LA STORIA DELLA LINGUA LATINA (in rosso i collegamenti)

 

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la lingua come guida per capire la cultura

 

Tra i modelli culturali che condizionano la vita dell'uomo, un posto centrale va riconosciuto naturalmente alla lingua. Il patri­monio lessicale di una data lingua costituisce infatti un deposito prezioso di significati culturali che si sono stratificati nei secoli. Dunque, dallo studio della lingua è possibile trarre innanzitutto alcu­ne informazioni storiche: analizzando la forma e il significato delle parole con il metodo storico-comparativo è possibile ricostruire entro certi limiti la storia più remota di una lingua.           

le origini indoeuropee della lingua latina

 

 

 

Comparando il latino con altre lingue antiche e moderne possiamo perciò affermare che si tratta di una lingua indoeuropea, come la mag­gior parte delle altre dell'Italia antica (ma non l'etrusco). Della fami­glia linguistica indoeuropea fanno parte numerose altre lingue extra­italiche: il greco, l'ittita, l'armeno, le lingue arie (indo-iraniche), le lingue germaniche, celtiche, baltiche e slave. Dunque, è ipotizzabile che in un'epoca assai remota (fra il terzo e il secondo millennio a.C.) i progenitori dei Latini risiedessero, come gli altri popoli indoeuropei, a nord delle Alpi, in una regione compresa fra l'Europa centrale e l'Asia. Il vocabolario delle istituzioni politico-religiose è comune a quasi tutta l'area indoeuropea: ad esempio il latino rex corrisponde al celtico rix (presente anche in nomi composti come Orgeto-rix) e all'an­tico indiano raja; il latino deus al celtico dia, all'antico indiano devas, all'antico nordico tivar e al lituano dievas.

l'indoeuropeo: concetto linguistico e non etnico

 

 

Bisogna tuttavia sottolineare che l’indoeuropeo è un concetto esclusivamente storico-linguistico: non è mai esistita una “lingua in­doeuropea”, ma solo un insieme di dialetti, caratterizzati da un siste­ma fonetico comune e da tratti analoghi, ma assai differenziati, nella morfologia, nella sintassi e soprattutto nel lessico. E tantomeno vi fu un “popolo indoeuropeo” (o peggio, una “razza indoeuropea”: la fami­gerata "razza ariana" dei nazisti): parentela linguistica non implica necessariamente parentela etnica; è frequente, ieri come oggi, il feno­meno della "affinità acquisita" da parte di popoli diversi che per con­tiguità geografica parlano lingue affini o addirittura la stessa lingua.

le lingue dell'Italia antica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'importanza del latino nell'Italia antica si afferma solo gradata­mente. Alle origini il latino è solamente la lingua di Roma, una picco­la città circondata da una serie di centri minori (Lanuvio, Preneste, Tivoli) nei quali si parlavano dialetti latini, o comunque affini al lati­no (il falisco: lingua dell'antica città di Falerii). Già a pochi chilometri da Roma, si parlavano lingue molto diverse: l'etrusco e soprattutto il gruppo indoeuropeo delle lingue italiche, con l'umbro a nord e l'osco a sud fino all'attuale Calabria. Nell'Italia settentrionale si parlavano altre lingue indoeuropee come il ligure, il gallico e il venetico. Il greco era diffuso nelle numerose colonie della Sicilia e della Magna Grecia. Fino a tutta l'età repubblicana, la situazione linguistica dell'Italia ri­mase molto variegata: il plurilinguismo era una condizione comune, e i primi autori della letteratura latina (ad esempio Ennio e Plauto) pa­droneggiavano latino, greco e osco.

 

Distribuzione delle lingue nell'Italia antica

 differenze diacroniche

 

 

Oltre alla variegata situazione regionale, bisogna ricordare che lo stesso latino di Roma non fu una lingua sempre uguale a se stessa, ma presentò forti differenze diacroniche e sociolinguistiche. Dal punto di vista diacronico si suole distinguere tra il latino preletterario (la lin­gua delle iscrizioni fino al III sec. a.C.), il latino arcaico (dalle origini della letteratura fino a tutto il II sec. a.C.), il latino classico (I sec. a.C.), il latino augusteo (principato di Augusto), il latino imperiale (fino al II sec. d.C.), e infine il latino tardo (fino al V sec. d.C.).

 differenze sociolinguistiche

 

 

 

Ma anche all'interno di una medesima fase cronologica vi sono forti differenziazioni sociolinguistiche: la lingua delle classi sociali più istruite si differenzia dalla lingua del popolo semianalfabeta (il latino volgare). Inoltre, la lingua letteraria, specialmente la lingua poetica, è fortemente stilizzata rispetto alla lingua d'uso della conversazione quotidiana. In uno stesso periodo cronologico (ad esempio quello proprio del latino classico), possiamo trovare dunque campioni di lingua molto diversa, come ci si può rendere conto accostando un carme di Catullo, una lettera di Cicerone e un brano del Bellum Hispaniense, scritto da un ufficiale incolto dell'esercito cesariano. Lo studio della letteratura latina ci porrà dunque a contatto con una lingua molto più varia e flessibile di quanto non lascino immaginare le rigide norme delle grammatiche scolastiche.

