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2. I SEGNI E I LINGUAGGI PER COMUNICARE

 

1. I segni

Per comunicare ci serviamo di segni, cioè di elementi percepibili con i sensi, tali da trasmettere a chi li riceve una informazione. Sono segni, ad esempio, un applauso, lo squillo del telefono, i colori del semaforo, una stretta di mano. Ogni segno è formato dall’unione di due elementi:

il significante, cioè una forma che possiamo percepire con i sensi (un suono, un colore, un gesto, un disegno ecc.);

il significato, cioè il contenuto concettuale, l’idea mentale a cui quella forma rimanda.

Il segno può essere paragonato a una moneta: il significante e il significato ne sono le due fac­ce non separabili, entrambe indispensabili.

 

In base al rapporto tra significato e significante, i segni si possono classificare in indici, ico­ne o segni motivati, segnali o segni arbitrari. Guarda lo schema:

 

 
 

L’indice è un segno naturale e involontario che è in connessione fisica con l’oggetto che si­gnifica: ad esempio, il fumo indica l’esistenza del fuoco. Altri esempi di indici sono la stella polare, la banderuola, la manica a vento.

I segni che usiamo nella comunicazione sono prodotti in modo artificiale e volontario allo scopo di trasmettere una informazione. In base alla correlazione tra significante e significato, si distinguono in icone (dal greco eikón, «immagine») o segni motivati e segnali o segni ar­bitrari. Osserva e paragona le due figure:

 

Esse hanno lo stesso significato: si tratta di due modi diversi di rappresentare il segno zodia­cale della bilancia. Il significato della prima figura è immediatamente comprensibile a tutti: è il disegno semplificato di una bilancia. Al contrario, la seconda figura può essere interpre­tata solo da chi ne conosce già il significato; si tratta infatti di un simbolo molto stilizzato che viene usato fin dal Medioevo per indicare la costellazione della Bilancia. Il significante della prima figura è stato scelto in modo da suggerire l’immagine del referen­te: si tratta di un segno motivato o iconico. Il significante della seconda figura non ha alcu­na somiglianza con il referente: il segno è non motivato o arbitrario. Il legame tra signifi­cante e significato è puramente convenzionale.

I segni sono in gran parte arbitrari, ma siamo talmente abituati a usarli che ci sembrano del tutto naturali; persino i gesti variano da una cultura all’altra e vengono appresi fin dall’in­fanzia per imitazione. Lo stesso segno, in contesti diversi, può mutare significato: mentre da noi il pubblico fischia uno spettacolo che non gradisce, negli Stati Uniti i fischi sono un se­gno di approvazione.

Anche le parole sono segni arbitrari: gli italiani chiamano un determinato frutto mela per­ché condividono una particolare cultura, trasmessa da decine di generazioni. Ma niente vie­ta di chiamarlo in altro modo: infatti i francesi lo chiamano pomme, gli inglesi apple, gli spa­gnoli manzana, i tedeschi apfel ecc.

Nelle diverse lingue esiste solo un piccolo numero di parole motivate: sono le onomatopee, parole il cui suono riproduce e imita un rumore o il verso di un animale: bum, tintinnio, chic­chirichì, miagolare ecc.

 

 

2. I linguaggi

I linguaggi sono i mezzi attraverso i quali vengono soddisfatte le esigenze comunicative; sono, in altre parole, sistemi di segni mediante i quali si comunica. Ciò significa che tali segni acquistano senso logico solo se organizzati e collegati tra loro da regole precise, da una serie di rapporti per cui ogni segno è definito dai collegamenti con gli altri segni.

I linguaggi si distinguono in linguaggio non verbale e linguaggio verbale, a seconda che i segni di cui sono composti siano o no parole.

 

Linguaggio non verbale: caratteristiche

§  È usato dall’uomo e dagli animali.

§  Gli animali comunicano con suoni, movimenti, odori, colori.

§  L’uomo lo usa alternandolo o insieme alle parole: immagini, uso dei colori, gesti, atteggiamenti, movimenti del corpo, suoni, odori, profumi, uso dello spazio e della disposizione in esso di cose o persone.

§  È semplice, immediato, sintetico e rafforza il linguaggio verbale.

§  Non è adatto a comunicare messaggi complessi.

§  È difficilmente controllabile.

