IL ROMANZO NOVECENTESCO |
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quando è nato il romanzo moderno? Nel Settecento si affermò una concezione dell'arte e della letteratura secondo la quale il «bello» non derivava dall'imitazione dei modelli tradizionali, ma dalla verosimiglianza. Nel campo della narrativa è in questo secolo che in Inghilterra comincia a essere usato il termine romance per indicare le opere narrative prodotte fino al Seicento, caratterizzate da un grande ricorso agli elementi immaginosi e fantastici, e il termine novel per indicare un nuovo tipo di romanzo, il romanzo realistico, in cui eventi e personaggi, anche se frutto dell'inventiva dell'autore, erano comunque credibili e verosimili. È a questo punto che nasce quello che noi intendiamo per romanzo moderno: il racconto, in prosa, di una storia di lunga durata. Lo schema riassume le caratteristiche del romanzo moderno.
la crisi del concetto di realtà Si può affermare che l'Ottocento è il secolo di maggior gloria del romanzo moderno fondato sul principio di verosimiglianza. Il narratore è guidato dalla convinzione di potere riprodurre la realtà servendosi di alcune tecniche che vanno progressivamente perfezionandosi fino ad arrivare al principio della poetica naturalistica del romanzo come documento umano e a quello della totale impersonalità dell'opera letteraria e artistica. Ricordiamo alcune di queste caratteristiche: − la rappresentazione di personaggi tipizzati, spesso caratterizzati come eroi o eroine; − l'ampia e dettagliata descrizione di ambienti e di figure umane; − il trattamento del tempo del racconto in modo lineare e più possibilmente vicino al succedersi delle cronologiche e logiche della vicenda; − un intreccio fortemente strutturato; − l'impiego di numerosi dialoghi; − l'uso della terza persona narrante. Il romanzo realista dell'Ottocento è retto da un preciso patto narrativo: il narratore racconta una storia che il lettore deve credere vera, come realmente accaduta. Fermenti di crisi di questa concezione serpeggiano già in pieno Ottocento tra alcuni degli esponenti più importanti del Realismo, come Gustave Flaubert (1821-1880), l'autore di Madame Bovary, e il suo discepolo Guy de Maupassant (1850o-1893), entrambi pervenuti alla conclusione che la realtà dei romanzi è puramente illusoria e che il romanziere, per quanti sforzi sinceri faccia, non può arrivare a renderla vera: il romanzo è pur sempre il racconto di una storia, che può riprodurre la realtà ma non coincidere con essa. La crisi della concezione realista si consuma alla fine del secolo, quando viene messa in discussione la nozione stessa di realtà. I filosofi e gli scienziati dell'epoca dimostrano che è impossibile definire «realtà» il mondo fenomenico perché non esiste per tutti una medesima realtà, oggettivamente e universalmente valida. La realtà non può essere ricostruita sulla base di un meccanismo secondo il quale ogni causa determina un effetto, come avevano creduto di poter fare i romanzieri naturalisti francesi. La realtà scaturisce da un atto di intuizione individuale, dalla coscienza del singolo. Quale realtà, dunque, rimane al romanzo? Quale verosimiglianza?
le nuove frontiere del romanzo novecentesco
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