Il romanzo del Novecento |
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Ma è bene se la coscienza riceve larghe ferite perché in tal modo diventa più sensibile a ogni morso. Bisognerebbe leggere, credo, soltanto i libri che mordono e pungono. Se il libro che leggiamo non ci sveglia con un pugno sul cranio, a che serve leggerlo? Affinché ci renda felici, come scrivi tu? Dio mio, felici saremmo anche se non avessimo libri, e i libri che ci rendono felici potremmo eventualmente scriverli noi. Ma noi abbiamo bisogno di libri che agiscano su di noi come una disgrazia che ci fa molto male, come la morte di uno che era più caro di noi stessi, come se fossimo respinti dai boschi, via da tutti gli uomini, come un suicidio, un libro deve essere la scure per il mare gelato dentro di noi. Questo credo. (Franz Kafka, lettera a Oskar Pollak del 27.I.1904)
Il romanzo moderno non si è formato nel quadro di una specifica letteratura nazionale, ma si è sviluppato con caratteristiche simili e problematiche corrispondenti nelle varie aree geografico-culturali dell'Europa. Ne possono pertanto essere considerati rappresentanti scrittori di varia origine come Marcel Proust, James Joyce, Franz Kafka, Robert Musil, Joseph Roth, Thomas Mann, Italo Svevo, Luigi Pirandello nelle cui opere si riflette la crisi storico-scientifica-culturale dell'epoca. Possiamo infatti constatare una stretta corrispondenza fra i contenuti e le forme di questo genere letterario e la situazione storico-politico-sociale-economica venutasi a configurare tra le due guerre. In particolare è la prima guerra mondiale ad influire sulla produzione letteraria, sia descritta come evento temuto ed incombente (ad esempio ne La marcia di Radetzky di Roth o ne La montagna incantata di Mann), sia come fatto in divenire o già avvenuto (nella Recherche di Proust o nella Coscienza di Zeno di Svevo). Questa guerra infatti si differenziava da quelle precedenti sia perché fu «mondiale» sia perché si rivelò molto più distruttiva e inumana delle altre a causa dei nuovi mezzi bellici dovuti al progresso della scienza e della tecnica (ad esempio i gas velenosi, gli aerei ed i bombardamenti). Il progresso della tecnica influì sulla crisi del romanzo come genere anche al di fuori dell'ambito della guerra: infatti contribuirono a far diminuire il numero dei lettori la diffusione del giornale, con la sua possibilità di portare notizie attuali, e l'invenzione del cinema muto con la maggiore immediatezza di comunicazione delle immagini. Di fronte alle nuove problematiche si rivelano ormai inadeguate le forme convenzionali dei vari sistemi letterari ed artistici, quindi anche quelle del romanzo. È opportuno evidenziare ora alcuni caratteri comuni a questo tipo di narrativa moderna.
1) Un primo elemento distintivo del romanzo moderno è costituito dall'abolizione della narrazione intesa nella maniera tradizionale: cadono cioè il racconto di avvenimenti concreti, la loro successione cronologica ed i nessi causali, quindi la coerenza della storia; la vita appare ormai illogica e casuale, quindi irraccontabile. La perdita della narrazione viene ricompensata tramite la capacità che ha il romanzo di penetrare spiritualmente la sua materia.
2) Ovvia conseguenza delle osservazioni precedenti è il radicale cambiamento del rapporto fra interiorità ed esteriorità: nel romanzo tradizionale fra questi due mondi vi era un rapporto di relazione che prendeva le mosse da un'iniziale frattura o contrasto fra il protagonista e la realtà esterna, per arrivare, attraverso la maturazione o la lotta, ad un diverso stadio finale di miglioramento. Ad esempio, nel «romanzo di formazione» il protagonista, mediante un lento processo evolutivo, arriva a conciliare le sue aspirazioni con i valori della realtà oggettiva in cui si trova a vivere. Così nel romanzo romantico lo scontro tra ideale e reale diviene drammatico e spesso si risolve con la sconfitta dell'eroe, che però ha pur sempre lottato per modificare la realtà (vedi Jacopo Ortis di Ugo Foscolo). Ora invece il dualismo tra questi due mondi diviene esasperato fino ad eliminare ogni contatto fra di essi: il personaggio si limita a registrare la realtà o a prenderne coscienza, la svalorizza e, ormai convinto di non poter intervenire a modificarla, si ripiega esclusivamente sulla propria interiorità. Anche nel romanzo ottocentesco si verificava questo processo di ripiegamento, che però portava a un potenziamento dello spirito e all'esaltazione dell'individuo; oggi invece il mondo interiore si svuota e si banalizza, e l'individuo si annulla. Si assiste quindi ad un procedimento diverso da quello dell'epopea che presupponeva una comunità nella quale l'individuo si realizzava: nel romanzo moderno la collettività è invece vista come una massa nella quale l'individuo scompare. L'interiorità inoltre viene ora osservata nei suoi aspetti banali e quotidiani, con lo stesso metodo con cui i naturalisti osservavano e descrivevano il «milieu», cioè l'ambiente esterno: in modo cioè analitico e particolareggiato, frantumandola nei suoi diversi aspetti.
