SCHOPENHAUER: DOLORE, PIACERE, NOIA

 

“La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra il dolore e la noia, passando attraverso l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere.”



Schopenhauer teorizza tre stati esistenziali :

il dolore: posta la Volontà quale essenza della realtà e poiché volere significa desiderare qualcosa che non si ha, lo stato di tensione continua che ne deriva genera sofferenza.

il piacere:  il godimento (fisico) e la gioia (psichica) è cessazione del dolore, scarico da uno stato preesistente di tensione, che ne è condizione indispensabile.

la noia: subentra quando viene meno l’aculeo del desiderio o il pungolo delle preoccupazioni

La concezione del piacere come cessazione del dolore era stata già sostenuta da Pietro Verri e da Leopardi. Schopenhauer, in uno scritto, cita esplicitamente Leopardi manifestando grande apprezzamento per “l’italiano che ha saputo rappresentare in maniera  profonda il dolore”.

Il dolore

Poiché la Volontà di vivere si manifesta in tutte le cose, il dolore non riguarda solo l’uomo ma investe ogni creatura. Tutto soffre: dal fiore che appassisce all’animale ferito, dal bimbo che nasce al vecchio che muore. L’uomo, tuttavia, soffre più d’ogni altra creatura  perché è dotato di maggiore consapevolezza ed è destinato a sentire in maniera più vivace e distinta il pungolo della Volontà. Fra tutti gli uomini, poi, il genio sperimenta la più acuta sofferenza: “chi aumenta il sapere moltiplica la sofferenza” (Qohelet 1, 18).

Anche a questo proposito è evidente l’analogia con il pensiero leopardiano. Il poeta italiano, infatti, scriveva nel suo Zibaldone di pensieri: “Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà  sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente ma tutti gli  animali. Non gli animali soltanto ma tutti gli esseri al loro modo. Non  gl’individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi”. (Pensieri LXVIII).

La noia

Se finora si è rintracciata una sostanziale analogia fra la filosofia leopardiana e quella schopenhaueriana, le due linee di pensiero divergono a proposito della concezione della noia. Per Leopardi, infatti, la noia è prova della grandezza e della nobiltà dell’uomo, in quanto segno di sproporzione tra la nullità e l’insufficienza delle cose  terrene e la grandezza del nostro desiderio.

“La noia è in qualche modo il più sublime dei sentimenti umani: considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole meravigliosa dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio…”