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Il
consolato a Roma
Dopo la
cacciata dei re il potere passò all’aristocrazia formata dalle genti di
stirpe latina, ossia ai patrizi, che erano sostanzialmente grandi
proprietari terrieri. Anche Roma attraversò dunque lo sviluppo politico
caratteristico delle città-stato antiche: vale a dire dallo stato
monarchico a quello aristocratico. Come in altre città, anche a Roma il
re fu sostituito da una magistratura collegiale formata da due membri
rinnovati annualmente attraverso libere elezioni, che furono chiamati consoli, cioé
«coloro che si consultano».
L’istituto del consolato presenta però caratteristiche speciali
rispetto alle magistrature presenti nelle città-stato antiche. Prendiamo
ad esempio lo stato ateniese: il governo era nelle mani di un gruppo di
magistrati eletti (gli arconti), ciascuno dei quali aveva poteri limitati
a un singolo aspetto della vita pubblica (uno comandava l’esercito, un
altro si occupava dei sacrifici, un terzo delle finanze e cosí via),
inoltre l’autorità dei magistrati era sottoposta costantemente al
vaglio dell’assemblea popolare, alla quale spettava la reale sovranità,
cosicché gli arconti erano in sostanza gli esecutori della volontà
assembleare.
Ben diversa è la posizione dei consoli a Roma. Per tutta la durata della
carica, essi godevano dei pieni poteri ed esercitavano la magistratura
senza dover rendere conto dei propri atti agli elettori. Essi avevano una
guardia del corpo (i «littori») che li accompagnava portando le insegne
del potere assoluto (o imperium), comandavano l’esercito,
convocavano il Senato, presiedevano le assemblee del popolo («comizi»),
avevano il supremo controllo delle attività pubbliche (tranne quelle
religiose). In sostanza, i consoli esercitavano tutte le funzioni che
erano state del re, limitatamente al periodo in cui si trovavano in
carica. Essi erano, si può dire, dei re provvisori; ciascuno di loro
possedeva la stessa autorità del collega e l’unico limite era
rappresentato dall’esistenza dell’altro. Inoltre i consoli, come
custodi della legalità repubblicana, avevano il potere di far decapitare
tutti coloro che tentavano di restaurare la monarchia. Spesso accadeva,
per un accordo tra i consoli, che uno assumesse il comando dell’esercito
e l’altro si occupasse di amministrare la giustizia; oppure, durante le
guerre, che ognuno comandasse una parte dell’esercito. Nondimeno,
ciascuno dei due consoli poteva intervenire nella sfera dell’altro e
soprattutto godeva del diritto di veto: vale a dire poteva impedire una
decisione del collega. Nel caso in situazioni di conflitto e
incomprensione tra i due supremi magistrati, il consolato veniva
esercitato a turno, a giorni o mesi alterni. Nelle situazioni di
emergenza, inoltre, quando si rendevano necessari poteri straordinari per
affrontare i pericoli con unità di comando, i consoli si sospendevano
volontariamente dal potere e lo affidavano provvisoriamente, per un
periodo che non poteva superare i sei mesi, a un magistrato chiamato dittatore, nominato dal Senato, il quale, al termine del suo mandato,
restituiva il comando ai consoli.
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