre
continuiamo ad attendere, la nostra nudità ci diventa familiare: non
abbiamo nient'altro, soltanto questo corpo nudo; non ci resta nulla,
tranne questa nostra esistenza letteralmente nuda. Quale anello di
congiunzione esterno ci unisce ancora alla vita di prima? [Viktor
Frankl, Uno psicologo nei Lager, Milano, Ares, 1994] |