Le funzioni narrative

 

Ai contributi della critica più recente, in special modo agli studi di Mario Baratto, si devono l'analisi dei vari modi di narrare di Boccaccio e il riconoscimento della confluenza nel Decameron dei principali sottogeneri narrativi, con assegnata una "funzione" particolare nell'economia della narrazione. Tali forme espressive o "funzioni narrative", che spesso si ritrovano anche presenti in maniera composita in una stessa novella (a seconda della scelta del tema della giornata e del ruolo particolare assegnato al novellatore), sono fondamentalmente quelle del racconto, del romanzo, della commedia e del contrasto.

 

1. dal racconto al romanzo

La funzione del racconto è applicata di prevalenza all'esposizione di eventi determinati dalla Fortuna. Questa è per Boccaccio il deus ex machina che giustifica e determina l'avventura. Esempio significativo è la novella di Andreuccio da Perugia (II, 5). La rubrica o didascalia recita: Andreuccío da Perugia, venuto a Napoli a comperar cavalli, in una notte da tre gravi accidenti soprappreso, da tutti scampato, con uno rubino si torna a casa sua. Il filo narrativo è retto dalla Fortuna e la vivacità della descrizione accompagna tutti i particolari di un'avventura singolare che sì risolve in un breve spazio di tempo. Peraltro, il tema generale della Seconda giornata è legato al motivo Fortuna-avventura: si ragiona di chi, da diverse cose infestato, sia oltre alla sua speranza riuscito a lieto fine. A narrare la novella di Andreuccio è Fiammetta, la quale, nell'interesse degli ascoltatori, cerca anche di rivaleggiare con Lauretta (che ha raccontato la novella precedente), sottolineando proprio i pericoli, ma ancor più il breve tempo in cui l'avventura si svolge rispetto a quella di Landolfo Rufolo (II, 4): una novella non guari meno di pericoli in sé contenente che la narrata da Lauretta, ma in tanto differente da essa, in quanto quegli forse in più anni e questi nello spazio d'una sola notte addivennero, come udirete. L'interesse e l'attesa degli ascoltatori e dei lettori sono dunque sollecitati dall'annuncio di un'avventura tanto ricca e movimentata quanto di breve durata.

L'elemento avventuroso si combina tuttavia con un'analisi psicologica degli influssi che le vicende hanno sul personaggio, il quale alla fine, reso scaltro e avveduto dalle numerose e rapide esperienze, si mostra disposto e pronto a divenire un vero mercante. L'esito a lieto fine condiziona tutta la giornata. La realtà è da Boccaccio suddivisa in tante sfaccettature, dove bene e male, fortuna e sventura si fondono e si confondo, rincorrendosi lungo la struttura orizzontale del Decameron, mentre verticalmente lo stesso tema è variato mediante un'attenta distinzione di stili e di ambienti e con l'impiego di funzioni narrative diverse.

 

2. il romanzo

La forma espressiva o funzione narrativa del romanzo non è che lo sviluppo di quella del racconto. Sulla base degli schemi narrativi già sperimentati nelle opere giovanili, Boccaccio imbastisce talora una trama più moderna del racconto. In questo caso, alla radice della narrazione è ancora l'avventura, ma utilizzata come occasione e stimolo per approfondire l'analisi psicologica dei personaggi.

Se nel racconto tradizionale è la Fortuna a dettare gli eventi, nel romanzo arbitra delle situazioni è piuttosto la Natura. Tendenza genuina della sfera emozionale e istintuale dell'uomo, essa predispone alla passione, ma appare anche dominabile dall'intelligenza. La funzione narrativa del romanzo serve assai bene ad armonizzare la "giornata", creando un equilibrio tra la coerenza interna e le variazioni apportate da ciascun novellatore al tema prescelto, a tradurre i cambiamenti di stile e a soddisfare le esigenze inventive. Si determina, come detto, quando gli elementi esterni dell'avventura confluiscono a tratteggiare e a mettere in luce la psicologia di un personaggio.

La funzione di romanzo si avverte dunque già, in qualche modo, all'interno di novelle in cui prevale lo schema del racconto, come in quella di Federigo degli Alberighi (V 9). È più in luce ed esclusiva in altre novelle, come quella di Lisabetta da Messina (IV, 5): I fratelli dell'Isabetta uccidon l'amante di lei; egli l'apparisce in sogno e mostrale dove sia sotterrato. Ella occultamente disotterra la testa e mettela in un testo di bassilico; e quivi su piagnendo ogni dì per una grande ora, i fratelli gliele tolgono, ed ella se ne muore di dolore poco appresso. La funzione del romanzo si esplica nella drammatica contrapposizione fra una personalità "cortese" e un ambiente rozzamente borghese-mercantile: il buon Lorenzo e l'innamorata Lisabetta si scontrano con le convenzioni sociali, che rendono riprovevole l'amore tra una fanciulla ricca e un povero garzone, e sono radicate negli stessi amanti, che consumano in segreto il loro impossibile amore. La grande novità del testo boccacciano è l'impassibile naturalezza con cui è delineata una passione che consuma e annienta, ma non altera le qualità di nobiltà, di gentilezza, di delicatezza, cioè i tratti della sensibilità della protagonista.

