Incontri, controversie e dialogo con l'islam


Il "dialogo" tra cristiani e musulmani ha passato differenti situazioni e periodi. Un primo periodo, che va dal VII all’XI secolo, è stato caratterizzato soprattutto dal dialogo teologico; a partire dal XII secolo in poi è stato segnato soprattutto da scambi di carattere scientifico. Dialogo naturalmente non significava solamente accettazione e pacifica convivenza ma capacità e possibilità di parlare. Attive nel primo periodo furono soprattutto le comunità cristiane arabofone. Furono tali comunità che tradussero, tramite l’aramaico, la filosofia greca in arabo e fornirono quindi gli strumenti allo sviluppo prodigioso della filosofia musulmana. Cominciata nell’VIII-IX secolo essa giunse al suo vertice nel nostro basso medioevo. Che cos’era la falsafa?

La controversistica tra cristiani e musulmani andò direttamente al cuore del problema, affrontando gli argomenti chiave della differenza tra le due religioni e la convivenza (anzi: tra le tre, considerando anche l’ebraismo): essa riguarda soprattutto i temi della Trinità, dell’Incarnazione di Gesù, della falsificazione delle Scritture, della superiorità dell’Islam riguardo alle religioni del Libro, con la conseguente tassa di capitazione imposta ai seguaci di queste ultime.

Soprattutto nel IX-X secolo, alla corte di Baghdad, si ebbero degli interscambi interessantissimi di rappresentanti delle tra religioni, che si affrontavano molto civilmente davanti al Califfo, ognuno portando le motivazioni della propria fede. Fu un periodo di grande tolleranza, che confermò, tra l’altro, la grande espansione del cristianesimo di matrice nestoriana fino alla Cina. Le invasioni mongole e turche e la progressiva corruzione e perdita di potere della dinastia ‘abbaside furono alla base della degenerazione dei rapporti di dialogo e della lenta ma inesorabile islamizzazione della popolazione.

I latini di occidente erano preoccupati anzitutto dall’invasione dei loro territori e dalla condizione delle comunità cristiane sotto il dominio musulmano. Carlo Magno tentò dei rapporti diplomatici con la raffinata corte di Baghdad. Una lettera di Papa Gregorio VII del 1076 a un emiro tunisino sulla situazione di una comunità cristiana è di estrema rilevanza per i rapporti tra le due religioni in quel periodo. Egli infatti riconosce che "sebbene in differente modo, ambedue riconosciamo un Dio unico e ogni giorno lo lodiamo e lo adoriamo come creatore e sovrano dell’universo". Di maggiore rilevanza furono due fatti, che partirono dall’ambiente spagnolo, per secoli culturalmente il più vicino all’Islam. È da segnalare che attorno alla corte Andalusa e nei territori da essa influenzata sia ebrei che cristiani parlavano correntemente l’arabo (ricordare la liturgia mozarabica). Il primo fatto da segnalare è la traduzione dei grandi maestri musulmani della medicina (come Ibn Sînâ o Avicenna), della matematica e della filosofia. In particolare per quanto riguarda quest’ultima è da segnalare l’arrivo in Europa dell’opera filosofica di Ibn Rushd, o Averroè. È attraverso di lui che la filosofia di Aristotele arriva a informare la scolastica cristiana. Il secondo fatto è l’inizio della traduzione in latino del Corano a Toledo, curata da un’équipe mista di musulmani, ebrei e cristiani diretta dall’abate di Cluny, Pietro il Venerabile. Questa edizione del Corano, che porta il nome di Roberto di Ketton, piuttosto lacunosa e naturalmente completata dalla refutazione delle tesi e delle idee musulmane, resterà fondamentale per i quattro secoli successivi; in pratica era l’unico modo per un cristiano latino di accostarsi ai testi base dell’Islam. La seconda grande traduzione del Corano in latino, che a sua volta segnerà un’epoca e che non ha perduto validità fino ai giorni nostri, sarà quella del canonico lucchese Ludovico Marracci, stampata a Padova nel 1698. Ma i tempi saranno cambiati in molte cose, soprattutto dal punto di vista politico. Il secolo XII sarà dunque uno dei secoli più fecondi per i contatti tra cristiani e musulmani.

