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  I CARATTERI DELL'ANTISEMITISMO MODERNO  
     
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Antisemitismo è termine problematico poiché proprio il concetto che esso esprime è la causa di buona parte delle violenze perpetrate contro gli ebrei, soprattutto dal tardo Ottocento. La parola in sé ha però un’origine abbastanza recente: è stata infatti coniata dallo storico tedesco Wilhelm Marr nel 1879. Il significato del termine è propriamente «una posizione antiebraica di tipo razziale» (Enciclopedia europea, Garzanti, Milano 1979); ciò del resto è desumibile anche dall’etimologia: la prima componente del vocabolo è infatti il prefisso greco "anti", che esprime qui l’idea di ostilità. Per quanto riguarda il “semitismo”, invece, la questione è più complicata. Nel termine, infatti, confluiscono due diverse concezioni della peculiarità ebraica e quindi della "diversità" dei giudei:

– nei primi decenni dell’Ottocento, infatti, la linguistica, ancora agli albori come vera scienza, elaborò l’idea (del resto ancora oggi ampiamente discussa) dell’origine delle lingue dell’Europa occidentale da due ceppi, quello indoeuropeo e, appunto, quello semitico;

– in seguito, proprio a partire da questa distinzione linguistica, cominciò a farsi strada la tesi secondo cui esistevano anche differenze razziali fra le popolazioni che parlavano diverse lingue. Anche nell’ambito delle differenze razziali possiamo distinguere due fasi: a) inizialmente, esse riguardavano comunque solo aspetti linguistici e religiosi; b) in seguito, la differenziazione si spostò anche sul piano più prettamente fisico.

 

1. Le matrici del pregiudizio

Nell’analizzare la storia dell’antisemitismo dopo la nascita di Cristo, e soprattutto di quello moderno, possiamo distingue tre fondamentali matrici dell’antisemitismo moderno.

 

a. Matrice teologica

L’antisemitismo moderno trova le sue origini, fra l’altro, in un atteggiamento proprio del cristianesimo già dai primi secoli: per buona parte degli aderenti alla nuova religione, l’ebreo era un elemento contaminante. Da qui i primi pregiudizi, che ebbero poi grande fortuna nei secoli a venire e causarono già le prime violenze (basti ricordare i massacri durante la peste del Trecento, di cui proprio agli ebrei venne attribuita la colpa). Inoltre, proprio in questo periodo inizia a fissarsi nell’immaginario collettivo il concetto dell’insuperabile diversità dell’ebreo.

 

b. Matrice socialista

Questo aspetto dello stereotipo, poi diffuso in tutta Europa, ha la sua origine in Francia (in Italia solo di riflesso) e, parzialmente, in Germania e Inghilterra. Gli elementi che lo costituiscono sono principalmente due:  

– il primo è il pregiudizio secolare che vuole gli ebrei particolarmente attaccati al denaro. Come si sa, quest’idea è in realtà priva di fondamento, anche se al giorno d’oggi non sono ancora del tutto esaurienti le varie teorie che cercano di spiegarne l’origine;

– il secondo momento coincide con la nascita, nel XIX secolo, del capitalismo moderno. Fino ad allora la principale modalità di produzione era stata quella agricola e, grazie anche all’intervento della Chiesa, l’idea di creare un guadagno da attività puramente finanziarie era stata eliminata o addirittura demonizzata. Da quel momento, invece, buona parte del popolo reagì all’incomprensione della nuova mentalità economica con la sfiducia e il sospetto; contemporaneamente, diversi teorici schierati proprio, più o meno dichiaratamente dalla parte dei lavoratori, identificarono proprio con l’ebreo il borghese improduttivo che si arricchisce con segrete manovre finanziarie sfruttando il lavoro altrui.

