Ritmo cassinese (1193)

 
     
 

Testimonio di una ricca tradizione culturale e letteraria monastica, questo ritmo, che risale alla fine del secolo XII, è contenuto nel manoscritto Codice 552, 32, della Biblioteca dell'abbazia di Montecassino, vera capitale linguistica, culturale ed economica del territorio posto fra Lazio, Campania e Abruzzo, una roccaforte della cultura occidentale all'incrocio fra molte correnti latine, greche e longobarde. Si pensava in origine che tutte le stanze dovessero avere lo stesso numero di versi, e quindi che il testo presentasse numerose lacune; ma la scoperta del Ritmo di sant'Alessio ha fatto conoscere una forma strofica giullaresca composta in una serie non fissa di ottonari (o novenari) monorimi, chiusa da una coppia di endecasillabi. Pertanto oggi si ritiene ragionevolmente che il Ritmo cassinese non contenga lacune e che il senso sia sia compiuto e scorrevole. Il Ritmo, è opera di un autore indubbiamente colto, e lo dimostra l'uso di un linguaggio nel quale possiamo mettere in evidenza la presenza di provenzalismi (langue d'oc) e di latinismi. L'autore, rinchiuso in un convento, nel quale svolge le sue pratiche ascetiche, si fa interprete della vita, esprimendo quello che sa secondo le Sacre Scritture, con le quali si può esprimere bene, e si chiede come potrebbe condurre un uomo una vita regolare, visto che questo mondo è godibile e renderebbe miscredente ognuno: l'unico rimedio è di tenere bene a mente ciò che è scritto nella Scritture. Ogni cosa è fatta nel nome di Dio, ogni cibo o bevanda non è di questa terra, ma deve essere del regno celeste. Dopo un breve prologo, che serviva, secondo le regole retoriche classiche, ad attirare l'attenzione del lettore (captatio benevolentiae), sono posti in scena due personaggi: uno che viene dall'Oriente e un altro che viene dall'Occidente si scambiano proprio questo sapere. Il ritmo rappresenta l'incontro e il dialogo dei due personaggi, il Mistico, che viene dall'Oriente e espone il bene della vita monastica dedicata a Dio, al quale si chiede qualunque cosa serve e che si trova nelle Sacre Scritture, e un Tale, che viene dall'Occidente e rappresenta le caratteristiche della vita secolare, di quelli che "vivono nel secolo", non vivono cioè in conventi o monasteri, ma lavorano e mettono al mondo i figli. Ricordiamo a questo proposito che nel Medioevo possiamo distinguere tre grandi classi sociali: i bellatores (nobili che combattevano per tutti), gli orantes (preti e monaci che pregavano per tutti), e infine i laborantes (il popolo che lavorava per tutti, anche per mantenere gli orantes e i bellatores).

 
 
 