LA SCRITTURA

 
l'alfabeto fonetico

 

 

 

 

 

 

L’alfabeto fonetico è una grande invenzione fenicia, avvenuta ver­so la fine del II millennio a.C. Essa presuppone una raffinata capacita di riflessione sul linguaggio umano: la capacità cioè di scomporre il parlato nei suoi costituenti minimi (quelli che i linguisti chiamano fonemi), per associare poi ad ogni fonema un segno grafico. Si tratta cioè di capire che due parole come pane e cane si differenzia­no tra loro solo per un'unità minima (il fonema /p/ opposto al fonema /k/), che non ha in sé alcun significato, ma ha solo la funzione di distinguere il significato. L'alfabeto fenicio si differenzia così dai siste­mi scrittorii delle grandi civiltà orientali, che non erano andate al di là della semplice constatazione che ad ogni parola corrisponde un signi­ficato. Le grafie geroglifiche e cuneiforme erano infatti in origine siste­mi di tipo pittografico (ogni segno grafico era un'immagine per desi­gnare un oggetto), e successivamente sillabici (poiché alcuni nomi d'uso comune erano costituiti da una sola sillaba, si fece corrisponde­re a ogni segno grafico una sillaba). L'economia del numero di segni e la semplicità della forma dell'alfabeto fonetico fenicio decretò il suo immediato successo e la sua rapida diffusione, in Grecia e poi in tutto il Mediterraneo.

 
la mediazione etrusca

 

 

L'alfabeto greco giunse a Roma assai presto, già nell'VIII secolo a.C., attraverso la mediazione etrusca, dalle colonie greche d'occidente (particolarmente vicina era la città campana di Cuma, colonia calcide­se). Il processo di acculturazione greca a Roma era iniziato dunque assai prima della nascita della letteratura, e non ad opera di intellet­tuali, ma di mercanti e artigiani: la scrittura si diffuse nei porti e nei mercati, prima ancora che nelle scuole.

 
alfabetizzazione e oralità

 

 

 

Il processo di alfabetizzazione, come tutte le grandi trasformazioni intellettuali, fu inizialmente molto lento. Il carattere fondamentale della cultura latina arcaica è infatti, come avviene ancor oggi in altre società d'interesse antropologico, l'oralità. Oralità della cultura non significa naturalmente assenza completa della scrittura. Ad esempio, in Grecia, nell'età micenea, la scrittura era largamente usata per scopi amministrativi (inventari di merci: le famose tavolette micenee), ma non per registrare i poemi degli aedi. Similmente, nella Gallia del I secolo a.C., Cesare attesta l'uso della scrittura con caratteri greci per i documenti pubblici e privati, ma non per le formule religiose, che i sacerdoti (i Druidi) si tramandavano oralmente.

 
la cultura orale

 

 

 

 

 

 

 

Anche nella Roma più arcaica, dunque, la scrittura era presente fin dalle origini, ma era limitata ad usi pratici, non letterari. La cultura veniva tramandata oralmente: la formazione di un uomo "colto" era basata essenzialmente sulla conversazione con altri uomini e sulla ri­flessione personale. Tutto ciò rendeva la cultura qualcosa di vivo e attraente: una forma di saggezza, non di erudizione. Il filosofo greco Platone, in un celebre passo del Fedro (275d), afferma che il discorso scritto riproduce solo malamente il discorso parlato, come un quadro dipinto nei confronti della vita reale. Un libro non può infatti rispon­dere alle domande che ognuno si pone in maniera diversa nel corso della lettura, e si espone anzi a mille pericoli di fraintendimento. Al contrario, il discorso orale dispone sempre di un "padre" (colui che lo pronunzia), al quale ci si può rivolgere per chiedere maggiori informa­zioni: e che, in generale, è "responsabile" del discorso stesso. La cul­tura orale, insomma, è qualcosa di più vivo e autentico rispetto alla cultura scritta. Anche le modalità espressive ne vengono fortemente influenzate, perché l'oralità della cultura implica necessariamente uno stile formulare, fitto di ripetizioni, di allitterazioni, di tutte le figure foniche che si imprimono nella memoria facendo leva sulla se­ducente magia dei suoni.