 

c. Matrice liberale

Nonostante l’accostamento dei due concetti possa sembrare addirittura ossimorico, cerchiamo di capire in che senso il liberalismo possa aver contribuito all’affermarsi dello stereotipo antisemita. Nel secolo dei lumi, buona parte degli intellettuali (anche se non tutti – ci basti l’esempio del Dictionnaire philosophique di Voltaire, in cui vengono fissati chiaramente molti dei contorni dello stereotipo moderno) aveva indicato chiaramente la necessità dell’emancipazione e dell’integrazione degli ebrei. Queste istanze furono accolte dalla Rivoluzione Francese, che contribuì poi a diffonderle anche nelle altre aree europee occupate dalle proprie truppe. L’attuazione di questi principi non sortì però, almeno in parte, gli effetti sperati. Non fu infatti possibile, come non lo sarà probabilmente mai, cancellare del tutto l’identità di cultura e tradizione di un gruppo, che era esattamente quel che si sarebbe voluto. Di conseguenza gli ebrei, che già erano stati disposti ad abbandonare le rivendicazioni nazionalistiche, non abbandonarono quelle usanze in cui ritrovavano la loro identità. Quando però, nel corso dell’Ottocento, si fece più forte il sentimento nazionale in Europa, la presenza di questo gruppo estraneo a quello nazionale (che, lo ricordiamo, è per definizione accomunato da lingua, usi e costumi) portò a percepire anche più fortemente la "diversità" dell’ebreo, che fece presto a diventare "costitutiva", passando dal piano sociale a quello somatico. Da qui, soprattutto in Germania, una serie di teorie e di pregiudizi che sfociano direttamente nel Mein Kampf.

 

Per concludere, non si vuole certo affermare qui che cristianesimo, socialismo o liberalismo siano intrinsecamente e radicalmente antisemiti; vogliamo solo far notare come alcuni elementi di giudeofobia siano presenti in alcune fra le tradizioni che hanno contribuito a formare l’Europa moderna, con concordanze o discrepanze (ad esempio, gli ambienti antisemiti del cattolicesimo furono tuttavia inizialmente contrari al discorso razzista, perché ciò significava sia andare contro le tesi universalistiche della Chiesa sia considerare nulle le varie conversioni avutesi nel corso dei secoli), e come quindi non bisogni stupirsi eccessivamente del sorgere della follia nazista.

 

 

2. I tratti più comuni del pregiudizio

Possiamo ispirarci in larga parte sempre a Luzzatto Voghera per indicare alcuni dei tratti più caratteristici del pregiudizio antisemita, per la loro ricorrenza o per la loro drammatica influenza sull’ideologia hitleriana.

 

a. Accusa di deicidio

Si tratta, in sostanza, di riferire anche agli ebrei contemporanei le responsabilità avute da parte di quelli del 33 d.C. nella morte di Cristo. È uno dei tratti distintivi della matrice teologica del pregiudizio; si trovava in maniera implicita già nei Vangeli, specialmente quello di Luca, ma cominciò a circolare in maniera concreta circa all’epoca delle crociate. Proprio in questo periodo, inoltre, si fecero strada le due leggende strettamente collegate al deicidio dell’omicidio rituale e della profanazione dell’ostia. La prima accusa sostiene che gli ebrei siano soliti, nel periodo pasquale, rapire e uccidere bambini cristiani, il cui sangue sarebbe loro necessario per compiere riti magici e per impastare il proprio pane azzimo. Per quanto riguarda la profanazione dell’ostia, si credeva che addirittura fra i precetti talmudici fosse contemplato il furto dell’ostia consacrata e il suo successivo uso per scopi sacrileghi. Si può vedere chiaramente che il motivo di fondo di tutte queste accuse è il pregiudizio secondo il quale i giudei sarebbero perfettamente coscienti di vivere nell’errore, dal quale potrebbero riscattarsi soltanto accettando Cristo come Dio. È da rimarcare come questi miti non siano limitati al Medioevo, ma abbiano avuto fortuna anche in epoca moderna. Nel 1881, infatti, un articolo della Civiltà Cattolica, firmato da padre Oreglia, affermava che «gli ebrei si servono ora, più volte l’anno, di sangue cristiano nei loro riti religiosi». In Polonia, poi, l’ultimo caso di omicidio rituale è stato registrato addirittura nel 1946.

