Magistrature dello stato a Roma Nel periodo che seguí la prima codificazione scritta, accanto al consolato vennero a porsi altre magistrature: infatti, l’accumulo di competenze nelle mani dei consoli, la struttura sociale romana che si faceva sempre piú complessa e problematica, le rivendicazioni della plebe (o meglio della parte agiata di essa) per conquistare maggiori diritti e partecipare in maniera piú incisiva alla gestione della repubblica, rendevano necessario creare organi di governo con caratteristiche precise. L’assetto costituzionale della repubblica romana non fu ovviamente qualcosa di statico e le stesse magistrature subirono, nel corso del secolo IV a.C., un processo di trasformazione: nel numero dei loro componenti, nel grado di potere, nelle forme di elezione. Caratteristiche comuni a tutte le magistrature erano la temporaneità della carica, l’elettività, la collegialità e la gratuità (nessuna delle cariche era retribuita e la loro attribuzione era considerata solo un fatto di prestigio). I magistrati, inoltre, erano considerati responsabili di tutto ciò che compivano durante il loro mandato e potevano essere chiamati a renderne conto in tribunale. Accanto al consolato, che rimaneva indiscutibilmente la massima carica prevista dalla repubblica, le altre magistrature, in ordine crescente di importanza, erano la questura, l’edilità, la pretura e la censura. I
questori amministravano il denaro pubblico, incassavano i tributi,
pagavano gli stipendi ai soldati e ai dipendenti dello stato. Inizialmente
essi erano due, ma andarono sempre aumentando per arrivare, alla fine
della repubblica, a quaranta. Il moltiplicarsi del loro numero fu
determinato anzitutto dall’accrescersi del territorio e dalla necessità
di approntare un’amministrazione finanziaria adeguata alle nuove
conquiste. Il primo questore plebeo fu nominato nel 409 a.C. |