3. il mimo e la commedia

I personaggi della cornice, i novellatori, svolgono un compito loro assegnato dall'autore; ma essi sono anche padroni veri del processo narrativo, nel loro abile e accorto comparire e sparire sulla scena e per la loro capacità di suscitare una discreta e costante curiosità negli ascoltatori; sono ministri dell'autore-regista, ma pure manifestano una propria identità nell'assecondare o nel contrastare le vicende del protagonista della novella, che si trasforma in una vera e propria "recitazione a una voce". La funzione narrativa che viene presupposta in questi particolari momenti è quella della commedia. Evidentemente, sia la gestualità sia il tono sia la dinamica dell'azione di questa singolare recita restano sottintesi e si dispiegano nelle caratteristiche stilistiche, linguistiche e drammatiche del testo. I due modi fondamentali di rappresentazione sono il mimo e la commedia in senso più proprio.

Il mimo - la forma cioè in cui il personaggio non è tanto analizzato, quanto piuttosto colto nei movimenti, nella rapida immediatezza di gesti - appare evidente in modo singolarissimo nella novella di Ser Cepparello (I, 1). Nel monologo-confessione di Cepparello non vi sono argomentazioni probanti e definitive; a convicere il frate confessore non è l'elocutio, cioè l'esposizione eloquente e persuasiva degli argomenti, ma l'actio, cioè la gestualità, nella fattispecie la mimica di Cepparello, quale traspare dalla sua espressione contrita, dalle frasi spezzate, dalle ripetizioni, dalle reticenze, che sottintendono lo sguardo, l'espressione degli occhi, tutto ciò che le parole non sono sufficienti a rappresentare. Chiaramente, gli atteggiamenti Cepparello sono assunti ed interpretati dal novellatore Panfilo, accompagnato dall'applauso e dallo stupore del pubblico.

La commedia diviene funzione preponderante quando le esigenze del racconto si fanno più drammatiche e i novellatori devono introdurre un'ambientazione più specificamente storico-contemporanea. Allora il dialogo in discorso diretto diviene elemento essenziale per la necessaria mediazione tra autore, novellatore e lettore. Sono soprattutto due gli argomenti che inducono Boccaccio all'uso della funzione della commedia: il divieto del piacere (in una società apparentemente più liberale, ma in realtà non meno repressiva di quella precedente, specie se si guarda attentamente alla condizione femminile) e la dialettica tra stupidità e intelligenza (aderente al costume e all'etica del commercio, del guadagno, dell'individualismo mercantile). Al primo argomento corrisponde la vendetta femminile (anche se non mancano esempi contrari di vendetta dell'uomo sulla donna crudele), al secondo corrisponde la beffa vera e propria, attuata da una combriccola di amici o da un geniale primo attore ai danni dello stupido di turno.

Va sottolineato che alla funzione narrativa della commedia sono affidati diversi ritratti femminili, così come molte novelle si ispirano all'astuzia femminile. Un esempio tra i più significativi è dato dalla novella di Arriguccio e monna Sismonda (VII, 8): Un diviene geloso della moglie, ed ella, legandosi uno spago al dito la notte, sente il suo amante venire a lei; il marito se n'accorge, e mentre seguita l'amante la donna mette in luogo di sé nel letto un'altra femmina, la quale il marito batte e tagliale le trecce, e poi va per li fratelli di lei; li quali, trovando ciò non esser vero, gli dicono villania. La novella è inserita nella giornata in cui il tema da svolgere, sotto il reggimento di Dioneo, è quello delle beffe tramate dalle donne ai danni dei loro mariti.

In queste novelle, oltre il tema della beffa, la vera finalità non è la rivincita della donna sull'uomo, bensì la difesa dei diritti del piacere.

Quanto alle beffe in generale, Boccaccìo si mostra particolarmente sensibile al dramma dei beffati, tanto che, proprio attraverso la funzione narrativa della commedia, egli crea nel Decameron una vera e propria tragedia della stupidità. Calandrino, protagonista di quattro novelle (VIII, 3 e 6; IX, 3 e 5), rappresenta la personificazione della non-intelligenza più geniale di tutta la narrativa europea.

4. il contrasto

Quando nel racconto viene focalizzato l'individuo e viene descritta e sottolineata la sua reazione all'ambiente, siamo in presenza della funzione narrativa del contrasto. A tale mezzo i novellatori ricorrono in alcune delle narrazioni più note del Decameron: è il caso delle novelle di Chichibio (VI, 4), di Giotto (VI, 5), di Cavalcanti (VI, 9). Altre volte, all'interno di racconti più articolati, vengono inseriti il motto di spirito, la trovata arguta e risolutiva, attraverso cui i personaggi si caratterizzano anche come attori.