IL PRIMO NOVECENTO: TRA LE DUE GUERRE

L’Europa fra le due guerre

L'Europa del dopoguerra presentava dei caratteri profondamente mutati rispetto al passato: il primato economico mondiale apparteneva ormai agli Stati Uniti e furono essi a finanziare i paesi europei. Le innovazioni del sistema industriale e quelle tecnologiche si trasferirono dalla produzione bellica a quella civile. Nonostante questo negli anni Trenta il crollo della finanza americana si riflettè anche sulla situazione europea e si sommò al conflitto ideologico fra la borghesia e i ceti operai. Da questo scontro emersero movimenti nazionalisti e razzisti, ostili a tutto ciò che era estraneo alla nazione di appartenenza, che presero il potere in Germania e in Italia a causa della crisi dei vecchi sistemi liberali, mentre Francia e Inghitterra riuscirono a superare questa crisi. Le novità più grandi dal punto di vista sociale furono l'avvento della società di massa, la nascita dei mass media e la mutata condizione sociale delle donne.

 

la crisi della ragione

La crisi del Positivismo, già evidente a inizio secolo, si fece più profonda ed emersero movimenti irrazionatistici in ogni sfera della cultura. Il mondo scientifico vide la crisi della metodologia tradizionale ad opera della teoria della relatività dei concetti di spazio e tempo di Einstein; proseguì l'influsso della psicanalisi di Freud che sviluppò il suo pensiero introducendo accanto alta sua teoria della sessualità, l'analisi di una pulsione aggressiva che egli definì come «pulsione di morte»; in ambito filosofico si fece sempre più ampia l'influenza dell'intuizionismo, delle filosofie della vita e dell'idealismo di Croce, che sviluppò anche una teoria estetica basata sull'intuizione. Una teoria diversa fu l'attualismo sostenuto da Gentile, massimo esponente culturale del fascismo.

 

 

 

 

la guerra e gli intellettuali

La prima guerra mondiale si rivelò un'esperienza tragica i cui effetti si impressero fortemente nelle coscienze degli intellettuali: un esempio di ciò lo si può cedere in Renato Serra che scopre come la guerra non renda gli uomini migliori e più capaci di comprensione verso gli altri. La guerra è una tragedia che non cambia nulla. A questo Gramsci aggiunge la consapevolezza che il conflitto e la sofferenza non riescono neppure a far superare le profonde divergenze ideologiche che infatti permangono anche di fronte alla sofferenza e diverranno ancora più profonde nel dopoguerra.

 

fascismo e antifascismo

Il regime fascista ebbe con la cultura un rapporto piuttosto complesso: da un alto esso favorì quegli aspetti e quei personaggi che potevano fornire un appoggio al proprio potere, dall'altro esso combatté e censurò tutte le forme di libero pensiero e ogni manifestazione di critica nei suoi confronti, abolendo la libertà di stampa e sciogliendo tutti gli altri partiti politici. Anche gli intellettuali si schierarono in questa opposizione fra fascismo e antifascismo e così nel 1925, pochi mesi dopo la presa di potere di Mussolini, apparvero a poche settimane di distanza l'uno dall'altro un Manifesto degli intellettuali fascisti ­promosso da Gentile e un Manifesto degli intellettuali antifascisti il cui primo firmatario fu Croce. Croce rivendicava l'autonomia della letteratura dalla politica proprio per sfuggire al controllo del regime, posizione assunta anche da Piero Gobetti, il pensatore liberale a cui si deve la definizione del fascismo come «autobiografia della nazione» cioè come espressione della debolezza morale e del conformismo del popolo italiano.

 

I movimenti di avanguardia e la letteratura europea

Negli anni Venti vi fu anche una nuova stagione delle Avanguardie, che si concretizzò soprattutto in due movimenti letterari e artistici: il Dadaismo e il Surrealismo.

Il primo, espresso in una serie di manifesti pubblicati fra il 1916 e il 1920 da Tristan Tzara a Zurigo, aveva un forte accento ideologico, si basava sul rifiuto della guerra e sulla dissacrazione dell'arte borghese.

Il secondo nacque a Parigi nel 1924 dove André Breton scrisse un manifesto per celebrare un'arte fondata sull’immaginazione, capace di esprimere la profondità della coscienza attraverso il metodo della scrittura automatica da lui inventato.

 

  

Le riviste letterarie

In Italia durante il Ventennio nacquero numerose riviste letterarie, per la maggior parte a Firenze. Ognuna di esse presentava dei caratteri peculiari:

  • «La Ronda», rivista romana, esce dal 1919 al 1923; tra i redattori, vi era il poeta Vincenzo Cardarelli; di ispirazione classicista;

  • «Solaria», rivista mensile fiorentina che uscì dal 1926 al 1936; di ispirazione europeista, particolarmente attenta alla narrativa contemporanea (Svevo, Proust, Joyce, Kafka, Mann) su cui scrissero Eugenio Montate, Natalia Ginzburg, Elio Vittorini e Carlo Emilio Gadda;

  • «Il Baretti», rivista torinese, diretta da Piero Gobetti, uscì dal 1924 al 1928 come supplemento letterario a «Rivoluzione Liberale» e vi collaborarono, tra gli altri, i maggiori intellettuali torinesi dell'epoca, tra cui Cesare Pavese, Carlo Levi, Leone Gìnzburg;

  • «Il Selvaggio», uscì nel 1924 a Colle Vai d'Elsa, in provincia di Siena, poi fu trasferita in varie città e infine a Roma. La rivista fu diretta da Mino Maccari e difese lo squadrismo e l'italianità (fu schierata con «Strapaese»); fu antieuropeista;

  • «900», fondata nel 1926 da Massimo Bontempelli e Curzio Malaparte; pubblicata inizialmente in lingua francese; redazioni a Parigi e a Roma, orientamento europeista; all'inizio il comitato direttivo della rivista era composto unicamente da scrittori stranieri, tra cui James Joyce e Rainer Maria Rilke;

  • «Il Frontespizio», usci nel 1929 come bollettino della Libreria Editrice Fiorentina dell'Opera del Cardinal Ferrari. Nel 1931 venne rilevata dall'editore Vallecchi e, dal 1938, fu diretta da un comitato composto, tra gli altri, da Giovanni Papini; di ispirazione cattolica; su di essa comparve nel 1938 un saggio di Carlo Bo ritenuto il manifesto dell'Ermetismo.