 

b. Accusa di vampirismo

Questo tipo di pregiudizio, a dire il vero, non ha colpito nel corso della storia solo gli ebrei. Sempre a dire il vero, però, bisogna notare che si tratta certamente di uno dei punti più importanti nell’immagine negativa dell’ebreo, oltretutto con caratterizzazioni molteplici. Da principio, infatti, il "vampirismo" era quello vero e proprio dei racconti dell’orrore, con funzioni di polemica religiosa. In seguito, però, specialmente in seguito alla nascita nell’Ottocento del concetto di antisemitismo, e in particolare di quello con connotati "socialisti", il concetto si sposta nel campo della finanza, per indicare il presunto attaccamento quasi ossessivo degli ebrei al denaro. Le ragioni dell’usuale ricchezza e successo affaristico degli ebrei, effettivamente frequenti, sono forse da ricercarsi nel periodo dei ghetti, che con le bolle papali che restringevano sempre più il campo delle attività lecite per i giudei, rese quasi inevitabile una "specializzazione" negli affari. Nell’analisi operata dai teorici ottocenteschi, però, questa interpretazione o le altre possibili vengono ignorate: l’unica spiegazione accettata è che l’attaccamento al denaro sia da ricollegarsi a una specie di eresia, per la quale il vero dio degli ebrei sarebbe in realtà il dio mammone o dio quattrino. Citiamo sempre dalla Civiltà Cattolica (1887): «[…] il giudaismo non è più una religione. Fatta eccezione di qualche vecchio rantuloso e di qualche donna ignorante, giacché le donne ebree di religione non sanno nulla, il gran nulla, fatte queste eccezioni, gli ebrei di qualche levatura non adorano altro Dio che il dio quattrino. La loro non è una credenza religiosa, è una società commerciante…».

 

c. Accusa di “complotto giudaico”

Si tratta per un verso dell’accusa più semplice e per un altro di quella più complessa. È infatti, inspiegabile con certezza il motivo della nascita dell’idea di una cospirazione internazionale degli ebrei per il dominio, principalmente economico (ma non solo) del mondo: varie sono state le ipotesi, ma nessuna di queste può eliminare del tutto la componente di arbitrarietà irrazionale che sta alla base di questa accusa. I due fattori che certamente vanno indicati sono:

a) l’esistenza, constatabile in ogni momento, di comunità ebraiche più o meno numerose in tutti i paesi del mondo o quasi;

b) la nascita della nuova finanza capitalistica, all’apparenza incontrollabile.

Soprattutto nel corso dell’Ottocento, diversi furono gli eventi manipolati a favore della teoria del "complotto giudaico". In ordine cronologico, possiamo ricordare i principali: la Nascita dell’Alliance Israélite Universelle (1860); la fine del potere temporale del Papa (1870); l’uccisione dello zar Alessandro II (1881); il crack dell’Union Générale (1882); lo scandalo di Panama (1885), l’Affaire Dreyfus (1894-1906).

Questi temi ottocenteschi furono mantenuti anche nel nostro secolo, che pure operò ulteriori modifiche alla teoria del "complotto giudaico". La principale novità furono i Protocolli dei savi anziani di Sion, un falso documento elaborato dalla polizia segreta russa con cui si voleva attribuire agli ebrei un progetto di conquista del mondo. Questo testo ebbe grandissimo successo a partire dagli anni seguenti alla Prima Guerra Mondiale, in concomitanza con la nascita della teoria del mondialismo. Si trattava in pratica di riprendere il concetto già proprio della teoria del complotto e codificato chiaramente, appunto, nei Protocolli, cioè quello di oscure manovre in atto da parte ebraica per giungere al dominio sociale ed economico del mondo. Gli elementi nuovi si trovano principalmente nell’elenco dei "congiurati". Oltre all’ormai classica massoneria troviamo infatti le lobbies finanziarie americane e il “sionismo internazionale”. Proprio il termine “sionismo” (che definisce la volontà degli ebrei di creare un proprio Stato) ci pone di fronte a un ulteriore problema:

a) o si tratta di un imperdonabile errore degli ideologi, che lo hanno creduto sinonimo di “giudaismo” o “ebraismo”;

b) oppure (ed è più probabile) siamo già di fronte a un progetto politico: infatti, anche se vogliamo ignorare il collegamento linguistico con i Protocolli e quindi con la tradizione del complotto, l’idea del sionismo come pericolo internazionale ha sempre avuto grande presa politica, come è dimostrato dalle reazioni all’attacco preventivo israeliano del 1967.

Un’ultima cosa da rimarcare a proposito dell’accusa di complotto è che essa si servì, tra l’altro, di un dato che era invece motivo di orgoglio per gli ebrei finalmente emancipati: la loro alta presenza, rispetto al loro numero all’interno dello stato, nell’esercito e nelle cariche pubbliche. Se infatti per i diretti interessati questo era un segno dell’integrazione finalmente avvenuta e del senso di patria proprio anche degli ebrei, la propaganda antisemita volle vedervi un segno di una "rete" tessuta per impadronirsi del mondo.

 

d. Diversità fisica

Paradossalmente, si tratta del tratto che meno può servire a caratterizzare il pregiudizio antisemita. Infatti, trae origine dal collegamento errato che l’Ottocento operò fra diversità linguistiche e caratteristiche fisiche, che era accettato anche da eminenti studiosi ebrei, fra cui possiamo ricordare Cesare Lombroso. A titolo di informazione, ricordiamo fra i “segni distintivi” il naso adunco e la differente misura della circonferenza del cranio. È più importante notare che la differenza razziale venne usata come punto di partenza per giustificare presunte differenze caratteriali e comportamentali fra ebrei e non ebrei, che non venivano mai dimostrate ma andavano solo accettate per vere. Queste caratteristiche, se analizzate, ci rivelano retaggi da diversi dei filoni che abbiamo analizzato: gli ebrei sarebbero ostinati (il “popolo dalla dura cervice” della Bibbia), materialisti, avidi e parassiti (con chiare radici nel pregiudizio di tipo economico), servili, vittimisti (quest’ultimo tratto è stato usato anche nel secondo dopoguerra per tentare di ridimensionare la portata della persecuzione nazista).

 

 

3. Il pregiudizio moderno: dalle guerre napoleoniche al nazismo

Le teorie pseudoscientifiche sulla diversità fisica dell’ebreo nascono principalmente nel periodo dei nazionalismi, quando, come abbiamo detto, l’emancipazione civile produce come contraccolpo un ripiegamento delle comunità sui propri usi e sulle proprie tradizioni religiose. Possiamo partire dal periodo dei conflitti napoleonici, vissuti nell’area tedesca come guerre di liberazione, che crearono in queste zone un nazionalismo imperniato sulle idee di popolo, spirito di popolo e nazione, destinate a costruire alla comunità tedesca una missione e un’identità culturale. Esemplari in questo senso sono i Discorsi alla nazione tedesca di Johann Gottlieb Fichte, che esprimevano bene il nuovo spirito di pangermanesimo. L’ebreo diventava quindi un potenziale distruttore della comunità, anche perché questa era l’erede del grano di verità del cristianesimo, poi corrotto dal giudeo Paolo. Di conseguenza, era necessario eliminarlo: dapprima (1793), Fichte propose la deportazione in massa in Palestina, in seguito ripiegò sulla soluzione dell’apartheid.