3) I mezzi tecnici più adeguati per esprimere questa frantumazione della realtà interiore sono il monologo interiore ed il suo derivato, il flusso di coscienza (stream of consciousness), entrambi privi di una successione logica di pensieri e di nessi sintattici.
4) Il narratore, pur restando in posizione extradiegetica, non è più onnisciente: se si mette in primo piano, lo fa per evidenziare i suoi dubbi, le sue problematiche, in una visione personale e limitata della realtà; se invece si tira in disparte, lascia che gli eventi si verifichino limitandosi a registrarli senza commentarli.
5) Come il narratore, anche il personaggio va verso la dissoluzione: non vengono più descritti caratteri coerenti ed individualizzati come nel romanzo tradizionale, ma uomini comuni, «senza qualità», e dalla personalità indefinita e continuamente mutevole.
6) Altra caratteristica è il tema della malattia, continuamente presente nella finzione letteraria quale metafora della dissoluzione del personaggio. Questo motivo è apparso spesso con valore simbolico nella produzione artistica fin dal '400. Nell'800 poi la malattia, ed in modo particolare la tbc, viene considerata sì un flagello, ma anche l'equivalente della passione amorosa (vedi La signora dalle camelie e La traviata); inoltre la malattia diventava una giustificazione al desiderio dell'artista romantico di sottrarsi agli obblighi di lavoro della vita borghese, e dedicarsi così alla propria arte e all'affinamento dello spirito. Nella seconda metà dell'800, col diffondersi del positivismo, si inizia a rappresentare la malattia in maniera scientifica e clinica, come avviene nella descrizione degli effetti dell'avvelenamento di Madame Bovary. Ricordiamo inoltre che i naturalisti, in base al principio dell'ereditarietà, videro delle malattie soprattutto gli effetti sociali (Zola). Nel 900 è la nevrosi che viene assunta, come abbiamo detto, a simbolo della disgregazione interiore dell’intellettuale. Spingono a questa funzione metaforica della malattia vari motivi, come la scoperta e la diffusione della psicanalisi ed il fatto che molti intellettuali sono essi stessi malati. È questo un tema ricorrente nelle opere di Proust, Mann, Musil, Kafka, Svevo, Pirandello, ecc.
7) In questa prospettiva anche il tempo, che gioca un ruolo fondamentale, subisce notevoli trasformazioni. Nel romanzo tradizionale esso era visto oggettivamente, scandiva il ritmo delle azioni, la sequenza degli avvenimenti, stabiliva i nessi causali, comportava modifiche nei personaggi e nei fatti. Nel romanzo del '900 il tempo è interiorizzato, non c'è evoluzione nell'azione, ma stasi; non è più quindi il tempo meccanico degli orologi o dei calendari a interessare l'autore, ma quello soggettivo, vissuto individualmente, messo in primo piano dalla filosofia di Henri Bergson. Il tempo quindi non è più quantificato rispetto al suo scorrere oggettivo, ma rispetto alla «durata» che ha nella coscienza del singolo, al quale un'ora può anche sembrare un anno o viceversa. Così cade il rapporto di proporzione fra il tempo narrativo (quello che si impiega per leggere il libro e che è richiesto dalla voluminosità del testo) ed il tempo narrato (l'ambito temporale cioè in cui si svolge la vicenda): ad esempio l'Ulisse narra i pensieri di una sola giornata in 694 pagine!
8) Conseguenza del tempo vissuto soggettivamente è un altro aspetto tipico del romanzo moderno: la simultaneità, cioè la registrazione contemporanea di tutti i contenuti della coscienza, simultaneità che si sostituisce alla successione degli avvenimenti che caratterizzava il romanzo tradizionale. Sotto questo aspetto il tempo soggettivo del romanzo moderno viene inteso in modo diverso dalla durata bergsoniana: questa consiste in un fluire ininterrotto, quello nell'affiancare l'uno all'altro momenti di tempo svincolati dalla successione cronologica: ad esempio i ricordi di Proust o il flusso di coscienza di Joyce. L'annullamento del tempo meccanico si riflette anche sulla struttura sintattica della frase, che si frantuma nella esposizione “disordinata” dei momenti della coscienza, o si estende in misura esasperata per seguire il labirintico svolgersi dei pensieri. La disgregazione quindi della sintassi e dei modi di rappresentazione del romanzo moderno riflette il rapporto conflittuale dell'intellettuale con la realtà e la visione caotica, disgregata e incomprensibile che egli ha del mondo esterno. |