L’epoca dell’umanesimo e del rinascimento è segnata da un lato dall’apparizione sulla scena dell’Islam dei Turchi e dall’altro dal progressivo sganciamento dell’occidente dalla filosofia scolastica. Questo fatto porterà l’occidente a identificare il pericolo musulmano con il pericolo turco, che nel frattempo diventava sempre più incombente, fino a occupare progressivamente i Balcani e l’Ungheria e a fare scorrerie in Friuli e addirittura a Vicenza e a staccarsi progressivamente dagli arabi per attingere le sue fonti direttamente all’origine, nei documenti in greco portati da Costantinopoli. È in questo clima che i pregiudizi nei confronti dei musulmani si fanno sempre più forti, con l’accusa di magia e di stregoneria e il rinsaldarsi dell’identificazione dell’Islam con il male assoluto. Caratteristico del periodo della riforma protestante, ad esempio, è il parallelo reciproco che cattolici e protestanti stabiliscono tra il rispettivo nemico e il musulmano turco. Come un secolo prima gli ortodossi, i protestanti innalzavano vessilli proclamando: "Meglio Turchi che papisti!". Eccezioni parziali a questo riguardo possono essere da una parte Nicolò Cusano, il grande umanista che studiò da vicino i testi dell’Islam, anche se per contraddirli, e l’altro gigante dell’epoca, Erasmo da Rotterdam, il quale, pur non ricusando per principio la crociata, affermava tuttavia che la guerra era in ogni caso una pazzia, anche quella contro gli "infedeli" e che i principi cristiani avrebbero fatto meglio a praticare la loro fede piuttosto che prendere le armi.

Ma è da segnalare anche un altro fatto che si verificò nel XVI secolo: la composizione, forse da parte di un cristiano passato all’Islam, di un opuscolo, chiamato Vangelo di Barnaba. Esso si presenta appunto come un vangelo, a bella posta omesso dai cristiani, che testimonierebbe la vera entità del cristianesimo. In esso si afferma a chiare lettere che Gesù non è affatto Dio ma solo un messaggero, che annuncia un altro messaggero che verrà dopo e che si identificherà con Muhammad. Tale opuscolo fa ancora parte attualmente della controversia tra cristiani e musulmani.

Con il secolo dei lumi comincia il vero e proprio distacco del dâr al-islâm dall’Europa, segnato da una profonda e progressiva decadenza dell’impero ottomano. Rimangono e si rafforzano però i pregiudizi, testimoniati anche in campo laico soprattutto da parte di Voltaire. Con Napoleone e la sua campagna nel Vicino Oriente comincia un moto di rinascita e di presa di coscienza da parte di intellettuali musulmani formati in Europa. Il resto è storia dei nostri giorni, poiché sappiamo bene che siamo figli, lo vogliamo o no, del secolo scorso.

Vorrei concludere con le pagine finali del libro di Cardini: «Oggi, un’Europa politicamente non più al centro del mondo, finanziariamente ed economicamente grande potenza ma non ancora provvista di vere istituzioni unitarie e ancora incapace di esprimere una politica internazionale e una linea diplomatica autonome rispetto "all’alleato" americano, appare indecisa e ambigua di fronte ai governi e ai popoli del dâr al-islâm. I suoi rapporti con gli Stati Uniti d’America sembrano condizionarne la libertà e autonomia quanto d’azione quanto di giudizio nei confronti di paesi come Iran, Irak, Libia; mentre la sua opinione pubblica appare ancora molto poco informata e scarsamente sensibile alle molte articolazioni religiose e culturali del mondo islamico, rispetto alle quali le schematiche distinzioni in "laici" e "integristi" (o analoghi poco precisi aggettivi) appaiono del tutto inadeguate. L’informazione scarsa e di mediocre qualità, che solo una martellante pratica massmediale fa sembrare al contrario abbondante e capillare, si sposa al permanere o addirittura al grottesco rinnovarsi di antichi pregiudizi che, riguardo all’Islam, si giunga a una visione serena e concretamente flessibile delle cose.

Il continente europeo è inoltre oggetto di un nuovo "assalto" islamico che ha tuttavia caratteri paradossali. I musulmani che in Europa giungono, legalmente o meno, di solito in cerca di lavoro e di sistemazione personale e familiare, hanno spesso una cultura religiosa molto elementare: ma, al tempo stesso, tale cultura è il loro unico strumento d’identità e di autocoscienza. Al tempo stesso, i credenti islamici in Europa alla fine del XX secolo si trovano in una situazione del tutto nuova sotto il profilo storico: è la prima volta che gruppi consistenti di musulmani si trovano a vivere fuori dal dâr al-islâm, quindi in terre che non conoscono la sharî‘a come legge fondamentale e usuale. Al disagio consistente nel vivere in una posizione minoritaria, si aggiungono la tensione causata dalla propaganda e in qualche misura dall’attività anche terroristica dei gruppi di solito definiti "fondamentalisti" e il problema obiettivamente rappresentato dal crescere – anche grazie a molti convertiti europei – delle comunità musulmane che ormai in molti casi ottengono forme di riconoscimento.

La "terza ondata" islamica non ha quindi allargato i confini del dâr al-islâm: ma deve confrontarsi con un’Europa, a sua volta in una fase di delicata ridefinizione di se stessa, forte ma disomogenea sul piano economico-sociale, non ancora caratterizzata da chiarezza di scelte su quello politico, incerta su quello dell’identità culturale. "L’Islam sarà ciò che ne faranno i musulmani", ha detto l’egiziano Fuad Zakaria. Ma anche l’Europa sarà quello che gli europei sapranno farne. Un’Europa in cui aumentano di giorno in giorno i cittadini e i residenti che seguono la legge del Profeta" (Cardini, Europa e Islam, 314-315).