 
vantaggi della scrittura

 

 

 

 

 

 

 

È soprattutto importante ricordare che la scrittura produce grandi trasformazioni nel mondo della cultura e determina un vero e proprio cambiamento della mentalità collettiva. In primo luogo, essa permette la conservazione e l'accumulo delle informazioni in misura tale da superare il limite della memoria umana. In una cultura orale, la me­moria collettiva coincide con la memoria fisica delle persone più sag­ge, degli anziani o dei cantastorie. Non è possibile controllare l'atten­dibilità dei dati e non si può tornare indietro ad analizzare il discorso. Ma anche sul piano artistico, la scrittura funziona da straordinario moltiplicatore creativo: la composizione si avvale della possibilità di consultare contemporaneamente vari testi, e soprattutto di rivedere, correggere, limare la composizione. Riprendendo e rovesciando il di­scorso di Platone, è evidente che il discorso scritto ha l'indubbio van­taggio di poter essere recepito anche in assenza dell'autore: il rapporto comunicativo è certo più freddo, ma i suoi orizzonti si ampliano in maniera vertiginosa; bene o male, lo stesso Platone può ancor oggi comunicare un po' della sua sapienza, anche a noi che non l'abbiamo conosciuto. La cultura scritta rappresenta dunque una vera e propria rivoluzione culturale, di cui per molti aspetti l'odierna rivoluzione informatica è solo un affinamento e una prosecuzione: il passaggio decisivo fu quello che avvenne dalla cultura orale alla cultura scritta, con il nascere di una nuova "ragione grafica".

 
 

LE PIÙ ANTICHE ISCRIZIONI

 

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oscillazioni scrittorie

 

 

 

 

Dato il carattere preminentemente orale della cultura delle origini, le più antiche testimonianze scritte della lingua latina sono iscrizioni a fine essenzialmente pratico. Nelle prime iscrizioni si nota inoltre l'assenza di norme scrittorie consolidate: il verso della scrittura è a volte destrorso, a volte sinistrorso, a volte bustrofedico, cioè destrorso e sini­strorso alternato (letteralmente: «girando come i buoi quando arano»), e in alcuni casi i caratteri sono ancora molto simili a quelli dell'alfabeto greco. Una traccia evidente dell'intermediazione etrusca è data dalla presenza, nell'alfabeto latino più arcaico, di un unico segno (c) per in­dicare la gutturale sorda (c) e quella sonora (g), perché l'etrusco non distingueva i due tipi di consonante. Il segno c per indicare il suono /g/ si è conservato in latino nelle abbreviazioni dei nomi propri Gaio (C.) e Gneo (Cn.). Solo più tardi fu introdotta nell'alfabeto latino la g, secondo la tradizione per iniziativa di Spurio Carvilio (III sec. a.C.).

 
cippo del foro

 

 

 

Il più antico documento epigrafico che si sia conservato è il cosid­detto Cippo del Foro (575-550 a.C.; chiamato impropriamente anche lapis niger, dalla «pietra nera» sovrastante il cippo) un blocco di tufo rinvenuto nel 1899 nel corso degli scavi della seconda pavimentazio­ne del Foro romano. La scrittura ha andamento bustrofedico, e si pos­sono leggere con sicurezza solo alcune parole, come sakros (la forma da cui deriva il latino classico sacer), esed (= esset), recei (= regi). È probabile che il cippo facesse parte di un piccolo santuario dedicato a Vulcano, e che il testo segnalasse l'esistenza di una zona sacra e conte­nesse una formula di maledizione contro chi l'avesse violata.

 
lapis satricanus

 

 

 

Un'altra iscrizione della fine del VI secolo, di scoperta più recente (1977), è il Lapis Satricanus «pietra di Sàtrico», dal nome dell'antica città di Satricum, vicino ad Anzio, dove è stata ritrovata nel corso degli scavi del tempio della Mater Matuta. Il testo frammentario con­tiene la dedica di un dono votivo a Marte (di cui attesta la forma raddoppiata Mamartei = Marti, che si ritrova nel carmen Arvale), e riporta il nome di un certo Publio Valerio, forse proprio Publio Valerio Publicola che fu il primo consul suffectus «console supplente» della repubblica, in sostituzione di Collatino nel 509.

 
vaso di Dueno

 

 

 

