VERSO E ACCENTO METRICO
La caratteristica più evidente del discorso poetico consiste nel fatto che si sviluppa in versi, regolati da alcune norme. Il metro della poesia italiana è accentuativo: si fonda cioè su versi che, entro un numero definito di sillabe, alternano sillabe forti e sillabe deboli. Ma attenzione: un verso non si definisce quinario, perché ha cinque sillabe, o endecasillabo perché ha undici sillabe; e nemmeno ottonario, perché ne ha otto. Il computo delle sillabe di un verso tiene conto anzitutto dell'accento tonico della parole finale. Per esempio, considerate questi settenari di Alessandro Manzoni, sono la prima strofa di un coro famoso dell'Adelchi:
Solo nel v.2 le sillabe sono proprio sette; nel v.1 le sillabe sono otto, nel v.6 le sillabe sono sei: ma entrambi questi ultimi versi si considerano settenari: perché l'ultima parola del v.1 è sdrucciola; e l'ultima parola del v.6 è tronca. Notate però che in tutte queste parole finali l'accento coincide con la sesta sillaba del verso. Possiamo dunque dire che un settenario si definisce come tale, non perché è un verso di sette sillabe, ma perché ha sempre un accento sulla sesta sillaba. Analogamente si può dire per tutti gli altri versi italiani: un quadrisillabo ha sempre un accento sulla terza sillaba; un quinario ha sempre un accento sulla quarta sillaba; un senario ha sempre un accento sulla quinta sillaba,...un endecasillabo è tale perché presenta sempre un accento sulla decima sillaba.
Le parole sono costituite da una o più sillabe, ossia da segmenti fonici pronunciati con una sola emissione di voce. Una sillaba contiene sempre almeno una vocale (a-mo-re), preceduta da una o più consonanti (ma-re; tre-no ; stra-da) o seguita da una consonante (al-to). L'italiano distingue inoltre tra le vocali quelle forti e quelle deboli:
In una sillaba vi possono essere anche due o tre vocali che costituiscono dittongo o trittongo. Costituisce dittongo: l'incontro di una vocale debole priva d'accento con una vocale forte, oppure l'incontro di due vocali deboli. ATTENZIONE: non sempre l'incontro di due vocali dà dittongo, si può avere anche iato. Se nell'incontro tra vocale debole e vocale forte, la debole è accentata, allora non si ha dittongo, ma iato; iato è sempre l'incontro di due vocali forti. Infine ricordate che l'unione di due vocali deboli con una forte dà origine al trittongo. Possiamo riassumere queste nozioni così:
C'è un'altra considerazione da fare a proposito del computo delle sillabe dei versi italiani, perché per realizzarla correttamente, non basta applicare le regole che normalmente usiamo per sillabare una parola; occorre anche tenere conto delle cosiddette figure metriche, che intervengono alterando la nozione stessa di sillaba. La loro presenza fa sì che là dove normalmente ci sono due sillabe se ne prenda in considerazione una sola; o viceversa, là dove c'è una sola sillaba, metricamente se ne prendono in considerazione due. Il computo metrico dunque tiene conto sia delle regole generali sia anche delle cosiddette figure metriche, che si definiscono così:
Ragionando sul numero delle sillabe che compongono il verso italiano, abbiamo notato che per definirlo siamo ricorsi alla nozione di accento. Ogni verso italiano infatti ha un accento costante sulla parola finale. Nel verso in cui l'ultima parola è piana, questo accento è seguito da una sillaba atona (cioè priva d'accento); nel caso in cui l'ultima parola sia sdrucciola, l'ultimo accento è seguito da due sillabe atone; infine nel caso che l'ultima parola sia tronca, l'accento tonico non ha dopo di sé altra sillaba. Ecco tre versi della Divina Commedia , che pur essendo endecasillabi - perché hanno accentata la decima posizione metrica del verso - sono di 11, 12, 10 sillabe, appunto perché l'ultima parola è piana, sdrucciola o tronca.
Oltre all'accento dell'ultima parola, nel verso ci sono altri accenti ritmici, in alcuni versi essi hanno posizioni fisse, in altri versi hanno posizioni variabili, a seconda del tipo di verso.
Prendiamo in considerazione questa filastrocca di Gianni Rodari: ha un ritmo è cantilenante perché gli accenti cadono sempre sulla terza e sulla settima sillaba.
Leggiamo ora questa canzone a ballo di Lorenzo il Magnifico:
Lo stesso ritmo cantilenante per le stesse ragioni: gli accenti metrici hanno posizioni fisse. Eccoli:
A questo punto occorre però notare anche un altro
particolare: gli accenti ritmici di un verso non sono tutti uguali ce ne sono di
più marcati e ce ne sono di più deboli. Si potrebbero leggere ancora molti versi per vedere la regolarità nella distribuzione degli ictus che caratterizza il verso parisillabo.
Leggiamo ora questi versi di Alessandro Manzoni; sono decasillabi. Accento metrico principale fisso in P3 - P6 - P9. Il Conte di Carmagnola S'ode a destra uno squillo di tromba; a sinistra risponde uno squillo: d'ambo i lati calpesto rimbomba da cavalli e da fanti il terren. Notate la struttura sempre identica, che si replica per tutto il componimento (128 versi), con un effetto ritmico molto particolare e ricercato. Lo stesso capita in un altro notissimo componimento manzoniano, in dodecasillabi o senari doppi. Gli ictus cadono sempre nelle stesse posizioni: quelle che il verso senario prescrive come obbligatorie: P2 - P5 - 98 - P11 (dove P8 e P11 sono ovviamente la seconda e la quinta posizione del secondo senario, accostato al primo). Adelchi Dagli atri muscosi dai fori cadenti, dai boschi, dall'arse fucine stridenti, dai solchi bagnati di servo sudor, un volgo disperso repente si desta; intende l'orecchio, solleva la testa percosso da novo crescente rumor.
Una varietà ritmica decisamente più marcata presentano in italiano i versi
imparisillabi. Forse per questo furono molto più apprezzati dai nostri poeti
delle origini, che ne decretarono il successo e li consegnarono come versi
classici della poesia italiana alle generazioni successive. Leggiamo le prime due strofe della Divina Commedia: Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinnova la paura !
Come avrete certo notato, l'unico ictus in posizione fissa è quello su P10,
com'è ovvio, trattandosi di endecasillabi. Tutti gli altri ictus primari e
secondari hanno posizioni variabili. La mobilità degli isctus nell'endecasillabo dà a questo verso una notevole varietà ritmica.
Potete dunque imbattervi in un verso dal ritmo lento e solenne come questo, che apre una canzone di Leopardi, Ultimo canto di Saffo: Placida notte e verecondo raggio
Oppure può anche capitarvi di leggere un endecasillabo ossessivo nel ritmo come questo di Pascoli, in Tuono: Rimbombò rimbalzò, rotolò cupo
Notate in quest'ultimo esempio pascoliano che l'ictus in P10 impedisce di considerare un ictus l'accento tonico della parola "rotolò" la cui ultima sillaba cade in P9. Avevamo già notato, leggendo i versi della Canzona di Lorenzo il
Magnifico che non tutti gli accenti tonici diventano ictus, perché il verso ha
un suo andamento ritmico. Il fatto è che in nessun verso si possono collocare due ictus l'uno vicino all'altro. E poiché l'ictus in P10 in un endecasillabo è obbligatorio, la posizione P9 deve essere atona, priva cioè di ictus, primario o secondario che sia.
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