La carta, un'invenzione cinese
Venerato come il patrono dei cartai, Cai Lun († 121), un eunuco dell'Ufficio delle armi e degli strumenti, ebbe "l'idea di utilizzare scorza, canapa, stracci e dei listelli di pesco per fabbricare della carta". La sua biografia ufficiale precisa che egli aveva presentato la sua invenzione all'imperatore Han Hedi, nel 105 della nostra era e che fu lodato e ricompensato.

Un inventore, una data, un luogo — Luoyang , allora capitale dell’impero—, autentificati dalla storia ufficiale… Tre certezze fatte a pezzi dalle scoperte archeologiche degli ultimi decenni che rivelano come l'uso della carta sia anteriore di almeno due secoli. Cai Lun passa ora per aver migliorato le tecniche di fabbricazione della carta e per averla fatta ufficialmente accettare come sostituto della "seta, troppo cara" e "delle barrette di bambù, troppo pesanti, allora i supporti usuali della scrittura.

Le ricette antiche non sono state conservate e nessuna sa come Cai Lun utilizzasse i diversi ingredienti. L’analisi delle più antiche carte ritrovate conferma l'uso delle moracee: canapa, Cannabis sativa, dama; delle tiliacee: iuta, Corchorus capsularis, huangma; delle linacee: lino, Linum perenne, yama; e di urticacee: ramia, Boehmeria nivea, zhuma. Le fibre del gelso da carta, un'altra moracea (Broussonetia papyrifera) appaiono nelle carte dell'inizio del V secolo, mentre l'utilizzo del bambù è attestata fin dal VIII secolo. Il bambù, così conosciuto in Cina, diventerà un materiale privilegiato e il processo di fabbricazione della "carta di bambù" è descritto in dettaglio in una enciclopedia delle tecniche risalente all'inizio del XVII secolo. Nella maggior parte dei casi, vengono mescolate nell'impasto diverse fibre e vengono aggiunte sostanze vegetali, o animali, per conferire alla carta sottigliezza, resistenza e lucidità. I testi menzionano il giunco, la paglia, l'ibisco, ed è il sandalo blu (Pteroceltis tartarinowii, qingtan) a conferire al xuanzhi , la "carta di Xuan" — dal nome del luogo in cui viene fabbricata (618-907) — le sue qualità di candore e di finezza lodate dai calligrafi e dai pittori.

Fin dall'inizio del V secolo, i fogli recano le tracce — filigrane e linee di catenella — di una forma mobile fatta di un telaio di legno e da uno stelo di bambù. Essa sostituisce la forma primitiva, una semplice stoffa fissata ad un telaio  di legno, che tuttavia rimarrà in uso fino ad un'epoca molto recente nel Sud della Cina o in Nepal.

Ben presto, la Cina fece un largo uso della carta nella vita quotidiana e sviluppò una grande varietà di qualità. Le province consegnavano come tributo annuale i più bei prodotti ad una amministrazione affamata di carta per la sua moneta, i suoi archivi, le sue edizioni…

Alcune fabbricazioni speciali rispondevano alle esigenze estetiche dei calligrafi e dei pittori, come la "carta al pepe", jiaozhi, prodotta a Jianyang, nella provincia del Fujian (1127-1279): il suo colore giallo oro e il suo profumo speziato derivava da un trattamento di cottura dei granelli di pepe che la proteggevano anche dalla golosità degli insetti.

La carta prese a circolare molto presto nell'impero, fino alle sue guarnigioni più lontane, come testimoniato da frammenti del III secolo ritrovati tra le rovine di un forte cinese situato nel deserto del Taklamakan. La sua fabbricazione guadagnò le province più decentrate e le regioni vicini, dall'attuale Vietnam alla Corea.

La carta coreana è fatta essenzialmente di libre di gelso da carta (tak). Dopo la macerazione in acqua, la corteccia viene battuta accuratamente per non frantumare le fibre, alcune delle quali rimangono intatte nell'impasto. La qualità più bella, una carta spessa, liscia, molto resistente e di un bianco avorio dai riflessi serici, veniva fabbricata in autunno. Dalla Corea, la Cina importava anche altre varietà, come la "carta cuoio", dengpizhi, usata per fare delle copertine di libri, degli impermeabili o per abbellire le finestre. Secondo la tradizione, è un monaco coreano, Damjing, in giapponese Doncho, (579-631), ad aver introdotto la fabbricazione della carta in Giappone nel 610.