Anche nel corso della restaurazione molti furono i teorici dell’antisemitismo. Fra questi citiamo:  

– Friedrich Ruehs (professore di storia all’Università di Berlino), che proponeva la nazionalità come un tutto comprensivo di lingua, leggi, credenze. Gli ebrei, non condividendole, dovevano rimanere estranei: le misure da adottare nei loro confronti erano la loro riduzione numerica, una pesante tassazione e l’esclusione dagli incarichi pubblici.

– Moritz Arndt, il quale teorizzò la superiorità del popolo tedesco in virtù della germanicità, qualità mistico-biologica propria solo del sangue tedesco.

– Friedrich Ludwig Jahn (fondatore dei movimenti studenteschi), che predicava il culto dal corpo (da educare anche con la guerra) e la necessità della purificazione della lingua tedesca da tutte le influenze straniere.

Una teoria razzista della storia comincia a emergere in Francia nel secolo XIX, partendo, come abbiamo notato inizialmente, dalla filologia. Particolarmente importante è il caso di Joseph-Arthur de Gobineau: questi, nel suo Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane (1853), afferma che la decadenza della civiltà europea occidentale è dovuta alla mescolanza di razze pure più o meno nobili. D’altronde, egli stabilisce anche che l’imbastardimento è ormai giunto a un punto di non ritorno, per cui è inutile mantenere l’atteggiamento razzista.

Queste teorie troveranno però terreno fertile soprattutto in Germania, dove si mescoleranno al mito dell’origine himalayana della civiltà occidentale (una sorta di cosmogonia ariana, chiaramente antibiblica, che trae origine dai rilievi sulla superiorità del sanscrito rispetto alle lingue semitiche). A questa teoria fa riferimento anche l’attività razzista di Wagner, espressa principalmente nello scritto Il giudaismo nella musica (il cui successo risale alla seconda edizione, quella del 1869, perché fu in precedenza contestato dagli ebrei emancipati). Da ricordare è anche lo scritto di Houston Stewart Chamberlain, genero di Wagner, I fondamenti del XIX secolo (1899), che riprendeva sostanzialmente le tesi di de Gobineau, con la pericolosa differenza dell’affermazione che esistevano ancora razze pure. Queste erano impegnate nella storia in una battaglia epica, dai contorni biblici, che aveva come fine la purificazione del mondo mediante la vittoria della razza teutonica su quella ebraica.

Attraverso questa escalation, siamo ormai giunti ad analizzare i temi portanti dell’ideologia nazista. Il modello, attinto in larga parte dal Cristianesimo e dalla Bibbia, è quello del conflitto che attraversa il processo storico. Solo quando questa lotta sarà finita sarà possibile ritornare alla pace originaria, data da un ordine allo stesso tempo conflittuale e gerarchico: la colpa degli ebrei è di essere stati, lungo tutta la storia, i distruttori del sistema gerarchico. Non si sa se lo facciano per calcolo o istinto, ma in ogni caso non possono esimersi dal farlo, e quindi si rende necessaria la loro distruzione. A questo punto, verrebbe da chiedersi perché la natura li abbia creati: la risposta è che essi dovrebbero suscitare nei popoli una reazione sana, anche se nel corso della storia ciò non si è verificato. Non bisogna certo illudersi che, una volta distrutto l’ebraismo, la natura non creerà altri elementi eversori, ma in ogni caso l’annientamento degli ebrei è di primaria importanza, in quanto essi sono biologicamente portatori della fonte di corruzione dell’ebraismo. Invece Cristiani e comunisti possono essere rieducati. In conclusione, l’antisemitismo nazista si pone come alternativa al Cristianesimo creando una nuova religione, quella della razza, e come negazione della modernità, perché ignora lo stadio attuale del processo storico.

 

rielaborato da: Gadi Luzzatto Voghera,  L’antisemitismo. Domande e risposte, Feltrinelli, Milano 1994

 
 

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