 

In base ai sensi che percepiscono i segni, i linguaggi non verbali si possono a loro volta dividere in visivi, sonori e tattili:

 

Linguaggi

Tipi di segnali

Usi

Visivi

Disegni e immagini (linguaggi grafici)

Luci e colori

Gesti e movimenti del corpo (linguaggio gestuale)

Utili in molte situazioni particolari: possono essere visibili a distanza (razzi) o al buio (segnali luminosi); i linguaggi grafici sono permanenti e spesso si avvalgono di icone e segnali di uso internazionale

Sonori

Suoni e rumori ottenuti per mezzo di strumenti (campanelli, clacson, sirene) o parti del corpo umano

Permettono di far giungere i messaggi a distanza, anche in situazioni di scarsa visibilità o in presenza di ostacoli

Tattili

Strette di mano, carezze, baci, pacche

Si basano sul contatto fisico, trasmettono soprattutto sentimenti; un particolare linguaggio tattile è l’alfabeto Braille, usato dai non vedenti

 

 

Linguaggio verbale: caratteristiche

§  È il linguaggio dell’uomo ed è formato di parole.

§  Può essere parlato o scritto.

§  Trasmette il messaggio con precisione e completezza.

§  Descrive il linguaggio non verbale.

§  Si manifesta attraverso le lingue.

§  Si rinnova continuamente.

§  È controllabile.

 

Non si deve confondere il linguaggio verbale, definito come sistema organizzato di parole, con la lingua, che è il prodotto di un determinato gruppo etnico o sociale di persone in una precisa situazione storico-ambientale: nel mondo le lingue parlate sono oltre 3.000. La lingua è il più complesso sistema di segni (le parole) – organizzato tramite una rete di relazioni e di combinazioni – per mezzo del quale gli appartenenti ad una collettività comunicano tra loro (lingua italiana, inglese, tedesca, cinese, …).

Tra i tanti linguaggi usati dall’essere umano, la lingua è senza dubbio il più im­portante e il più usato: si tratta del codice più ricco, economico e potente.

La lingua è economica perché permette di produrre infiniti messaggi partendo da un numero molto ridotto di segni. Combinando poche decine di suoni (le vocali e le consonanti) si pos­sono formare migliaia di parole che, unendosi a loro volta, danno vita a innumerevoli frasi.

La lingua è potente perché è l’unico linguaggio che può:

§  parlare di tutto, persino di ciò che non esiste;

§  trasmettere informazioni nuove, non prevedibili, anche non legate a una situazione imme­diata;

§  arricchirsi continuamente, grazie all'introduzione di nuove parole;

§  parlare di se stesso, cioè spiegare il proprio funzionamento; invece per spiegare come fun­ziona qualsiasi altro codice occorre obbligatoriamente servirsi di parole.

L’eccezionale potenza della lingua ne fa uno strumento di comunicazione estremamente fles­sibile, grazie al quale possiamo formulare uno stesso messaggio in tanti modi diversi, per adeguarlo alle più diverse situazioni comunicative.

 

I linguaggi specialistici o di settore

Sono linguaggi creati per soddisfare le esigenze comunicative di alcuni settori di attività.

Il linguaggio, strumento flessibile, si adegua ai bisogni provenienti dai diversi ambiti di studio e di azione dell’uomo e si specializza creando espressioni e parole con nuovi significati. Il fenomeno della settorialità e della specializzazione interviene soprattutto sul piano lessicale (delle parole, dei vocaboli) e dei modi di dire con i cosiddetti tecnicismi: di questi, alcuni sono necessari, perché nel linguaggio comune non esistono espressioni equivalenti, mentre altri potrebbero essere sostituiti con parole più diffuse e conosciute.

Un esempio è dato dal linguaggio burocratico, usato dalle pubbliche amministrazioni: questo linguaggio è espressione di un potere, quello esercitato dall’apparato degli uffici amministrativi pubblici.

Caratteristiche

§  È un linguaggio di tipo misto, perché si configura come un incrocio di diversi linguaggi specialistici, come quello giuridico, economico e finanziario – con largo uso di parole ed espressioni latine (esempio di parole: idem, extra, omissis, quorum, vademecum, curriculum, rebus; esempio di espressioni: in primis, ad hoc, ad personam, ad abundantiam, ex aequo).

§  È complesso, formale, caratterizzato da un lessico (parole) tecnico, antiquato, difficile e da una sintassi (organizzazione delle frasi e del periodo) involuta e complicata, che non tiene in nessun conto il destinatario a cui si rivolge, il cittadino medio, disconoscendo completamente il concetto di efficacia comunicativa.

§  Usa tecnicismi non giustificati da reali esigenze comunicative (“obliterare” invece di “timbrare”, “oblazione” invece di “pagamento”, …).

Tali caratteristiche hanno portato a definire il burocratese come esempio di linguaggio anti-comunicativo, di ostacolo alle relazioni e ai rapporti tra le persone: rappresenta una delle maggiori difficoltà che il cittadino incontra nell’adempimento dei suoi doveri e nell’esercizio dei suoi diritti.

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