A partire dai metodi cinesi, i cartai giapponesi hanno inventato dei procedimenti e delle  ricette specifiche per ottenere carta di grande resistenza e finezza. In Giappone, le fibre utilizzate sono anche quelle di diverse specie di moracee: il gelso da carta, Broussonetia papyrifera, kozo; il kajinoki, Broussonetia kazinoki; la canapa, Cannabis sativa, taima. Ma tipico è l'uso delle timelacee come il mitsumata, Edgeworthia papyrifera, o il gampi, Wickstroemia Shikokiana. L’uso della canapa ha cominciato a declinare a partire dall'VIII secolo a vantaggio del gelso da carta, apprezzato per la lunghezza e la robustezza delle sua fibre. La dolcezza e la delicatezza sono le qualità della corteccia del mitsumata, mentre il gampi, un arbusto selvaggio diventato raro, fornisce la carta più bella, più resistente, più dolce e più brillante, fabbricata a partire dall'VIII secolo (vedi).

Il lento lavoro di battitura delle fibre, l'aggiunta di una mucillagine estratta da una pianta (Abelmoschus manihot medicus), la perfetta ripartizione delle fibre e l'attenzione alla scelta delle materie prime conferiscono alla carta giapponese le sue eccezionali qualità.


L’arrivo della carta nel Maghreb e nel Vicino Oriente

Secondo Ibn al-Nadîm, libraio a Bagdad nel X secolo, gli antichi Arabi avrebbero scritto su pietre, cortecce di palma e su scapole di cammello. Egli menziona anche la fabbricazione del papiro in Egitto, quella della pergamena a Kufa e l'introduzione della carta nel Khorassan da parte di cartai cinesi. Non sono state conservate tracce di utilizzo dei primi tre materiali e la gran parte dei documenti scritti conservati è costituita dal papiro, dalla pergamena o dalla carta. Altri supporti sono stati utilizzati accessoriamente: tavolette di legno, l'equivalente delle nostre lavagne, tessuto o metallo per iscrizioni magiche.

Il papiro è stato fabbricato e utilizzato in Egitto già prima della conquista araba, nel VII secolo, prima di essere sostituito nel X secolo dalla carta. Un rotolo di papiro conteneva venti fogli incollati ai bordi, il primo dei quali veniva rafforzato con un foglio che lo circondava all'esterno del rotolo e indicava il luogo e i responsabili della fabbricazione del papiro, di cui lo Stato deteneva il monopolio. I documenti venivano copiati perpendicolarmente ai bordi del rotolo. Stessa cosa per i documenti lunghi, anche se quest'ultimi venivano copiati piuttosto sottoforma di codice. I papiri arabi conservati sono costituiti soprattutto da lettere private, resoconti, atti commerciali o amministrativi, mentre una piccola parte di essi contengono dei brani letterari, frammenti delle Mille e Una Notte o biografie del Profeta. Nelle altre regioni del Vicino Oriente, si utilizzava prevalentemente la pergamena, i cui centri di produzione erano le città di Kufa e di Edessa. L’uso della pergamena diminuì progressivamente a partire dal IX secolo. 

Quanto alla fabbricazione della carta, essa fu introdotta nel mondo arabo dai Cinesi fatti prigionieri nella battaglia di Talas, nel 751. Il califfo Hârûn al-Rachîd ne ordinò poi l'uso nell'amministrazione, dal momento che le falsificazioni risultavano meno facili che sulla pergamena. La fabbricazione della carta si diffuse rapidamente fino in Spagna, nello Yemen e in India, anche se i  cartai più rinomati erano quelli di Samarcanda e di Bagdad.

Sembra che la tela di lino e le corde di canapa abbiano costituito le materie prime più diffuse. La forma consisteva in una sorta di schermo di steli vegetali posto su un telaio, con gli steli che venivano legati fra loro con dei fili a catenella la cui disposizione variò nel tempo. 

A partire dalla metà del XIV secolo nel Maghreb e dal XVI secolo nel Vicino Oriente, la carta prodotta localmente venne soppiantata da quella proveniente dall'Italia, caratterizzata dalla presenza di una filigrana che identificava il fabbricante. Nel mondo iraniano, si produceva della carta filigranata fino dal  XVII secolo e in Asia centrale, come pure in India, fino al XX secolo. L'ultima tappa di fabbricazione consisteva nell'inamidare e levigare la carta prima di utilizzarla in quaderni, nella maggior parte dei casi di cinque doppi fogli come per la pergamena, ma spesso anche di quattro soltanto nel mondo iraniano.

Al di là del suo ruolo di supporto, la carta contribuiva all'abbellimento del libro: fogli di colori diversi si alternavano spesso con fogli bianchi e, a partire dal XVI secolo, si trovano carte con delle figure, cosparse di oro (vedi) o chiazzate che inquadravano il testo (vedi).


