Il libro del Qohelet

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1. Ragioni di interesse

Sono molteplici: una lettura scettica e pessimistica della realtà che risale a oltre 2000 anni fa, degna di competere con altre testimonianze antiche e moderne (il libro è stato definito, non a caso, il Leopardi dell'Antico Testamento); soprattutto il fatto che tale libro “scandaloso” sia stato accolto nella Bibbia ebraica, il libro delle assolute certezze di Dio; si riscontra una calda partecipazione dei moderni per “la struggente malinconia di Qohelet” (Ceronetti) ed una ricca storia degli effetti (“I mille Qohelet”).

 

2. Identità

Opera sfuggente, enigmatica, eppure così coinvolgente, perché toglie i veli della faciloneria e fa sentire per intero la fatica di vivere. La questione centrale è la vita, come è proprio dei libro sapienziali, vista nel confronto tra ciò che dice l'esperienza e ciò che dice la fede. G. F. Ravasi raccoglie il libro in 4 enigmi.

2.1 L’autore. È chiamato Qohelet («colui che raduna l'assemblea» o ecclesia, detto perciò ecclesiaste, o più semplicemente predicatore). Parla in prima persona sotto il nome del re per eccellenza Salomone, per dare ancora più realismo alla denuncia della vanità (1,12-2,17). In realtà è un anziano, un intellettuale che sa le vicende del sapere, del potere (fa un’analisi sociale eccellente), del buon vivere, ma è ironico e amareggiato, un credente, ma realista, uno che vorrebbe avere tutte le carte in mano, quelle ultime, per dare un senso globale alla vita, che gli sfugge, in mille frammenti. Non rinuncia alla fede, ma non gli basta quella di cui dispone (la teologia tradizionale): “Lontano è il reale ed estremamente profondo. Nessuno ne verrà a capo”(7,24); “Dio ha un senso a tutto…Negli uomini Dio ha messo il desiderio di conoscere il mistero del mondo, ma non sono capaci di capire quel che Dio ha fatto dalla prima all'ultima cosa” (2,11).

2.2 Il libro. Sono 12 brevi capitoli. Due annotazioni tra le altre: un procedimento fatto di incongruenze e contraddizioni, dove una volta si afferma ciò che poi si nega (es. la gioia di vivere) perché la vita è così; quanto alla struttura non ne esiste una, si ricorre al genere “testamento regale” (= esperienza personale di vita di un saggio importante, un “re”); oggi si fa il paragone con i Pensieri di Pascal, centrati sull'esistenza, ma a sé stanti, con florilegi di rilevazioni e riflessioni libere nell'unità di stile, di soggetto, di tema; lo stile del disincanto.

2.3 L’interpretazione

a.    scetticismo pessimista: un sapiente disincantato, un maestro del sospetto, impotente testimone della crisi dei valori tradizionali;

b.    aurea mediocritas, un epicureismo intelligente, ne quid nimis (7,15-18);

c.    ottimismo realista, di invito a godere ciò che ci è dato (2,24-25; 3,12-13.22; 5,17; 8,15; 9,7-9; 11,9-12,1), pur affermando che questa gioia manca di solidità, più ripiego per non soffrire di più, che non soffrire affatto.

2.4 Il messaggio

A. La vita è vanità, considerata per nuclei di esperienza: strutture sociali (ingiustizia), onestà e rettitudine (malvagità), avvenire (destino), vita (morte), giovinezza (vecchiaia), uomini (animali), la sapienza (stoltezza), gioia (dolore). Una cosa vale praticamente il suo contrario, anzi “molta sapienza, molta afflizione; più si sa, più si soffre” (1,16-18). Un'analisi razionale della vita non giunge a trovarvi un senso che regga: tutto è “vanità”.

B. Tutto è sotto il destino che è stabilito da Dio. Qohelet non è ateo, sa che vi è qualcosa che regna misteriosamente come una regola in tutti gli avvenimenti: lo chiama il tempo (ogni cosa a (ha) suo tempo) (3,1-8.17), immodificabile (9,11s) (“nulla di nuovo sotto il sole”, 1,10), cui però sta dietro Dio, che ha in mano le scadenze. Il mondo è dominato e preso a carico dalla libera azione di Dio (3,14).

