Cartesio (1596-1650)
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lettere:
gli studi umanistici, basati nei primi anni su grammatica, storia,
poesia, retorica. e negli ultimi su filosofia e scienze. [5]
chiaramente
e distintamente:
sono due termini-chiave del pensiero di Cartesio: devono essere accettate solo le idee che si presentano alla mente in modo
immediatamente evidente, senza che niente rimanga in ombra (chiareza),
e ben definite, separate le une dalle altre (distinzione). [6]
dividere...
risolverlo:
è la regola dell'analisi, per cui un problema complesso può essere più
facilmente risolto se viene scomposto in elementi semplici (parti
minori) e quindi intuitivamente evidenti. [9]
enumerazioni...
nulla:
bisogna infine ripercorrere tutti
i singolo passaggi svolti nell’analisi e nella sintesi,
in modo da abbracciarli contemporaneamente in unico sguardo e
controllarne la consequenzialità. |
Io
sono stato istruito nelle lettere[1]
sin dalla fanciullezza; e poiché mi si era fatto credere che con lo
studio avrei acquistato una conoscenza chiara e sicura di tutto ciò ch'è
utile alla vita, avevo un desiderio grandissimo d'imparare. Ma, appena
terminato quel corso di studi, dopo il quale si è di solito annoverati
fra i dotti, mutai interamente opinione: poiché mi trovai intricato in
tanti dubbi ed errori, che mi sembrava di non aver cavato altro profitto,
cercando di istruirmi, se non questo: di avere scoperto sempre più la mia
ignoranza. Eppure mi trovavo in una delle più celebri scuole d'Europa[2],
ove dovevo ritenere che se in qualche luogo del mondo esistevano uomini
dotti, erano lì. E vi avevo appreso tutto quello che gli altri vi
apprendevano; anzi, non contentandomi delle scienze che c'insegnavano,
avevo scorso tutti i libri, capitatimi fra le mani, che trattano delle
scienze più curiose e più rare. Di più, conoscevo i giudizi che gli
altri facevano di me, e capivo di non essere stimato inferiore ai miei
condiscepoli, sebbene ve ne fossero alcuni già destinati a occupare il
posto dei nostri maestri. Infine, il nostro secolo mi sembrava fiorente e
ricco di buoni ingegni quanto nessuno dei precedenti. Il che mi faceva
prendere la libertà di giudicare da me tutti gli altri, e di pensare che
non ci fosse al mondo una tale scienza, quale prima mi avevano fatto
sperare. Ecco
perché, appena l'età mi permise di uscire dalla tutela dei miei precettori,
abbandonai interamente lo studio, e risolsi di non cercare altra scienza
fuori di quella che potevo trovare in me stesso o nel gran libro del
mondo. Impiegai, dunque, il resto della mia giovinezza a viaggiare, a
vedere corti e uomini d'armi, a frequentare genti di altra indole e
condizione, a far tesoro di una diversa esperienza per mettere me stesso
alla prova nei casi che la fortuna mi offrisse e trarne, così, con la
riflessione, qualche profitto. Mi pareva, infatti, che avrei trovato
molto più di verità nei ragionamenti che ognuno fa riguardo agli
affari suoi, per i quali egli è punito subito se sbaglia, che non in
quelli di chi, chiuso nel suo studio, sta attorno a speculazioni di nessun
effetto pratico, salvo quello forse di renderlo tanto più vanitoso
quanto più esse sono lontane dal senso comune, e quanto più ingegno e
artificio egli ha dovuto impiegare per farle apparire verosimili. Ed io,
invece, avevo sempre un ardente desiderio d'imparare a distinguere il
vero dal falso per veder chiaro nelle mie azioni e camminare con sicurezza
nella vita. Vero
è che considerando i costumi degli altri uomini trovavo poco o nulla di
rassicurante: vi trovavo, anzi,
quasi altrettanta disparità di vedute quanta avevo riscontrata
prima tra le opinioni dei filosofi. Sì che il maggior profitto che ne
cavavo era nel vedere accolte e approvate da altri grandi popoli molte
cose che a noi sembrano stravaganti e ridicole, per cui imparavo a non prestar
troppa fede a nulla di cui mi si volesse persuadere soltanto con l'esempio
e l'abitudine. Mi venni, così liberando a poco a poco di molti errori,
che possono offuscare il nostro lume naturale e renderci meno capaci a
ragionare. Ma,
dopo di avere così impiegato alcuni anni a studiare nel libro del mondo
e a farne esperienza, presi un giorno la risoluzione di studiare anche in
me stesso, e d'impiegare tutte le forze del mio ingegno a scegliere il
cammino da seguire. Questo, a mio avviso, mi riuscì assai meglio che se
non mi fossi allontanato mai né dal mio paese né dai miei libri.
[...] Avevo
studiato un po' quando ero più giovane, tra le parti della filosofia, la
logica, e, tra le matematiche, l'analisi geometrica e l'algebra[3]:
tre arti o scienze, dalle quali speravo cavar qualche aiuto per il mio
disegno. Ma, nell'esaminarle, mi accorsi che m'ero ingannato[4].
[...] Bisognava,
dunque, che io cercassi un altro metodo, il quale, riunendo i vantaggi di
questi tre, fosse esente dai loro difetti. E come la moltitudine delle
leggi fornisce spesso una scusa all'ignoranza e al vizio, per cui uno
Stato è tanto meglio regolato quanto meno ne ha, ma rigorosamente
osservate; così, invece di quel gran numero di regole di cui la logica è
composta, pensai che ne avrei avuto abbastanza di queste quattro, purché
prendessi la ferma e costante risoluzione di non venir meno neppure una
volta alla loro osservanza. La
prima era di non accogliere mai nulla per vero che non conoscessi esser
tale con evidenza: di evitare, cioè, accuratamente la precipitazione e la
prevenzione; e di non comprendere nei miei giudizi nulla di più di
quello che si presentava così chiaramente e distintamente[5]
alla mia intelligenza da escludere ogni possibilità di dubbio. La
seconda era di dividere ogni problema preso a studiare in tante parti
minori, quante fosse possibile e necessario per meglio risolverlo[6]. La
terza, di condurre con ordine i miei pensieri, cominciando dagli oggetti
più semplici e più facili a conoscere, per salire a poco a poco, come
per gradi, sino alla conoscenza dei più complessi[7];
e supponendo un ordine anche tra quelli di cui gli uni non precedono
naturalmente gli altri[8]. L'ultima,
di far dovunque enumerazioni così complete e revisioni così generali
da esser sicuro di non aver omesso nulla[9]. Quelle
catene di ragionamenti, lunghe, eppure semplici e facili, di cui i
geometri si servono per pervenire alle loro più difficili dimostrazioni,
mi diedero motivo a supporre che nello stesso modo si susseguissero
tutte le cose di cui l'uomo può avere conoscenza, e che, ove si faccia
attenzione di non accoglierne alcuna per vera quando non lo sia, e si
osservi sempre l'ordine necessario per dedurre le une dalle altre, non
ce ne fossero di così lontane alle quali non si potesse arrivare, né
di così nascoste che non si potessero scoprire. |
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