La carta occidentale

Meravigliosa invenzione di vasto uso nella vita, che fissa il ricordo dei fatti e rende immortali gli uomini. Tuttavia la "carta", ammirevole per la sua utilità, è il semplice prodotto di una sostanza vegetale, d'altro canto inutile, imputridita dall'arte, frantumata, ridotta in impasto nell'acqua, poi modellata in fogli di varia grandezza, sottili, flessibili, incollati, seccati, posti sotto la pressa e adatti a scrivere i pensieri e a trasmetterli alla posterità. (Diderot-D'Alembert, Encyclopédie, articolo 1757)

Questo superbo brano dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert ricorda ciò che la scrittura, memoria degli uomini, deve alla carta e, congiuntamente, alla stampa. La fabbricazione su vasta scala e in tutta l'Europa della carta è infatti in stretta relazione con il prodigioso sviluppo della stampa: nel XVI secolo, soltanto in Italia, si contano tra cinquanta e centomila  pubblicazioni, settantacinquemila in Francia, centomila in Germania… Senza la carta, questa rivoluzione culturale sarebbe stata indiscutibilmente molto più lenta.

Non per questo si deve immaginare che l'apparizione della stampa e l'uso generalizzato della carta abbiano determinato una rivoluzione rapida anche nella concezione dei libri, visto che sui libri di carta continuano le tradizioni delle pergamene manoscritte. Questi libri, pubblicati prima del 1500, si chiamano "incunaboli" (dal latino incunabulum, culla, principio): bisogna aspettare il XVI secolo per assistere al passaggio dalla foliazione (numerazione dei fogli) alla paginazione (numerazione delle pagine) e perché il testo si presenti in modo più arieggiato, dando il via ad una evoluzione verso il libro attuale.

Fino al 1850, la carta viene prodotta a partire da stracci di più o meno buona qualità. Le stoffe più comuni danno della carta grossolana destinata spesso ai libri di grande diffusione. Ma per opere pregiate, gli stampatori ricercano carta bianca e liscia. Lo straordinario sviluppo di stampati, brochures, pamphlets, libelli, libri, e poi, a partire dalla metà del XVII secolo, di periodici ha come conseguenza la rarefazione della carta fatta con gli stracci. Per trovare una materia fibrosa in sostituzione, nell'Europa dell'inizio XVIII secolo vengono fatti diversi tentativi: si fabbrica carta a base di paglia, di corteccia di tiglio e altre fibre vegetali… A partire dal 1850, si utilizza il legno levigato su una mola, incorporato nell'impasto di stracci in quantità sempre più importanti fino a sostituirli: verso il 1880, il legno costituisce il solo elemento dell'impasto detto "meccanico", usato per la fabbricazione di carta di ogni genere.

L'utilizzo del legno nell'industria cartaria ha aperto una controversia: si sente spesso dire che la produzione intensiva di carta è una delle cause della progressiva sparizione delle foreste. Sembra tuttavia che il pericolo sia limitato a delle deforestazioni indiscriminate, mentre una regolazione silvicola ben concepita consente una deforestazione razionale e il rinnovamento delle specie "papivore", pini, abeti, pioppi, ecc. Non si dimentichi che l'industria cartaria usa soltanto le parti dell'albero che sono inutilizzabili per la falegnameria.

Altro motivo di inquietudine, fino a pochi anni fa, l'invecchiamento più o meno rapido degli impasti meccanici, un fenomeno aggravato dalle cattive condizioni di conservazione.  Le malattie della carta sono malattie degli scritti, che fortunatamente la chimica moderna combatte, grazie, in particolare, alla messa a punto della cosiddetta carta "permanente". Si assiste anche, da parecchi anni, alla moltiplicazione di operazioni di riciclaggio della carta; questo recupero, infatti, diventato oggi simbolo di attenzione ecologica, nasce da una preoccupazione antica, visto che il primo libro stampato su carta riciclata è un'opera di Julius Claproth, pubblicata a Göttingen presso l'editore A. Barmeier nel 1774.


La fabbricazione manuale della carta in Occidente

La materia prima di base della fabbricazione della carta è una stoffa scadente, fatta di stracci di lino e di canapa, meno frequentemente di cotone, materiale più grossolano e di origine esotica, che diventerà di uso corrente solo nel XVIII secolo.