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      Eo siniuri, s’eo fabello,
lo bostru audire combello:
de questa bita interpello
e•ddell’altra bene spello.
Poi k’enn altu m’encastello,
ad altri bia renubello.
E•mmeb’e[n]cendo flagello.
Et arde la candela, sebe libera,
et altri mustra bïa dellibera.
      Et eo, se nce abbengo culpa jactio,
por vebe luminaria factio.
Tuttabia me nde abbibatio
e ddiconde quello ke sactio:
c’alla Scrittura bene platio.
Ajo nova dicta per fegura,
ke da materia no sse transfegura
e coll’altra bene s’affegura.
      La fegura desplanare;
c’apo i lobollo pria mustrare.
Ai, dumque, pentia null’omo fare
questa bita regu[l]are?
Deducer’e deportare
mort’è, non guita, gustare.
Cunqua de questa sia pare?
Ma tantu quistu mundu è gaudebele
ke l’unu e l’altru face mescredebele!
      Ergo, poneteb’a mente
la Scriptura como sente.
Ca là sse mosse d’Oriente
unu magnu vir prudente,
et un altru Occidente.
Fori junt’in albescente;
addemandaruse presente.
Ambo addemandaru de nubelle,
l’unu e ll’altru dicuse nubelle.
      Quillu d’Oriente pria
altia l’occlu, sì llu spia,
addemandaulu tuttabia
como era, como gia.
«Frate meu, de quillu mundu bengo,
loco sejo et ibi me combengo.»
      Quillu, auditu stu respusu
cuscì bonu ’d amorusu,
dice: «Frate, sedi, josu;
non te paria despectusu;
ca multu foracolejusu
tia fabellare ad usu.
Hodie maiplu non andare,
ca te bollo multu addemandar’
e serbire, se mme dingi commandare.»
      «Boltier’ audire nubelle
de sse toe dulci fabelle:
onde sapientia spelle,
dell’altra bene spelle.
      Certe credotello, frate,
ca tutt’è ’m beritate.
Una caosa me dicate
d’essa bostra dignitate:
poi k’en tale destuttu state,
quale bita boi menate?
Que bidande mandicate?
Abete bibande cuscì; amorose
como queste nostre saporose?»
      «Ei, parabola dissensata!
Quantu male fui trobata!
Obebelli ài manucata
tia bibanda scellerata?
Obe l’ài assimilata?
Biband’avemo purgata
d’ab evitia preparata:
perfecta binja piantata,
de tuttu tempu fructata.
En qualecumqua causa delectamo
tutt’a quella binja lo trobamo
e ppuru de bedere ni satiamo.»
      «Ergo non mandicate?
Non credo ke bene ajate!
Homo ki nimm bebe ni manduca
non sactio comunqua se deduca
nin quale vita se conduca.»
      «Dumqua, te mere scoltare:
tie que te bollo mustrare.
Se tu sai judicare
tebe stissu, metto a llaudare.
Credi, non me betare
lo mello, ci tende pare.
Homo ki fame unqua non sente
non è sitiente.
Qued à besonju, tebe saccente,
de mandicare e de bibere? Niente!»
      «Poi k’en tanta gloria sedete,
nulla necessu n’abete;
ma quantunqu’a Deu petite
tuttu lo ’m balia tenete;
et en quella forma bui gaudete.
Angeli de celu sete!»
      Io, signori, se parlo
eccito il vostro ascolto,
di questa vita duco
e dell'altra ben spero.
Dopo che in alto mi sono rinchiuso
lascio ad altri la vita secolare.
Verso di me uso penitenze.
Arde la candela, ma io son libero,
ad altri mostra la via libera.
      E se giaccio in una colpa,
per voi illumino la via.
Tuttavia mi eccito
e dico quello che so:
che trovo nella Scrittura.
Ho nuove parole in allegoria,
che colla materia non si trasfigura
e coll'allegoria si può ben esprimere.
      Voglio spiegare l'allegoria,
ma prima la voglio mostrare.
Dunque, potrebbe qualche uomo fare
questa vita regolare?
Divertirsi e sollazzarsi
è morte, non è gustar la vita.
Che cosa è l'origine di questa vita?
Ma tanto questo mondo è godibile
che l'uno e l'altro rende miscredente.
      Per questo ponetevi in mente
cosa è scritto nella Scrittura.
Si mosse di là, dall'Oriente
un grande uomo prudente,
ed un altro dall'Occidente.
Sono giunti verso l'alba;
si chiesero del presente.
Entrambi chiesero cose nuove
l'uno e l'altro si dicono cose nuove.
      «Quello d'Oriente prima
alza l'occhio, lo guarda
e gli chiede tuttavia
come era, come va.
Fratello mio, da quel mondo vengo
lì risiedo e lì voglio ritornare.»
      Quello, udita questa risposta,
così ben affettuosa,
dice: «fratello, resta, siedi,
non apparire dispettoso,
che molto sarebbe desiderabile
parlarti familiarmente.
Oggi non camminare più
perché ti voglio chiedre molte cose
e servirti, se mi comandi qualcosa.»
      «Volentieri ascolto cose nuove
se tu ne parli dolcemente,
per cui di sapienza parli,
parla dell'altro bene.»
      «Certamente ti credo, fratello,
che tutto è detto con verità:
che mi diciate una cosa
di questa nostra dignità:
poiché state in questo sollazzo,
quale vita voi menate?
quali cibi mangiate?
Avete bevande così amorose
come queste nostre saporose?»
      «O parola insensata!
Quanto male hai creato!
Dove l'hai mangiata
questa vivanda scellerata?
Quando l'hai ingerita?
Noi abbiamouna bevanda pulita,
preparata bene dall'inizio
abbiamo piantato una vigna perfetta,
che in ogni stagione porta frutto.
E qualunque cosa ci serve (e ci diletta)
in quella vigna la troviamo;
e anche da bere ci saziamo.»
      «Dunque, non mangiate?
Non credo che ne riceverete bene!
Uomo che non beve e non mangia
non so come si possa divertire
né quale vita possa fare.»
      «Dunque, ti conviene ascoltarmi,
perché te lo voglio dimostrare.
Se tu sai giudicare,
tu stessi da solo lo loderai.
Credimi, non mi vietare
il meglio, se ti sembra.
Un uomo che fame mai non sente
e non ha sete
ha bisogno, perché tu lo sappia,
di mangiare e di bere? Niente!»
      «Poi che in tanta gloria sedete,
e nessuna necessità avete;
ma ogni cosa a Dio chiedete,
tutto ciò che vale avete;
e in quella forma voi godete.
Angeli del cielo, siete.»