Un altro testo arcaico, questa volta di carattere privato, è l'iscrizione del cosiddetto Vaso di Duenos, anch'essa del VI secolo e ritrovata a Roma, nella valle tra il Quirinale e il Viminale, nel 1880. Nell'espressione Duenos med feced si credette inizialmente di interpretare il no­me dell'artigiano creatore del vaso, mentre oggi si preferisce interpre­tare bonus me fecit «mi ha fabbricato una persona onesta». L'interpre­tazione è tuttora controversa, ma probabilmente si tratta di istruzioni per l'uso del contenuto, probabilmente una pozione magica per con­quistare l'amore di una ragazza.

 
cista ficoroni

 

 

 

Un altro esempio è la Cista Ficoroni, dal nome dell'antiquario sette­centesco Francesco Ficoroni, che la scoprì in un sepolcreto a Preneste: si tratta di uno splendido cofanetto portagioielli cilindrico in bronzo, cesellato con scene mitologiche, risalente al IV secolo a.C. L'iscrizione sul coperchio ci dice che un artista di nome Novios Plautios la fabbri­cò a Roma e che una matrona di nome Dindia Macolnia la donò alla figlia. Iscrizioni di questo tipo, incise su oggetti d'uso quotidiano, e contenenti formule beneaugurali, o più spesso solo il nome dell'arti­giano, dell'acquirente, oppure un marchio di fabbrica, si ritroveranno sempre in gran numero lungo tutto il corso della storia e in tutta l'area di civilizzazione romana.

 
fibula prenestina

 

 

 

 

 

Naturalmente, la fissità delle formule e la conoscenza di un po' di storia della lingua latina rendono facile la fabbricazione di un'iscrizio­ne falsa. La poco nobile arte della falsificazione epigrafica e numisma­tica ha una lunga storia, che dal Rinascimento giunge fino alle "patac­che" dei nostri giorni. L'esempio più clamoroso, che per più di un secolo ha avuto il privilegio di comparire in tutti i manuali di storia della lingua e della letteratura latina, è la Fibula Prenestina. L'iscrizio­ne fu presentata nel 1887 da Wolfgang Helbig, un archeologo che fab­bricò e spacciò numerose opere false. La fibula dice che un tale Manio la fabbricò per un certo Numerio, ma la forma verbale usata non è il solito fecit (o feced, come nel vaso di Duenos), bensì fefaked: una vera delizia per le disquisizioni dei glottologi sul perfetto raddoppiato! Gli studi più recenti hanno però accertato che il metallo della fibula è stato trattato con una miscela di acidi (l'acqua regia, ben nota già nel­l'Ottocento), per farlo sembrare antico e che l'iscrizione è stata incisa con il bulino, uno strumento sconosciuto all'oreficeria arcaica.

 

Manios med fhefhaked Numasioi

Manius me fecit Numasio

 
Tra le prime espressioni non letterarie della cultura romana scritte in latino si possono annoverare anche:
  • i trattati (foedera), tra cui il più importante è quello tra Roma e Cartagine, conservatoci nella trascrizione greca di Polibio come testimonianza indiretta;

  • le leggi dei re (leges regiae), caratterizzate da un'impostazione sacrale: "Se un giovane percuote un genitore, e quel genitore ricorre alla giustizia, il giovane sia sacrificato agli dèi dei genitori";

  • le leggi delle XII Tavole, la più significativa conquista civile e politica rispetto all'oralità del sapere giuridico delle origini, incise su dodici tavole di bronzo esposte nel Foro romano;

  • i Fasti, ossia il calendario ufficiale, disciplinato e sancito dalle autorità religiose, diviso in dies fasti e nefasti a seconda che fosse concesso o meno di attendere agli affari pubblici.  Progressivamente la parola assume una accezione sempre più vasta per indicare non solo il calendario ma anche liste di magistrati e di eventi significativi;

  • gli Annales, ossia le registrazioni ufficiali, eseguite sulla base di un criterio annalistico, di informazioni di rilevanza pubblica;

  • i carmina, che comprendono le più antiche formule religiose e giuridiche in verso saturnio oppure formule consuetudinarie, giuramenti, precetti. I carmina sono produzioni a carattere religioso e rituale (Carmen Saliare, Carmen Arvale), a carattere popolare (Fescennini) e celebrativo (carmina triumphalia);

  • oltre alle iscrizioni viste sopra, ci sono anche le epigrafi funerarie  (il sepolcro degli Scipioni).

 

tratto da: M. Bettini (cur.), Nemora. Letteratura e antropologia di Roma antica, vol. I, La Nuova Italia, Firenze 2005