Gli stracci vengono ammucchiati, sostanzialmente nei centri urbani, da raccattatori costituiti in rete. Gli straccivendoli tritano sommariamente gli stracci per formare delle balle da inviare ai mulini della carta. Una volta lavati, gli stracci vengono sbarazzati dei loro bottoni  e fermagli, tagliati in strisce uguali, poi tritati secondo la loro qualità (fine, media, grossa) e il loro colore (bianco o nero). Questo lavoro spetta generalmente alle donne.

Si mettono poi gli stracci in ammollo e a fermentare nell'acqua del "macero" per due o sei settimane, prima di tagliarli finemente. Collocati in cataste riempite d'acqua dove battono dei magli taglienti, gli stracci vengono lacerati per sei/dodici ore. L'impasto così prodotto viene raffinato per 12/24 ore per ottenere un impasto più fine e si colloca questa polpa in un contenitore che viene continuamente riscaldato per essere mantenuto a temperatura tiepida.

Questo impasto, per essere messo in fogli, viene lavorato con l'ausilio di un insieme di due forme identiche. La forma rigida, tipicamente occidentale, è costituita da un telaio rettangolare in legno che forma una sorta di setaccio grazie a fili tesi nel senso della lunghezza ad intervalli regolari; queste "vergature", sottili fili metallici di rame o di ottone, sono sostenuti trasversalmente da bastoncini di legno, al di sopra dei quali si fissano dei grossi fili di ottone. Vergature e bastoncini di legno sono uniti da fili di ottone più fini chiamati "catenelle": i fili di catenella regolarizzano lo scarto tra i fili metallici. Spesso questa graticola comporta un filo di ottone fissato alla trama, che rappresenta sia una o più lettere, sia un disegno: si tratta della filigrana, la cui impronta nell'impasto si vede in trasparenza nella trama della carta. E' un marchio di fabbrica, che può indicare il nome del mulino, quello del cartaio, le sue iniziali, la regione o la data… La più antica filigrana conosciuta apparve su una carta fabbricata nel 1282 a Bologna da un cartaio venuto da Fabriano.

Gli operai cartai lavorano sempre in gruppi di due. Il primo immerge una forma nel contenitore. Colloca poi sulla forma la "coperta", telaio di legno mobile che segna i bordi, determina lo spessore del foglio e consente di dosare la quantità dell'impasto steso sulla forma. Successivamente, l'operaio tira fuori la forma riempita di impasto e la ripartisce uniformemente su tutta la superficie, scuotendo orizzontalmente  la forma con un movimento di va e vieni come per setacciare. L'acqua passa attraverso la forma e le fibrille di cellulosa contenute nelle fibre cominciano a aggrovigliarsi . L'operaio toglie la coperta e passa la forma al suo collega, il quale rovescia la forma per deporre il foglio su un feltro destinato a separarlo dal foglio precedente, e così via. La pila de fogli e di feltri viene poi collocata sotto una pressa a vite per eliminare l'eccesso di acqua; ciò consente alle fibrille di aggregarsi per formare il foglio. Dopo questa strizzatura, i fogli vengnono separati  dai feltri e poi, ancora umidi, vengono pressati prima di essere posti a seccare su delle corde negli stenditoi. Questa operazione delicata, vista la fragilità dei fogli umidi, è affidata alle donne.

Segue l'incollaggio che consente al foglio di ricevere dell'inchiostro senza bere l'acqua in esso contenuta. La colla utilizzata, colla di pelle o colla animale (gelatina), sarà poi sostituita da colla vegetale (amido). I fogli vengono immersi in un bagno caldo di colla mescolata con acqua e allume. Per toglier l'eccesso di colla, i fogli vengono posti sotto una pressa, prima di essere stesi a seccare. E' ancora alle donne che spetta questa ultima operazione, che consiste nel lisciare il foglio di carta: bisogna sia passare con un raschietto per far sparire le asperità sia pulire con un pezzo di legno o di pietra dura che pareggia la grana della carta. Nel corso di questa operazione, si eliminano i fogli difettosi e si smistano quelli di buona qualità.

Non resta che formare dei pacchi da 500 fogli, "risme", unità di vendita corrente (ancora oggi). Alla fine del percorso, se si contano tutte le operazioni, ogni foglio sarà passato trenta volte nelle mani degli operai e dieci volte sotto la pressa. I fogli sono sempre rettangolari. Le loro dimensioni, prodotte dalla forma — da cui il nome "formato" —, corrispondono a ciò che una persona può facilmente maneggiare. 