C. L’uomo non può conoscere l’”opera di Dio” nel mondo (= quello che Dio ha stabilito, il suo “tempo”). Per Qohelet il vero tormento della vita umana non sono le contrarietà in sé; è piuttosto la frontiera invalicabile di non riconoscere “l'opera di Dio”, il “tempo” di Dio, e non riesce ad accettarla perché appare così lontana dalla realtà del mondo. Non vi è più apertura e novità messianica. Ma allora perché vivere? Siccome è pur sempre “Dio che crea il giorno buono e il giorno cattivo”(7,14), all'uomo non resta che tenersi preparato per il bene che Dio è disposto a garantirgli, ed accoglierlo con perfetta disponibilità: “Nel giorno della felicità, sii felice!”(7,14).

D. qohelet nella dinamica della ricerca sapienziale

Base comune: Dio esiste ed agisce sovranamente nel mondo. La ragione poggiandosi su Dio (fede) trova fiducia nella vita. Ma di quale idea di Dio si tratta?

Saggi antichi: Dio benedice i buoni e castiga gli empi. Nell'esperienza si manifesta il pensiero di Dio.

Giobbe: Questo Dio è ancora il mio Dio? L'esperienza rimanda ad un Dio che è oltre, ma per me.

Qohelet: Dio è incomprensibile. L'esperienza rimanda ad un Dio che è oltre, e che fa da sé

Ci troviamo di fronte ad una “debolezza” di Dio, ma anche ad una debolezza della ragione: che cosa può la ragione nei confronti di Dio e cosa Dio concede alla ragione, all'esperienza?

 

5. In che senso Qohelet è Parola di Dio?

a - linea tradizionale ascetica (Agostino; Girolamo; Imitazione di Cristo): lezione sul contemptus mundi.

- linea moderna: “maestro di sapienza non contestatore distruttivo, bensì critico, non di Dio e della vita, ma di tutte le dottrine, ideologie, pratiche, usi e credenze con cui gli uomini si illudono di sapere la verità una volta per sempre e in maniera esaustiva. E' per una fede critica e intelligente, non fanatica né puramente sentimentale. Invita ad essere sempre in stato di ricerca, senza mai credersi arrivati” (A. Bonora)

b - Ancora più in profondità, Qohelet aiuta a capire il mistero dell'incarnazione della Parola di Dio: si fa carne, sofferenza, ansia, domanda, persino dubbio.

“Il silenzio di Dio e della vita non è necessariamente una maledizione, ma è una paradossale occasione di incontro per strade sorprendenti anche se difficili e non comprensibili logicamente. Qohelet è la testimonianza di un Dio povero che ci è vicino non in virtù della sua onnipotenza, ma della sua incarnazione ed è in questa fratellanza che ci si salva e si rivela…Oseremmo dire che Qohelet ci insegna che anche nella crisi, nel silenzio stesso di Dio si può nascondere paradossalmente una sua presenza, una sua epifania segreta, una sua parola rivelatrice. Dio ci fa credere in Lui nonostante Lui stesso” (G.F. Ravasi).

c - Ne deriva la grande lezione pratica: lasciare a Dio di essere se stesso fidandosi delle sue promesse; vivere la fede entro il realismo di una condizione umana dolorosa e contraddittoria. La crisi della fede può diventare grazia di Dio di vivere la fede nella crisi; si apre un contatto prezioso con l'anima dell'uomo moderno, tra il dubbio (Cartesio), il delirio di onnipotenza (Nietzsche), la resa di adulti a Dio (Bonhoeffer).

 

Bibliografia: A. Bonora A., Qohelet, la gioia e la fatica di vivere, Queriniana, Brescia 1987; G. F Ravasi, Qohelet, Paoline, Milano, 20013.