Le Leggi delle XII Tavole

La promulgazione delle leggi delle Dodici Tavole, per opera degli appositi decemviri legibus scribundis, risale agli anni 451-450 a.C. Pur essendo improntate a princìpi di rigido conservatorismo, esse furono una conquista per i plebei, perché la loro fissazione per iscritto toglieva l'arbitrio delle decisioni ai giudici patrizi, che prima erano gli unici depositari del diritto consuetudinario, tramandato oralmente. Anche se il passaggio dalla monarchia alla repubblica aveva posto le basi per una più larga partecipazione popolare alla vita politica, il patriziato continuava a controllare le principali magistratu­re. Solo nel V secolo, la plebe cominciò a organizzarsi, ponendo fine dopo lunghe lotte al monopolio dei patrizi, e avviando il passaggio della società a una organizzazione di tipo statuale: un processo che potrà dirsi compiuto proprio con la conquista di leggi scritte.

Le leggi delle Dodici Tavole rimasero il punto di partenza e il fondamento dell'intera legislazione romana: malgrado l'indubbio influsso greco, esse rispecchiano in massima parte un'autentica tradizione romana. Con i loro periodi brevi e secchi, caratterizzati da frequenti scambi e omissioni di soggetto e dal succedersi rigoroso degli imperativi futuri, esse costituirono anche un importante modello stilistico di lingua giuridica, dal tono solenne e arcaico: Cicerone attesta che venivano imparate a memoria nelle scuole. Le tavole di bronzo originali sono andate perdute, ma il loro contenuto può essere in gran parte ricostruito tramite le numerose citazioni dei giuristi.

 

 

L'esordio

Il celebre esordio della prima tavola, che ogni Romano sapeva a memoria, sanciva l'obbligo per tutti i cittadini di sottostare alla legge e di comparire in tribunale se convocati, sotto pena dell'arresto. Si noti l'estrema concisione dello stile giuridico, di cui le Dodici Tavole rimarranno un modello di riferimento. I soggetti sono sempre sottintesi, anche se cambiano in continuazione, e il carattere prescrittivo del testo è sancito dall'accumularsi degli imperativi futuri, tipico delle formule di legge.

 

Si in ius vocat, ito. Ni it, antestamino. Igitur em capito. (I, 1)

Se [qualcuno] chiama in giudizio [un altro], [costui] ci vada. Se non ci va, vengano presi dei testimoni. E poi lo si arresti.

 

 

 

II problema dei debiti

Uno dei più grossi problemi nelle società antiche era quello dei debiti che i cittadini più poveri contraevano nei confronti dei più ricchi. Dato il carattere estremamente conservatore delle leggi delle Dodici Tavole, esse prescrivevano per il debitore insolvente una pena di morte orrenda, che però doveva servire soprattutto da spauracchio: per il creditore era più conveniente vendere come schiavo il debitore, recuperando così un po' di denaro.

 

Tertiis nundinis partis secanto. Si plus mimnusve secuerunt, se fraude esto. (III,6)

Alle terze nundine [= dopo ventiquattro giorni], si tagli il suo corpo a pezzi. Se le parti saranno più o meno del numero dei creditori, ciò non sia considerato frode.

 

 

Patria potestas

Il potere del padre sui figli (patria potestas) era assoluto: poteva metterli a morte o venderli come schiavi. In questo caso, se poi il padrone liberava lo schiavo, questi tornava sotto il potere del pater, che poteva venderlo ancora, con la sola limitazione espressa dalla legge seguente.

 

Si pater filium ter venum duit, filius a patre liber esto. (IV, 2)

Se il padre ha posto in vendita per tre volte il figlio, il figlio sarà libero dal padre.

 

 

Disposizioni testamentarie

Un ruolo importante avevano le disposizioni testamentarie. Esse dimostrano la prevalenza dei parenti di parte paterna. Tutta la cultura romana appare infatti caratterizzata da un sistema di parentela di tipo patrilineare, cioè un sistema in cui il figlio acquista tutte le caratteristiche di condizione sociale del padre.

 

Si intestato moritur, cui suus heres nec escit, agnatus proximus familiam habeto. Si agnatus nec escit, gentiles familiam habento. (V, 4)

Se uno muore senza aver fatto testamento e non c'è un erede, il patrimonio vada al più vicino agnato. Se non c'è un agnato, il patrimonio vada agli altri parenti.

 

 

Diritto penale

La tavola VIII si occupava dei delitti. Accanto a reati che vengono tuttora puniti dal codice penale, troviamo però menzionati dei torti che oggi consideriamo semplici curiosità folcloriche, come gettare il malocchio con formule magiche o come il furto delle messi operato sempre per mezzo della magia.

 

qui malum carmen incantassit... (VIII, 1a)

chi avrà gettato il malocchio con formule magiche...

 

qui fruges excantassit... (VIII, 8a)

chi avrà rubato le messi con arti magiche...

 

Nell'ambito delle controversie per danni subiti dai privati, valeva la legge «occhio per occhio», tipica delle legislazioni arcaiche.

 

Si membrum rupsit, ni cum eo pacit, talio esto. (VIII, 2)

Se [qualcuno] ha rotto un membro [a un altro], se non si accorda con l'offeso, si applichi la pena del taglione.

 

La protezione della proprietà privata era assoluta: il ladro colto in flagrante poteva essere ucciso anche se disarmato.

 

Si nox furtum faxit, si im occisit, iure caesus esto. (VIII, 12)

Se [un ladro] di notte commette un furto, e se [il padrone di casa] lo uccide, l'uccisione sia considerata legittima.

 

Nella normativa che regolava le perquisizioni, possiamo cogliere un dettaglio che risponde ad esigenze culturali molto sentite nella società romana. L'accusato, e soprattutto la sua casa, avevano diritto a precise garanzie. Da un lato, bisognava garantire che chi effettuava la perquisizione non introducesse apposta degli oggetti, per poi poter formulare false accuse: per questo doveva entrare quasi nudo, con un semplice perizoma (licium). D'altro lato, però, bisognava evitare che si verificassero imbarazzanti contatti visivi con le donne della famiglia: per questo egli doveva nascondere la faccia con un piatto (lanx). La scena doveva essere nel complesso piuttosto singolare.

 

Lance et licio. (VIII,15)

Con un piatto e un perizoma.

 

La potenza delle casate nobiliari era basata sul clientelismo. Il patronus nobile offriva un patto di fides «fiducia» ad un cliens povero, offrendogli appoggi economici e raccomandazioni in cambio del sostegno politico e di vari servizi. Il venir meno alla fides era considerato una colpa gravissima, anche per il patronus. La pena di essere dichiarato sacer («sacro alle divinità infernali») equivaleva alla pena di morte, in quanto la persona in questione poteva essere uccisa impunemente da chiunque.

 

Patronus, si clienti fraudem fecerit, sacer esto. (VIII, 21)

Se un patrono avrà commesso una frode contro un suo cliente, sia consacrato alle divinità infernali.