La carta industriale

In Occidente, fino al XIX secolo, la carta veniva fabbricata esclusivamente a partire da vecchi stracci di lino, di canapa o di cotone. Questi stracci contenevano della cellulosa pura, mentre le altre componenti erano state eliminate nel corso delle operazioni tessili precedenti. Nel XIX secolo, per far fronte alla penuria di stoffa, si ricercarono altre materie prime: la paglia, le piante annuali e infine il legno, che divenne la principale  materia prima a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Il legno viene separato in fibre isolate con dei mezzi sia meccanici sia chimici, cosa questa che fa distinguere due grandi categorie di impasti da carta.

L'impasto meccanico viene ottenuto con lo sfregamento dei ciocchi di legno su una mola in presenza di acqua o tramite il defibraggio dei trucioli tra i due dischi trituratori di una raffinatrice, in modo che il calore così prodotto abbia come effetto quello di ammorbidire la lignina che tiene insieme tra loro le fibre. Per via del suo modo di fabbricazione, l'impasto meccanico contiene tutti gli elementi del legno: la cellulosa, ma anche le emicellulose e la lignina. Il suo rendimento molto elevato (superiore al 90 %) spiega il suo basso costo e la sua utilizzazione soprattutto nella fabbricazione di carta da giornale e nell'edizioni economiche. Dal 1870, gli impasti meccanici entrarono massicciamente nella produzione cartaria.

L'impasto chimico, invece, viene ottenuto sciogliendo la lignina tramite dei reagenti chimici (di due tipi: acidi o alcalini), alfine di recuperare fibre costituite essenzialmente di cellulosa; questo trattamento si effettua a temperatura e pressione elevate in un periodo di tempo più o meno lungo. Un rendimento relativamente basso (dal 45 al 55 %) e un prezzo di costo più elevato rispetto a quello dello impasto meccanico riservano gli impasti chimici alla fabbricazione di carta da edizione e da scrittura.

Per quanto riguarda l'incollaggio, il metodo tradizionale con la gelatina viene sostituito all'inizio del XIX secolo con l'incollaggio della colofonia, meno costoso e più facile. L'incollaggio si realizza introducendo nell'impasto sia un sapone di resina sia una vera e propria emulsione di colofonia e di paraffina. Per ottenere l'effetto incollaggio, alla resina si aggiunge del solfato di alluminio; la diminuzione del pH che ne risulta provoca la precipitazione degli acidi di resina; tali precipitati sono trattenuti sulle fibre, ma la fissazione definitiva viene ottenuta solo dopo l'essicazione. Questo procedimento tende a sparire con l'utilizzo sempre più massiccio del procedimento alcalino al solfato, nel quale le resine di pino sono sostituite da resine sintetiche.

La carta riciclata rappresenta oggi la parte più importante nella fabbricazione della carta. Tuttavia, l'utilizzo di carta riciclata per l'archiviazione è sconsigliata perché la composizione delle fibre è speso sconosciuta e non costante D'altronde, questa carta contiene una proporzione importante di impasto meccanico; inoltre, le fibre riciclate sono state raffinate diverse volte, mescolate e seccate ad alta temperatura; infine, i circuiti di acqua stagnante, sempre più usate per proteggere l'ambiente, contengono sostanze ioniche e sostanze organiche di basso peso molecolare che inquinano la carta. La resistenza iniziale delle fibre riciclate è più bassa: questa carta dunque invecchia molto meno.


La carta permanente

La prima norma internazionale per la carta permanente (ISO 9706), pubblicata dell’International Organization for Standardization (sigla ISO) nel marzo 1994, fissa "le prescrizioni perché una carta destinata alla fissazione di documenti sia permanente", cioè che resti chimicamente e fisicamente stabile nel lungo periodo. Questa norma internazionale è l'equivalente della norma americana ANSI Z39.48 del 1992: "Permanence of paper for printed library materials". Affinché una carta possa essere dichiarata conforme alla norma ISO 9706 (o ANSI Z39.48), deve rispondere ai seguenti criteri:

- il pH dell’estratto acquoso dell'impasto deve essere compreso tra 7,5 e 10;

- l’indice Kappa dell'impasto, che indica la resistenza all'ossidazione (collegata alla presenza di lignina), deve essere inferiore a 5;

- la riserva alcalina deve essere superiore o pari a 2 % di equivalente carbonato di calcio;

- la resistenza allo strappo deve essere superiore a 350 mN per una carta la cui grammatura è superiore a 70 g/m2.

Il simbolo attribuito a questa norma è il segno matematico dell'infinito in un cerchio che sormonta la menzione "ISO 9706".

La carta permanente può essere fabbricata sia a partire da stracci sia a partire da impasto chimico di legno in ambiente neutro o alcalino; il legno può dunque essere utilizzato a condizione di eliminarne tutte le componenti non cellulose, in particolare la lignina.